sabato 13 luglio 2019

UN INCONTRO CHE DISTURBA



Commento di don Fabio Rosini 
al Vangelo del 14 Luglio 2019 

LEGGI IL BRANO DEL VANGELO - Lc 10,25-37

La nostra vita oscilla fra due estremi: la libertà che sfiora l’anarchia e la regola che rischia di sfociare in un controllo ossessivo.  Fantasia e norma. Follia e legge. Passione e dovere. Due poli che contrapponiamo, che esasperiamo, come se fossero inconciliabili, ferocemente opposti. O ami o righi diritto. O ti lasci andare alla gioia trasgressiva o fai il bravo ragazzo.
E quando pensiamo alla fede, alla religione, sinceramente, pensiamo solo teoricamente all’amore, noi cristiani, salvo poi impantanarci nella regola. Perché, alla fine, è la morale a prevalere. O, troppo spesso, a prevalere sono il giudizio e il moralismo.
Accoglienti certo, ma entro certi limiti. Perché, a volte, il nostro amorevole atteggiamento pone delle condizioni. Il Signore è venuto per gli ammalati, certo. Ma che si sbrighino a guarire, che diamine!
Che idioti.
Amerai
Nella Bibbia Dio ha a che fare con l’amore. Sempre. E il linguaggio che la Scrittura usa per rapportarsi a Dio è sempre legato al vocabolario degli affetti e delle emozioni. Come abbiamo letto nella magnifica prima lettura di oggi, la legge di Dio è posta nel nostro cuore. È vicina a noi. E quando, interrogato, Gesù chiede al sapiente dottore della Legge di scegliere lui il più importante dei comandamenti, questi correttamente risponde riprendendo lo Shemà, la professione di fede cui era tenuto il pio israelita. Ecco la legge scritta nei nostri cuori, non lontana, accessibile, che ci identifica: amerai.
Amerai. Dio al meglio delle tue capacità, con intelligenza, con forza, con passione. Il fratello, come se fossi te stesso. Un amore concreto, tangibile, misurabile.
Che è passione (altrimenti che amore è?) ma che non si ferma all’emozione, diventano scelta, azione, concretezza. Alla contrapposizione fra amore e regola, la Scrittura risponde proponendo un amore concreto, identificabile, tracciabile, in cui la norma è la forma dell’amore, non si sostituisce ad esso. E, per farcelo capire, Gesù propone al dottore della Legge, e a noi, un luminoso esempio.
Briganti
Nel tratto di ventisette chilometri che separano la capitale dalla città di Gerico, mille metri di dislivello nel roccioso deserto di Giuda, si viaggia in carovana per non cadere in mano ai briganti. Un tale, imprudente, viaggia da solo, viene rapinato e ferito, lasciato morente a bordi della strada. È “un uomo” che scende da Gerusalemme. Non sappiamo nulla di lui né nulla sapremo.
Di che religione è, se è una persona onesta o un malandrino, se è una vittima o un carnefice. Per caso passano di là prima un prete, poi un cantore/lettore. Per caso: l’incontro col fratello bisognoso è sempre casuale, lo incrociamo mentre prendiamo il treno o per strada.  I due, probabilmente, hanno appena concluso il servizio al tempio. Un’intera settimana passata a lodare Dio e a chiedere misericordia. Misericordia che negano al malcapitato. Fanno finta di non vedere, tirano dritto. Che ne sanno di chi è quel tale e cosa è successo? E se fosse un regolamento fra bande? E se avesse l’AIDS? E se i briganti tornassero?
Hanno Dio nel cuore, sulle labbra, fanno discorsi sensati, prudenti. Non sono malvagi, brava gente. Sono solo paurosi. Far finta di non vedere è meglio. Gesù non li biasima, né li condanna: sono figli del loro tempo. E del loro Tempio. E del loro Dio da venerare e omaggiare con incensi e olocausti. Nel Tempio. Perché fuori il mondo non esiste, è brutto e cattivo, è un covo di vipere. Invece un samaritano. Un po’ di anticlericalismo andava di moda anche allora. Tutti si aspettavano che Gesù facesse entrare in scena un pio devoto laico, un credente adulto e motivato, non bigotto e formale, magari simile a qualcuno presente fra la folla. Chiunque, ma non un samaritano. Dire “samaritano” ad un ebreo era un insulto e l’odio fra i due popoli era radicato. 
Un samaritano scende per caso.
Siamo noi ad averlo chiamato “buono”. Non sappiamo nulla di lui, magari è un delinquente. Ma è ciò che fa che è “buono”. Non va a cercarsi la persona da aiutare, è la vita che ce la mette in mezzo ai piedi continuamente. Il samaritano vede un uomo, non un nemico, non uno dell’altra squadra.
Un uomo che ha bisogno. E il suo è anzitutto un bisogno di compassione. Di patire insieme. Di condividere. Si ferma, agisce, si prende cura di lui e all'albergatore, pagato, chiederà di fare lo stesso.
Il sentimento diventa azione. Azione che gli fa perdere tempo, soldi, che gli fa correre dei rischi.
Non fa il salvatore della patria, ha la sua vita, continua il suo viaggio impegnandosi, di ritorno, a fermarsi per saldare eventuali debiti. Accompagna ed affida. Non può risolvere tutti i problemi.
È l’obiezione che mi sento rivolgere continuamente: A che serve salvare i povericristi che arrivano con i barconi? È un intero continente a fuggire! Vero: io, però, ho davanti agli occhi quel migrante che mi chiede solo di essere visto. Cosa vuoi che faccia la mia protesta di cittadino se intorno tutti rubano e se ne fregano? Giusto: io, però, voglio consegnare a mio figlio un mondo migliore e mi comporto onestamente.
Ha ancora senso cercare di accogliere i nostri ragazzi, ora che il mondo occidentale disprezza il cristianesimo? D’accordo: io, però, continuo a parlare del magnifico volto di Dio sperando che qualcuno se ne accorga. La mia è solo una goccia nell’oceano. Una sola.
Ma questa non è una buona ragione per non farla cadere nell’acqua.






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