Giovanna
Perricone, presidente Società italiana di psicologia pediatrica: rifondare
l’alleanza educativa Impossibile ricominciare come se nulla fosse successo. Le
famiglie ora hanno una nuova consapevolezza.
«Ma ci rendiamo
conto che abbiamo avviato una rivoluzione nel rapporto scuola-famiglia senza
preoccuparci delle inevitabili inadeguatezze?»
di LUCIANO MOIA
«Non si tratta solo
di capire se e quando riprenderanno le lezioni. Si tratta di ricostruire una
comunità educante. Sarebbe un errore gravissimo ripartire come se non fosse
successo nulla. Ma lo sarebbe altrettanto se facessimo finta che tutto quanto
costruito in questi anni non contasse più nulla».
È un problema
complesso ma ineludibile quello che pone Giovanna Perricone, presidente della
Società italiana di psicologia pediatrica (Sipped), docente di psicologia dello
sviluppo e dell’educazione all’Università di Palermo. Prima di pensare agli
aspetti pratici della ripresa, pur importantissimi – la sicurezza, il
distanziamento, le aule più o meno sanificate, gli orari compatibili con
presenze ridotte, la copertura delle cattedre – è fondamentale ridare senso a
quello che stiamo facendo, offrire a genitori e insegnanti lo spunto per
ricostruire un’alleanza educativa che, già vacillante prima dell’emergenza
coronavirus, ora – sostiene l’esperta – è completamente azzerata. «Se non
pensiamo a ricostruire dalle fondamenta un significato condiviso, l’apertura
delle scuole finirà per risultare molto più difficoltosa e si apriranno nuovi
spazi di disagio».
La tesi espressa
dalla presidente della Sipped non nasce soltanto su presupposti teorici, ma è
stata affinata in questi mesi dal contatto, pur in via telematica, con
centinaia di genitori e insegnanti.
Tra aprile e maggio
una quarantina di professionisti della Sipped – quasi tutti psicologi o
neuropsichiatri infantili – hanno partecipato al Servizio di secondo livello
del Numero verde di supporto psicologico organizzato dal ministero della
Salute. Grazie al Servizio “Legàmi légami” sono stati realizzati in streaming, su
una piattaforma dedicata, circa 600 incontri su più livelli. «Il nostro compito
– riprende l’esperta – era tenere sotto osservazione il rapporto tra lockdown e
difficoltà educative. Ci siamo chiesti insomma quanto la quarantena blindata
avesse reso più acute quelle situazioni di vulnerabilità relazionali tra
genitori e figli piccoli, motivo di ansie e, nei casi più gravi, di sintomi
depressivi». Cosa è emerso? «Ci siamo subito resi conto che è l’ascolto è
indispensabile per progettare una ricostruzione educativa non teorica, ma
fondata sulle esigenze concrete delle famiglie e degli insegnanti ». Si tratta,
come evidenziato dal confronto, di una consapevolezza profondamente condivisa.
Nonostante il senso di fragilità e inadeguatezza sia un dato costante, gli
psicologi responsabili dei vari gruppi hanno verificato come fosse tenace la
volontà – spesso tacita – di recuperare valori e identità anche da parte di
quei genitori non abituati a riflettere sulle funzioni sociali e civili della
scuola.
«Se vogliamo
riprendere le nostre attività senza limitarci a considerare le scuole poco più
di un parcheggio – osserva ancora Giovanna Perricone – dobbiamo rendere
abituale il confronto tra genitori e insegnanti, non stancarci di proporre
gruppi di incontro, comprendere ansie e difficoltà per costruire percorsi
adeguati alla nuova situazione che stiamo vivendo». Possibile avviare
un’opera così impegnativa all’inizio di giugno in vista della ripresa
di settembre? «Tutto è possibile, anche se ormai il tempo che ci
resta non è molto. Aiutare i genitore nella ridefinizione del
proprio ruolo e del rapporto con la scuola è un
impegno che sarebbe dovuto partire già tre mesi fa, quando ci siamo resi
conto che le scuole per un lungo periodo sarebbero
state chiuse». Invece sono prevalse altre urgenze. I bisogni dei
bambini e dei genitori che avrebbero dovuto occuparsi a tempo pieno di loro
sono stati messi in secondo piano. Un vuoto gravissimo, di cui pagheremo lo scotto
per un lungo periodo. «Ma ci rendiamo conto che abbiamo avviato una rivoluzione
nel rapporto scuola-famiglia senza preoccuparci delle conseguenze e delle
inevitabili inadeguatezze?».
Il pensiero della
presidente Sipped è chiaro. In poche settimane siamo passati da una tacita e
quasi totale delega educativa da parte della famiglia alla scuola, a una
situazione inversa, in cui cioè è stata la famiglia a doversi riassumere un
compito a cui non era preparata. Non si è trattato solo di un problema didattico,
ma soprattutto educativo, di relazioni, di trasmissione di valori. «Per troppi
anni, tante famiglie assorbite dal lavoro e da ritmi esistenziali assurdi,
avevano rinunciato a svolgere funzioni pur profondamente connesse al ruolo
genitoriale. Da un giorno all’altro tutto si è rovesciato». Ci sono stati
problemi, certo, talvolta anche difficoltà gravi, soprattutto nelle situazioni
di maggior vulnerabilità familiare. Ma nella maggior parte dei casi le
famiglie, bene o male, ce l’hanno fatta. Spesso in rete tra loro, talvolta
anche senza il sostegno della scuola, neppure da remoto. Ora non si può
riprendere tutto secondo il vecchio stile, come se nulla fosse successo.
Anche perché, in
questo periodo, è capitato qualcosa di assolutamente positivo. Uno dei effetti
sorprendenti del lockdown. Tanti genitori hanno cominciato a interrogarsi sul
proprio ruolo, e ora chiedono di essere ascoltati, di poter interagire, non
sono più disposti a tornare all’insignificanza. «Anche grazie agli incontri on
line che abbiamo organizzato nella maggior parte delle regioni – sottolinea
Giovanna Perricone – ci siamo resi conto che esistono risorse preziose da
valorizzare. Se invece ci arrendiamo all’idea che tanto tutto tornerà come
prima, se rinunciamo a lasciarci provocare, perderemo un’occasione preziosa per
quella regolazione della funzione genitoriale da cui anche la scuola potrebbe
trarre grande giovamento. E avremo ricostruito su basi nuove quell’alleanza
educativa che è stata frantumata nei mesi nella quarantena blindata».
Ci credono i
genitori, gli insegnanti, gli psicologi. Ma le istituzioni? La presidente della
Società di psicologia pediatrica scuote la testa. «Poche speranze, purtroppo.
Il ministero della Salute ci ha dimenticati, anche se in questa crisi abbiamo
fatto la nostra parte, scendendo in campo come tante altre professioni del
resto. Ma in Italia manca ancora una legge che impone la presenza di uno
psicologo in tutti gli ambiti sanitari ed educativi. Anche qui ci sarebbe molto
da ricostruire»
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