giovedì 4 giugno 2020

CORONAVIRUS, SCUOLA, UN PATTO PER RIPARTIRE


Giovanna Perricone, presidente Società italiana di psicologia pediatrica: rifondare l’alleanza educativa Impossibile ricominciare come se nulla fosse successo. Le famiglie ora hanno una nuova consapevolezza.
«Ma ci rendiamo conto che abbiamo avviato una rivoluzione nel rapporto scuola-famiglia senza preoccuparci delle inevitabili inadeguatezze?»

di LUCIANO MOIA

«Non si tratta solo di capire se e quando riprenderanno le lezioni. Si tratta di ricostruire una comunità educante. Sarebbe un errore gravissimo ripartire come se non fosse successo nulla. Ma lo sarebbe altrettanto se facessimo finta che tutto quanto costruito in questi anni non contasse più nulla».
È un problema complesso ma ineludibile quello che pone Giovanna Perricone, presidente della Società italiana di psicologia pediatrica (Sipped), docente di psicologia dello sviluppo e dell’educazione all’Università di Palermo. Prima di pensare agli aspetti pratici della ripresa, pur importantissimi – la sicurezza, il distanziamento, le aule più o meno sanificate, gli orari compatibili con presenze ridotte, la copertura delle cattedre – è fondamentale ridare senso a quello che stiamo facendo, offrire a genitori e insegnanti lo spunto per ricostruire un’alleanza educativa che, già vacillante prima dell’emergenza coronavirus, ora – sostiene l’esperta – è completamente azzerata. «Se non pensiamo a ricostruire dalle fondamenta un significato condiviso, l’apertura delle scuole finirà per risultare molto più difficoltosa e si apriranno nuovi spazi di disagio».
La tesi espressa dalla presidente della Sipped non nasce soltanto su presupposti teorici, ma è stata affinata in questi mesi dal contatto, pur in via telematica, con centinaia di genitori e insegnanti.
Tra aprile e maggio una quarantina di professionisti della Sipped – quasi tutti psicologi o neuropsichiatri infantili – hanno partecipato al Servizio di secondo livello del Numero verde di supporto psicologico organizzato dal ministero della Salute. Grazie al Servizio “Legàmi légami” sono stati realizzati in streaming, su una piattaforma dedicata, circa 600 incontri su più livelli. «Il nostro compito – riprende l’esperta – era tenere sotto osservazione il rapporto tra lockdown e difficoltà educative. Ci siamo chiesti insomma quanto la quarantena blindata avesse reso più acute quelle situazioni di vulnerabilità relazionali tra genitori e figli piccoli, motivo di ansie e, nei casi più gravi, di sintomi depressivi». Cosa è emerso? «Ci siamo subito resi conto che è l’ascolto è indispensabile per progettare una ricostruzione educativa non teorica, ma fondata sulle esigenze concrete delle famiglie e degli insegnanti ». Si tratta, come evidenziato dal confronto, di una consapevolezza profondamente condivisa. Nonostante il senso di fragilità e inadeguatezza sia un dato costante, gli psicologi responsabili dei vari gruppi hanno verificato come fosse tenace la volontà – spesso tacita – di recuperare valori e identità anche da parte di quei genitori non abituati a riflettere sulle funzioni sociali e civili della scuola.
«Se vogliamo riprendere le nostre attività senza limitarci a considerare le scuole poco più di un parcheggio – osserva ancora Giovanna Perricone – dobbiamo rendere abituale il confronto tra genitori e insegnanti, non stancarci di proporre gruppi di incontro, comprendere ansie e difficoltà per costruire percorsi adeguati alla nuova situazione che stiamo vivendo». Possibile avviare un’opera così impegnativa all’inizio di giugno in vista della ripresa di settembre? «Tutto è possibile, anche se ormai il tempo che ci resta non è molto. Aiutare i genitore nella ridefinizione del proprio ruolo e del rapporto con la scuola è un impegno che sarebbe dovuto partire già tre mesi fa, quando ci siamo resi conto che le scuole per un lungo periodo sarebbero state chiuse». Invece sono prevalse altre urgenze. I bisogni dei bambini e dei genitori che avrebbero dovuto occuparsi a tempo pieno di loro sono stati messi in secondo piano. Un vuoto gravissimo, di cui pagheremo lo scotto per un lungo periodo. «Ma ci rendiamo conto che abbiamo avviato una rivoluzione nel rapporto scuola-famiglia senza preoccuparci delle conseguenze e delle inevitabili inadeguatezze?».
Il pensiero della presidente Sipped è chiaro. In poche settimane siamo passati da una tacita e quasi totale delega educativa da parte della famiglia alla scuola, a una situazione inversa, in cui cioè è stata la famiglia a doversi riassumere un compito a cui non era preparata. Non si è trattato solo di un problema didattico, ma soprattutto educativo, di relazioni, di trasmissione di valori. «Per troppi anni, tante famiglie assorbite dal lavoro e da ritmi esistenziali assurdi, avevano rinunciato a svolgere funzioni pur profondamente connesse al ruolo genitoriale. Da un giorno all’altro tutto si è rovesciato». Ci sono stati problemi, certo, talvolta anche difficoltà gravi, soprattutto nelle situazioni di maggior vulnerabilità familiare. Ma nella maggior parte dei casi le famiglie, bene o male, ce l’hanno fatta. Spesso in rete tra loro, talvolta anche senza il sostegno della scuola, neppure da remoto. Ora non si può riprendere tutto secondo il vecchio stile, come se nulla fosse successo.
Anche perché, in questo periodo, è capitato qualcosa di assolutamente positivo. Uno dei effetti sorprendenti del lockdown. Tanti genitori hanno cominciato a interrogarsi sul proprio ruolo, e ora chiedono di essere ascoltati, di poter interagire, non sono più disposti a tornare all’insignificanza. «Anche grazie agli incontri on line che abbiamo organizzato nella maggior parte delle regioni – sottolinea Giovanna Perricone – ci siamo resi conto che esistono risorse preziose da valorizzare. Se invece ci arrendiamo all’idea che tanto tutto tornerà come prima, se rinunciamo a lasciarci provocare, perderemo un’occasione preziosa per quella regolazione della funzione genitoriale da cui anche la scuola potrebbe trarre grande giovamento. E avremo ricostruito su basi nuove quell’alleanza educativa che è stata frantumata nei mesi nella quarantena blindata».
Ci credono i genitori, gli insegnanti, gli psicologi. Ma le istituzioni? La presidente della Società di psicologia pediatrica scuote la testa. «Poche speranze, purtroppo. Il ministero della Salute ci ha dimenticati, anche se in questa crisi abbiamo fatto la nostra parte, scendendo in campo come tante altre professioni del resto. Ma in Italia manca ancora una legge che impone la presenza di uno psicologo in tutti gli ambiti sanitari ed educativi. Anche qui ci sarebbe molto da ricostruire»





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