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venerdì 28 aprile 2023

IL BONUM HONESTUM IN MARITAIN

 A 50 anni dalla morte, il pensiero del filosofo francese 

interpella l’attualità. 

Nel mettere al centro la persona superando le diversità e nel promuovere un ordine mondiale giusto


- di FRANCESCO MIANO


La straordinaria attualità del pensiero di Jacques Maritain, a cinquant’anni dalla sua morte, può essere racchiusa in una domanda proposta dal filosofo in un intervento a Tolosa alla Comunità dei Piccoli Fratelli di Gesù dove si era ritirato, dopo la morte della moglie Raïssa, a partire dal 1960. Si chiede Maritain: «Che cosa vogliono gli uomini prima di tutto? Di che cosa hanno bisogno prima di tutto?», un interrogativo che oggi ancor più che allora scuote le nostre coscienze. «Hanno bisogno – così continua – di essere amati, di essere riconosciuti; di venire trattati come essere umani; di sentire rispettati tutti i valori che ognuno porta in sé» ( La vocazione dei Piccoli fratelli di Gesù, La Locusta, 1982). Anche nell’ultimo periodo della sua esistenza, Maritain continua dunque a riproporre la persona (ogni persona, la persona nella concretezza della sua vita) come il fulcro essenziale della società sia in senso civile che politico dentro una più ampia visione dell’umano riconsiderato in tutti i suoi aspetti. È l’idea dell’integralità dell’umano, la visione di un umanesimo integrale, nata al confluire tra ricerca di fede ed esercizio della ragione e capace di ispirare e sostenere ogni reale impegno politico per la trasformazione della realtà.

 Oggi, a cinquant’anni dalla morte, quella proposta continua a provocare a ispirare dentro le forme nuove che il tempo storico richiede. Nella fedeltà al pensiero maritainiano, umanesimo integrale può oggi significare, in particolare, capacità di realizzare concretamente quella fellowship ( compagnonnage) di cui ci parla attraverso l’immagine dei «compagni di viaggio che per un incontro fortuito si trovano riuniti quaggiù, camminando sulle strade della terra […] in buon accordo umano, con buon umore e con cordiale solidarietà» ( Per una politica più umana, Morcelliana, 1979). Un umanesimo integrale che oggi sollecita ciascuno di noi nell’impegno a rendere praticabile anche l’umanesimo intraculturale, dove le diversità (culturali, sociali, religiose, economiche, civili) sono prezioso arricchimento più che motivo di paura del “non ancora conosciuto”.

 Maritain ci insegna a prenderci cura concretamente della persona, cioè delle persone con i loro bisogni e necessità. Una cura che necessita del fare concreto di ogni giorno per diventare buona pratica per il bonum honestum.

Ma, nello stesso tempo, Maritain ci spinge ad operare e lottare per il rispetto dei diritti della persona, dei diritti di ogni uomo così come la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo del 1948 (alla cui stesura collaborò) ci ricorda e così come leggiamo in I diritti dell’uomo e la legge naturale pubblicato a New York già nel 1942.

 Riferendosi alla persona umana, il filosofo scriveva così: « I diritti fondamentali, come il diritto all’esistenza e alla vita, il diritto alla libertà personale o il diritto di condurre la propria vita come padroni di se stessi e dei propri atti, responsabili di questi davanti a Dio e davanti alla legge della civitas, ‒ il diritto a perseguire la perfezione della vita umana morale e razionale, il diritto a perseguire il bene eterno […], il diritto all’integrità corporale, il diritto alla proprietà privata dei beni materiali, che è una salvaguardia della libertà della persona, il diritto di sposare secondo propria scelta e di fondare una famiglia essa pure garantita dalle libertà che le sono proprie, il diritto di associazione, il rispetto in ciascuno della dignità umana (ch’egli rappresenti o no un valore economico per la società) tutti questi diritti sono radicati nella vocazione della persona, agente spirituale e libero, all’ordine dei valori assoluti e con un destino superiore al tempo». Si tratta di richiami decisivi, da considerarsi in prospettiva universale e per questo ancora più importanti ben sapendo Maritain le innumerevoli violazioni dei diritti che si consumano nel mondo intero. Ecco perché appaiono decisivi anche altri richiami maritainiani. Tra i diritti della persona relativamente all’ordine internazionale «i più importanti sono il diritto di ogni Stato, grande o piccolo, alla libertà e al rispetto della sua autonomia, il diritto della fede giurata e della santità dei trattati, il diritto a uno sviluppo pacifico (diritto che, essendo valevole per tutti, richiede per attuarsi che si stabilisca una comunità internazionale avente potere giuridico e lo sviluppo di forme federative di organizzazione) » ( I diritti dell’uomo e la legge naturale, Vita e Pensiero, 1977). Un ordine di diritti purtroppo ampiamente disattesi se solo pensiamo, per fare esempi immediati, alla guerra in Ucraina e in Sudan, oltre che agli altri innumerevoli conflitti sparsi nel mondo, o alla privazione dei diritti in Afghanistan e in Iran.

 La centralità dell’attenzione ai diritti nel pensiero di Jacques Maritain, nel suo imprescindibile richiamo alla visione unitaria della persona, può consentire inoltre di rileggere da un peculiare punto di vista la molteplicità degli interessi del pensatore francese che spaziano dall’educazione all’estetica, dalla filosofia morale alla politica, dall’epistemologia alla filosofia della natura fondandosi su una visione metafisica che rilegge originalmente l’insegnamento tomista. E può consentire anche di richiamare la sua vita che ha saputo attraversare molti mondi, nell’amicizia con figure importanti del mondo della filosofia, della cultura, dell’arte, della politica, della Chiesa (pensiamo tra tutte all’amicizia con Paolo VI), dalla Francia agli Stati Uniti e all’Italia (con il suo impegno di ambasciatore della Francia presso la Santa Sede), in una ricerca filosofica libera e aperta ai grandi interrogativi della vita (come testimoniano gli incontri nella sua casa di Meudon) sempre consapevole dei limiti dell’umano ma anche sempre convinta della grandezza di ogni persona e dell’apertura dell’umano al divino.

 www.avvenire.it

mercoledì 18 gennaio 2023

L'UMANESIMO, ANELITO UNIVERSALE

 È integrale e tomista l’umanesimo di Jaeger

 Conservare all’Umanesimo un anelito universale - come in san Tommaso e Dante - più ancora che una sollecitudine testuale, è compito primario, perché nessuna diligenza filologica invera da sola la dignitas del «te sovra te» sancito da Virgilio nella Commedia.

Con l’“Aquinas Lecture” del 1943 il classicista tedesco inaugurò l’interpretazione della lunga durata della “paideia” greca nel mondo cristiano. La tesi ribalta come aprioristica l’avversione alla Scolastica E trova consonanze in Maritain nell’idea della tragedia del pensiero moderno antropocentrico.

 La teologia platonica, rivolta al bene e al Tutto, dovrebbe sfociare nel riferimento a Ficino.  Lo studioso la riporta invece a san Tommaso

 - di CARLO OSSOLA

 L’Umanesimo nella Storia della letteratura italiana di Francesco De Sanctis nasce su quella che fu la Waste Land della Teologia, esemplarmente illustrata nel Poliziano: «Nel Poliziano tutto è concorde e deciso; non ci è più lotta. Teologia, scolasticismo, simbolismo, il medio evo nelle sue forme e nel suo contenuto, di cui vedevi ancora la memoria prosaica nella laude e nei misteri, è un mondo in tutto estraneo alla sua cultura e al suo sentire. Quello è per lui la barbarie. E non ha bisogno di cacciarlo dalla sua anima: non ve lo trova» (capitolo XI: Le «Stanze» ). La nascita dell’Umanesimo per sottrazione alla teologia domina naturalmente anche la storiografia del mondo riformato, sin da Jacob Burckhardt, che osservava: «Lo scriver trattati sull’educazione dei principi, fin qui compito dei teologi, diventa ora naturalmente anche loro (degli umanisti nda) dominio. Enea Silvio, per esempio, stese per due giovani principi della casa d’Asburgo diffusi trattati sulla loro educazione ulteriore» (La civiltà del Rinascimento in Italia, 1860).

In un panorama storiografico così uniforme giunge come freccia acuminata l’Aquinas Lecture, nel 1943, di Werner Jaeger; iniziate nel 1937 su impulso dell’Aristotelian Society della Marquette University, queste lezioni avevano subito avuto un rilievo internazionale. Werner Jaeger (Lobberich, Renania, 1888 – Boston 1961) era allora professore a Harvard e direttore dell’Harvard Institute for classical Studies. Il suo immenso affresco Paideia. Die Formung des griechischen Menschen (19341945) si stava imponendo anche nel mondo anglosassone. Ma quella lezione, Humanism and Theology, non è ricapitolativa, bensì fondativa di una nuova visione sulla “lunga durata” della “paideia” greca nel mondo cristiano, che sarà coronata – più tardi – da due importanti volumi: The Theology of the early Greek philosophers (1948) e soprattutto: Early Christianity and Greek Paideia (1961), volume che si pone accanto al grande affresco di Hugo Rahner, Griechische Mythen in Christlicher Deutung (1945) quale segnale della profonda continuità “umanistica” tra mondo greco e mondo cristiano, tanto nella fioritura patristica che nelle reviviscenze medievali.

La forza della tesi di Jaeger risiede nel fatto che, sin da Paideia, il percorso dell’educazione filosofica si risolve in una «conversione» che l’autore non esita a marcare semanticamente in modo più netto che gli usi ordinari del termine: « La natura, dunque, dell’educazione filosofica è veramente “conversione” nel significato spaziale (“volgersi”, “voltarsi”) di “tutta l’anima” alla luce dell’idea del bene, cioè all’origine del Tutto». Ci aspetteremmo dunque, secondo tradizione, che tale riferimento alla «teologia platonica» trovi il suo naturale compimento nella tesi umanistica di Marsilio Ficino, Theologia Platonica de animorum immortalitate. Jaeger invece nella sua luminosa Aquinas Lecture punta decisamente su san Tommaso e sulla sintesi ch’egli produsse del pensiero aristotelico e platonico, ribaltando come aprioristica l’avversione degli umanisti alla Scolastica e alla teologia medievale. Eugenio Garin, un decennio più tardi, riprenderà quelle posizioni, citando spesso Jaeger, anche se non mostra di essere a conoscenza del saggio Umanesimo e teologia: « Il Medioevo amava i classici non meno del Rinascimento; Aristotele era sulla bocca di tutti, e forse meglio che nel Quattrocento; […] la valorizzazione dell’uomo era più potente e meditata in san Tommaso che non in Ficino; mentre naturalismo ed empietà - Machiavelli, Pomponazzi, Bruno - proprio là dove sembrano più arditi e più nuovi sono più vecchi e lontani: eredi più o meno consapevoli dell’alessandrinismo medievale» ( Medioevo e Rinascimento, 1954).

 La storia delle traduzioni di Humanism and Theology è un capitolo alto dell’itinerario delle meditazioni umanistiche del XX secolo: in Italia apparve nel 1958 per Corsia dei Servi, nella traduzione di Luciana Bulgheroni. Corsia dei Servi era un’associazione fondata da David M. Turoldo e Camillo De Piaz, Servi di Maria, poeta il primo, il cui Udii una voce: poesie era uscito con una Premessa di Giuseppe Un-garetti. Le edizioni Corsia dei Servi ebbero un ruolo importante di aggiornamento, impegnato, del cristianesimo lombardo e italiano e non stupisce trovarvi la conferenza di Jaeger, la quale – tuttavia – non sarebbe tornata all’attenzione europea, senza la traduzione, di un biennio precedente, del père Saffrey. L’opera dello studioso domenicano Henri-Dominique Saffrey (19212021) è imponente tanto sul versante critico che su quello delle traduzioni e edizioni di classici greci commentate, e continua l’alta lezione dell’altro Maestro domenicano di studi greci, André- Jean Festugière (1898-1982). La traduzione italiana di Humanism and Theology passò quasi inosservata, salvo un caldo elogio di Giuseppe Toffanin; e una non meno attenta lettura di don Giuseppe De Luca; egli si manifesta in un punto nodale degli studi sull’Umanesimo italiano. Carlo Dionisotti aveva appena pubblicato il Discorso sull’Umanesimo italiano, opuscolo ch’egli invia a Giuseppe De Luca, ricevendo una risposta tiepida: «ho letto due volte le tue pagine sull’umanesimo italiano – gli scriveva nel maggio del ’58 - ma, dovessi dire, non ti ci trovo. Tu sei altro uomo, ormai, da sostare su quei temi, anche per dirli superati. Conosci la conferenza di Jaeger tenuta nel 1943, su “Umanesimo e teologia”?» Quell’interrogativo: « Conosci la conferenza di Jaeger ?» vale ancor oggi, è anzi divenuto più urgente nell’isterilirsi delle ipotesi intorno a «una sintesi della cultura antica e dello spirito cristiano ». Citando nella parte finale del suo saggio l’Humanisme intégral di Jacques Maritain (1936), Jaeger sembra aderirvi, trovando in esso ciò ch’egli aveva cercato di definire come «terzo Umanesimo». Meditando sulla «tragedia dell’Umanesimo » moderno e antropocentrico, Maritain gli aveva infatti opposto la tradizione aristotelica e tomista, su un punto essenziale che rimarrà inalterato da Dante a Pico, il destino dell’uomo sovra- eminente la propria umanità: « Non proporre all’uomo che l’umano – osservava Aristotele – è tradire l’uomo e volere la sua sventura, perché attraverso la sua principale natura, che è lo spirito, l’uomo è chiamato a un destino più alto che una vita puramente umana» (Umanesimo integrale, Introduzione).

 Werner Jaeger Umanesimo e teologia , ed. Vita e Pensiero, pagine 112, euro 13,00),

www.avvenire.it