In attesa della riapertura degli istituti scolastici e che le
istituzioni valorizzino il ruolo educativo delle famiglie, gli studi
documentano l’inferiorità dell’apprendimento digitale e della tastiera rispetto
alla scrittura manuale
La progressiva perdita di manualità e artisticità non viene
compensata da un maggiore sviluppo delle capacità cerebrali, poiché mano e
cervello si atrofizzano o crescono insieme
FRANCESCO
TOMATIS
Ammesso
e non concesso che «il digitale è reale » come si va predicando per i mercati
(digitali), sicuramente non è vero il contrario, che «il reale è digitale», né
che «il futuro è digitale». Non è un destino ineluttabile il decadimento, come
dalla sapienza alla filosofia e dalla filosofia alla scienza, dalla scienza
all’informazione e dall’informazione all’informatizzazione, né dalla fede alla
superstizione e dalla superstizione all’idolatria (digitale). Questa la lezione
che possiamo trarre dal forzato ricorso alla comunicazione digitale fra persone
come necessario rimedio, argine tecnologico contro la pandemia. Parziale
rimedio, tuttavia, che fa parte del male stesso, quale suo edulcorante
correttivo, in realtà strato protettivo di processi di tecnicizzazione della
vita, le cui estreme conseguenze stiamo appena constatando attraverso la
reazione della natura alla devastazione umana della Terra. Dell’antropica
desertificazione il nucleo motore è l’imposizione tecnica o tecnocrazia, i cui
corollari nefandi sono l’omologazione culturale e il realismo digitale,
l’ignoranza del trascendente e la mercificazione dell’uomo, l’astrattismo
economico e l’urbanizzazione antropologica, la massificazione sociale e la
meccanizzazione della vita.
Cartina
al tornasole per vagliare la diffusione del male e preziosa ultima riserva
marginale contro l’entropia culturale è l’educazione di giovani e bambini.
Dalla loro sopravvivenza, naturale e culturale assieme, discende la
sopravvivenza dell’uomo in Terra. Nel breve tempo sospeso della pandemia, la
loro vita è stata affidata alle famiglie, al residuo di realtà familiari,
resistite quale ultimo argine alle politiche antipolitiche, disumane, contrarie
alla vita nascente e alla sua educazione nell’amore, possibile innanzitutto in
famiglia. Famiglie intese tuttavia come mera struttura recettiva, da rieducare
a suon di produttive (di vanità e vuoto) dottrine digitali: a distanza, per non
sporcarsi le mani con la vita.
Quali
i risultati del
banco
di prova pandemico dell’educazione digitale? La comunicazione digitale risulta
assai riduttiva rispetto a quella personale e, comunque, comunicazione non
significa educazione. Sia nell’apprendimento di un discorso verbale trasmesso
in videoconferenza, sia nella lettura di un testo scritto, fruibile per mezzo
di dispositivi elettronici anziché libri cartacei, sia nell’espressione
attraverso la babelica vuotezza mediatica globale, soprattutto nel caso della
scrittura digitale, la complessità e creatività dell’intelligenza umana viene
sempre meno. Si moltiplicano gli studi sperimentali sull’inferiorità
dell’apprendimento attraverso supporti elettronici, anziché i tradizionali
libri. Ma ancora più grave sarebbe una digitalizzazione scolastica nel senso
della sostituzione dell’uso fine della mano, necessario allo scrivere con carta
e matita, se non pennello o penna, con il diretto uso della tastiera di un
computer (peggio ancora se i tasti diventino anch’essi virtuali, intangibili).
Lo scrivere a mano comporta una finezza motoria impareggiabile,
direttamente relazionata all’attivazione del cervello nelle sue funzioni più
complesse.
Quando
il bambino impara a scrivere, i differenti metodi dell’uso della mano, in
particolare in relazione alle diverse possibili tecnologie di scrittura
utilizzabili, ne determineranno un diverso sviluppo cerebrale, con
attivazioni e formazioni più o meno complesse ed evolute. Lo scrivere a mano,
con carta e penna, meglio ancora cartoncino e pennello, attiva l’uso fine
della mano, dai polpastrelli alle dita, ai polsi, a tutto il corpo, ai sensi e
persino al respiro. Imparare invece a scrivere attraverso la tastiera di
un computer, pur ammesso che s’impari correttamente con tutte e dieci le dita,
non con due o addirittura soltanto una di esse, e senza osservare la
tastiera ma direttamente lo schermo e i caratteri digitati, inibisce gran parte
di queste percezioni, mobilità, attivazioni, nonché un raffinato sviluppo
attivo della neocorteccia cerebrale. Insomma, digitale
non significa tattile, è anzi il suo contrario. I 'nativi
digitali' sono altrettanti 'morti artigianali', se non 'cerebrali';
essi perdono fondamentali esperienze tattili, visive, uditive... motorie,
che sono direttamente connesse con la formazione complessa del cervello, la cui
attivazione risulta pertanto sempre più inibita e potrebbe condurre, in un
prossimo futuro, a una più o meno graduale involuzione della specie.
La
progressiva perdita di manualità e artigianalità, persino di creativa artisticità,
nelle nostre civiltà tecnologiche, non viene certo compensata da un maggior
sviluppo dello spirito, tantomeno delle capacità cerebrali, poiché mano e
cervello crescono o si atrofizzano di pari passo. Attendiamo con
trepidazione che possano presto riaprirsi le scuole. Ma non vogliamo
un’educazione digitale. Non abbiamo bisogno di una scuola senza libri e senza
crocifissi, sostituiti da tablet e lavagne multimediali. Se questo è quanto può
offrire la civiltà tecnologica, la politica rieducativa globale, la cultura del
copia-incolla, allora è meglio l’isolamento comunicativo. Si capirà, forse, che
innanzitutto in famiglia nasce la vita e che nell’amore della famiglia i
bambini apprendono la parola, nella relazione continua, diretta, complessa
senza di cui il vivente non cresce nell’uso del linguaggio e della ragione,
della finezza motoria e della manualità, in sintesi: nella creativa arte
umana.
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