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sabato 11 luglio 2020

CARTA, PENNA .... E FAMIGLIA PER IMPARARE A ESSERE UMANI


In attesa della riapertura degli istituti scolastici e che le istituzioni valorizzino il ruolo educativo delle famiglie, gli studi documentano l’inferiorità dell’apprendimento digitale e della tastiera rispetto alla scrittura manuale 
La progressiva perdita di manualità e artisticità non viene compensata da un maggiore sviluppo delle capacità cerebrali, poiché mano e cervello si atrofizzano o crescono insieme


FRANCESCO TOMATIS

Ammesso e non concesso che «il digitale è reale » come si va predicando per i mercati (digitali), sicuramente non è vero il contrario, che «il reale è digitale», né che «il futuro è digitale». Non è un destino ineluttabile il decadimento, come dalla sapienza alla filosofia e dalla filosofia alla scienza, dalla scienza all’informazione e dall’informazione all’informatizzazione, né dalla fede alla superstizione e dalla superstizione all’idolatria (digitale). Questa la lezione che possiamo trarre dal forzato ricorso alla comunicazione digitale fra persone come necessario rimedio, argine tecnologico contro la pandemia. Parziale rimedio, tuttavia, che fa parte del male stesso, quale suo edulcorante correttivo, in realtà strato protettivo di processi di tecnicizzazione della vita, le cui estreme conseguenze stiamo appena constatando attraverso la reazione della natura alla devastazione umana della Terra. Dell’antropica desertificazione il nucleo motore è l’imposizione tecnica o tecnocrazia, i cui corollari nefandi sono l’omologazione culturale e il realismo digitale, l’ignoranza del trascendente e la mercificazione dell’uomo, l’astrattismo economico e l’urbanizzazione antropologica, la massificazione sociale e la meccanizzazione della vita.
Cartina al tornasole per vagliare la diffusione del male e preziosa ultima riserva marginale contro l’entropia culturale è l’educazione di giovani e bambini. Dalla loro sopravvivenza, naturale e culturale assieme, discende la sopravvivenza dell’uomo in Terra. Nel breve tempo sospeso della pandemia, la loro vita è stata affidata alle famiglie, al residuo di realtà familiari, resistite quale ultimo argine alle politiche antipolitiche, disumane, contrarie alla vita nascente e alla sua educazione nell’amore, possibile innanzitutto in famiglia. Famiglie intese tuttavia come mera struttura recettiva, da rieducare a suon di produttive (di vanità e vuoto) dottrine digitali: a distanza, per non sporcarsi le mani con la vita.
Quali i risultati del
banco di prova pandemico dell’educazione digitale? La comunicazione digitale risulta assai riduttiva rispetto a quella personale e, comunque, comunicazione non significa educazione. Sia nell’apprendimento di un discorso verbale trasmesso in videoconferenza, sia nella lettura di un testo scritto, fruibile per mezzo di dispositivi elettronici anziché libri cartacei, sia nell’espressione attraverso la babelica vuotezza mediatica globale, soprattutto nel caso della scrittura digitale, la complessità e creatività dell’intelligenza umana viene sempre meno. Si moltiplicano gli studi sperimentali sull’inferiorità dell’apprendimento attraverso supporti elettronici, anziché i tradizionali libri. Ma ancora più grave sarebbe una digitalizzazione scolastica nel senso della sostituzione dell’uso fine della mano, necessario allo scrivere con carta e matita, se non pennello o penna, con il diretto uso della tastiera di un computer (peggio ancora se i tasti diventino anch’essi virtuali, intangibili). Lo scrivere a mano comporta una finezza motoria impareggiabile, direttamente relazionata all’attivazione del cervello nelle sue funzioni più complesse.
Quando il bambino impara a scrivere, i differenti metodi dell’uso della mano, in particolare in relazione alle diverse possibili tecnologie di scrittura utilizzabili, ne determineranno un diverso sviluppo cerebrale, con attivazioni e formazioni più o meno complesse ed evolute. Lo scrivere a mano, con carta e penna, meglio ancora cartoncino e pennello, attiva l’uso fine della mano, dai polpastrelli alle dita, ai polsi, a tutto il corpo, ai sensi e persino al respiro. Imparare invece a scrivere attraverso la tastiera di un computer, pur ammesso che s’impari correttamente con tutte e dieci le dita, non con due o addirittura soltanto una di esse, e senza osservare la tastiera ma direttamente lo schermo e i caratteri digitati, inibisce gran parte di queste percezioni, mobilità, attivazioni, nonché un raffinato sviluppo attivo della neocorteccia cerebrale. Insomma, digitale non significa tattile, è anzi il suo contrario. I 'nativi digitali' sono altrettanti 'morti artigianali', se non 'cerebrali'; essi perdono fondamentali esperienze tattili, visive, uditive... motorie, che sono direttamente connesse con la formazione complessa del cervello, la cui attivazione risulta pertanto sempre più inibita e potrebbe condurre, in un prossimo futuro, a una più o meno graduale involuzione della specie. 

La progressiva perdita di manualità e artigianalità, persino di creativa artisticità, nelle nostre civiltà tecnologiche, non viene certo compensata da un maggior sviluppo dello spirito, tantomeno delle capacità cerebrali, poiché mano e cervello crescono o si atrofizzano di pari passo. Attendiamo con trepidazione che possano presto riaprirsi le scuole. Ma non vogliamo un’educazione digitale. Non abbiamo bisogno di una scuola senza libri e senza crocifissi, sostituiti da tablet e lavagne multimediali. Se questo è quanto può offrire la civiltà tecnologica, la politica rieducativa globale, la cultura del copia-incolla, allora è meglio l’isolamento comunicativo. Si capirà, forse, che innanzitutto in famiglia nasce la vita e che nell’amore della famiglia i bambini apprendono la parola, nella relazione continua, diretta, complessa senza di cui il vivente non cresce nell’uso del linguaggio e della ragione, della finezza motoria e della manualità, in sintesi: nella creativa arte umana.






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