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sabato 13 marzo 2021

LA NOTTE DI NICODEMO SI RISCHIARA

 L’essenziale è il grande amore di Dio per il mondo

 + Dal Vangelo secondo Giovanni - Gv 3,14-21

 In quel tempo, Gesù disse a Nicodèmo: «Come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo, perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna. Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna. Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui. Chi crede in lui non è condannato; ma chi non crede è già stato condannato, perché non ha creduto nel nome dell’unigenito Figlio di Dio. E il giudizio è questo: la luce è venuta nel mondo, ma gli uomini hanno amato più le tenebre che la luce, perché le loro opere erano malvagie. Chiunque infatti fa il male, odia la luce, e non viene alla luce perché le sue opere non vengano riprovate. Invece chi fa la verità viene verso la luce, perché appaia chiaramente che le sue opere sono state fatte in Dio».

 Padre Ermes Ronchi commenta il brano del Vangelo di domenica 14 Marzo 2021.

 Si è appena conclusa la scena irruente, fragorosa di Gesù che scaccia i mercanti dal tempio. A Gerusalemme, capi e gente comune tutti parlano della novità di quel giovane rabbi. Ora, da quella scena clamorosa e sovversiva si passa a un vangelo intimo e raccolto. Nicodemo ha grande stima di Gesù e vuole capire di più, ma non osa compromettersi e si reca da lui di notte. Prima sorpresa: quel Gesù che dirà «il vostro parlare sia sì sì, no no», rispetta la paura di Nicodemo, non si perde nei limiti della sua poca coerenza, ma mostrando comprensione per la sua debolezza, lo trasforma nel coraggioso che si opporrà al suo gruppo (Gv 7,50) e verrà al tramonto del grande venerdì (Gv 19,39) a prendersi cura del corpo del Crocifisso. Quando tutti i coraggiosi fuggono, il pauroso va sotto la croce, portando trenta chili di aloe e mirra, una quantità in eccesso, una eccedenza di affetto e gratitudine. Gesù trasforma. È una via tutta nuova, per noi che i maestri dello spirito hanno sempre stretto nell’alternativa: coraggio o viltà, coerenza o incoerenza, resistenza o debolezza, perfezione o errore. Gesù mostra una terza via: il rispetto che abbraccia l’imperfezione, la fiducia che accoglie la fragilità e la trasforma. La terza via di Gesù è credere nel cammino dell’uomo più che nel traguardo, puntare sulla verità umile del primo passo più che sul raggiungimento della meta lontana. Maestro dei germogli. […]

E la notte di Nicodemo si rischiara, perché ha sentito amata la sua verità di paura e ombra.

Dio ha tanto amato. Versetto gonfio di stupore ogni volta nuovo, per queste parole tonificanti come una camminata in riva al mare, fra spruzzi d’onde e aria fresca respirata a pieni polmoni; parole da riassaporare ogni giorno e alle quali aggrapparci in tutti i passaggi forti della vita, in ogni caduta, in ogni notte, in ogni delusone. La storia biblica inizia con un “sei amato” e termina con un “amerai”.  Dio ha tanto amato, ed è l’amore che gli ha fatto fare grandi cose! Se noi vogliamo salvare il mondo, sarà un’illusione ottica poiché l’ha già salvato Lui. Se vogliamo convertire le persone, sarà un abbaglio, noi possiamo solo amarle, senza andare oltre; se non per sempre, almeno per oggi, se non tanto, almeno un po’, ma quel poco sia secondo verità, e resteremo vivi. Dio ha così tanto amato che la notte di Nicodemo, e le nostre, si illuminano. Qui possiamo rinascere. Ci basta. Ora so che sono cristiano per attrazione perché sulla croce Gesù è forza di gravità che trascina verso l’alto la storia e il dolore del mondo.

Credere è lasciarmi attrarre lungo la verticale dell’amore che assembla tutto il Vangelo, tutta la teologia, tutta la fede attorno a sé. Nucleo della storia, sguardo sull’abisso altissimo di Dio che ha considerato noi, me, questo niente cui ha donato un cuore, più importante di se stesso.
E se con me ha amato il mondo, anch’io devo amare questa terra e i suoi figli, il suo verde, i suoi fiori, la sua bellezza; e curarne le piaghe là dove Egli mi ha chiamato.
Terra ferita e amata. 
“Ma gli uomini hanno preferito le tenebre”. Da dove viene questo dramma del preferire le tenebre? Da dove il tremendo fascino del nulla?  L’amore di Dio non può far paura perché non conosce altra punizione se non punire se stesso; la nostra vita di amati non è a misura di tribunale, ma di abbraccio e fioritura. Perché l’uomo fatica a comprenderlo? Posso dire, con l’eco delle cose grandi: i tuoi figli, Signore, non sono cattivi, sono fragili, si ingannano facilmente. Preferiscono le tenebre perché l’angelo della notte è pura menzogna, e si maschera da angelo della luce. Promette felicità e libertà, seduce, e noi ci lasciamo illudere.

Ma io guardo a Nicodemo, il fariseo timoroso che scivola furtivo tra le ombre della sera. E vedo Gesù che non lo giudica perché non è un eroe, rispetta la sua paura, è paziente con le sue lentezze. E la notte di Nicodemo si rischiara. Egli diventerà il più coraggioso tra i discepoli, colui che avrà l’ardire di presentarsi a Pilato per reclamare il corpo del giustiziato, perché ha sentito amata la sua verità di paura e ombra.

Neppure io sono un eroe, Signore, però mi basterà sentire accolta anche la mia paura, mi basteranno piccoli semi di luce e la tua forza di attrazione, marea bellissima che mi spinge verso te.

 Cercoiltuovolto

 

sabato 6 giugno 2020

DIO E' AMORE. EGLI DONA SEMPRE SE STESSO

7 giugno 2020 – Domenica della SS. Trinità

Gv 3,16-18
In quel tempo, Gesù disse a Nicodèmo: «Dio ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna. Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui. Chi crede in lui non è condannato; ma chi non crede ha già ricevuto un giudizio di condanna, perché non ha creduto nel nome dell’unigenito Figlio di Dio».

Commento di Enzo Bianchi

Nella domenica dopo Pentecoste i cristiani d’occidente celebrano il mistero della Tri-unità di Dio, del Dio uno e tre volte santo. Dio è una comunione d’amore tra Padre, Figlio e Spirito santo, comunione che non rimane chiusa in sé ma che si apre a noi uomini, chiamati ad accogliere e a rispondere a tale amore. E, come sempre avviene nel cristianesimo, la meditazione su Dio parte dall’uomo Gesù Cristo, «il Figlio unigenito che ha raccontato Dio» (cf. Gv 1,18).
In particolare, la chiesa ci invita a contemplare questo mistero attraverso la lettura di un breve brano tratto dal capitolo terzo del vangelo secondo Giovanni. Nei versetti che lo precedono si narra un dialogo tra due maestri, il fariseo Nicodemo e Gesù, «il maestro che viene da Dio» (Gv 3,2). Essi discutono su una questione difficile e, nello stesso tempo, cruciale: la possibilità di un’autentica rinascita dell’uomo. Gesù afferma che essa può avvenire solo «dall’alto» (Gv 3,3), per opera della potenza di Dio, ma l’altro non capisce… Gesù ribatte allora che tale potenza è lo Spirito di Dio, è lui che può operare una nuova nascita (cf. Gv 3,5-8). Poi aggiunge una rivelazione a prima vista enigmatica: affinché lo Spirito sia effuso da Dio sull’umanità, occorre che lui, il Figlio dell’uomo, sia «innalzato», come Mosè aveva innalzato un serpente di bronzo durante il cammino di Israele nel deserto (cf. Nm 21,4-9). Guardando a quell’immagine il popolo era preservato dalla morte che lo colpiva a causa dei serpenti velenosi: come il serpente era un segno di salvezza così lo sarà il Figlio dell’uomo una volta innalzato da terra, e chiunque crede in lui avrà la vita eterna (cf. Gv 3,14-15).
Ma cosa significa «essere innalzato»? Significa certamente essere elevato da terra, e Gesù lo sarà sulla croce (cf. Gv 8,28); ma significa anche essere innalzato da Dio (cf. Gv 12,32), che prenderà Gesù nella sua gloria e lo proclamerà Signore. Insomma, siamo di fronte all’annuncio centrale della nostra fede, fatto nel linguaggio giovanneo: quello della passione, morte e resurrezione di Gesù. Ecco perché l’evangelista sente il bisogno di interrompere il racconto per commentare l’annuncio di Gesù, e lo fa con parole che rappresentano una sorta di vangelo nel vangelo: «Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna». Con l’intera sua vita spesa fino alla morte nella libertà e per amore nostro, con il suo passare tra di noi facendo il bene nella potenza dello Spirito santo (cf. At 10,38), Gesù Cristo ci ha narrato che «Dio è amore» (1Gv 4,8.16); ci ha manifestato nella concretezza di un’esistenza umana l’atto gratuito con cui Dio ha scelto di inviare nel mondo lui, il suo unico Figlio, consegnandosi senza riserve a noi uomini. Per questo l’autore può continuare: «Dio non ha mandato il Figlio nel mondo per giudicare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui». Siamo noi a giudicarci da soli, accogliendo o rifiutando l’amore vissuto da Gesù…
Giovanni esprimerà nuovamente questa realtà nella sua Prima lettera, con parole di contemplazione che sono il miglior commento a quelle del vangelo: «In questo si è manifestato l’amore di Dio per noi: Dio ha mandato suo Figlio nel mondo, affinché noi vivessimo per mezzo di lui. In questo consiste l’amore: non siamo noi che abbiamo amato Dio, ma è lui che ha amato noi e ha inviato suo Figlio come vittima di espiazione per i nostri peccati … Da questo noi conosciamo che dimoriamo in Dio e Dio in noi: dallo Spirito che egli ci ha dato in dono. E noi abbiamo contemplato e testimoniamo che il Padre ha mandato il Figlio come Salvatore del mondo» (1Gv 4,9-10.13-14).
Sì, l’amore viene da Dio e raggiunge noi uomini, non viceversa: «noi amiamo, perché Dio per primo ha amato noi» (1Gv 4,19)! Ci è chiesto dunque di riconoscerci quali creature amate in radice da Dio nella potenza del suo Spirito santo, di «credere all’amore» (cf. 1Gv 4,16), manifestatosi definitivamente nel Figlio Gesù Cristo. Accogliendo tale amore siamo resi capaci di esercitarlo a nostra volta, amandoci gli uni gli altri: è così che l’amore di Dio può diffondersi e manifestarsi nella storia. Davvero, come canta un antico inno della chiesa, «dove l’amore è vero, lì c’è Dio»!