Che è accaduto alla nostra
anima?
di Giuseppe Savagnone
Vorrei dedicare questa riflessione non
alle vicende politiche di questi ultimi mesi – o forse sarebbe più appropriato
dire: di questi ultimi anni –, ma a noi, agli italiani, e a ciò che nel corso
di queste vicende è accaduto alla nostra anima. Sì, all’anima delle persone.
Perché anche tanti che pure non credono
in un principio immortale dentro l’uomo, anche tanti che sono alieni da
prospettive religiose o magari soltanto “spirituali”, in questa ormai lunga
stagione della nostra vita pubblica che va sotto il nome di «Seconda
Repubblica» hanno percepito, più o meno oscuramente, che qualcosa stava venendo
meno, a un livello molto profondo, in quella sfera segreta in cui si decide l’
atteggiamento delle persone verso la vita e verso gli altri, e che qui chiamo
“anima”.
La «bancarotta spirituale»
Che questo disagio non sia l’illusione
ottica di un cattolico nostalgico del passato mi sembra lo confermi la pagina
letteraria di «Repubblica» del 10 maggio 2018, dove si pubblicava un testo del
monaco trappista Thomas Merton.
Il titolo dato dal curatore era: «La vera
bancarotta è quella spirituale». E nell’“occhiello” si leggeva: «Perdere
l’anima». Eloquente la presentazione del pezzo: «Era lo scorso secolo. Ma
sembra oggi».
Scriveva Merton: «Generazioni su
generazioni di uomini hanno a tal punto perduto il senso di una vita interiore,
si sono talmente isolati dalle loro profondità spirituali (…), che ora noi
siamo quasi incapaci di godere di una qualsivoglia pace, quiete, stabilità
interiore. Gli uomini sono arrivati a vivere esclusivamente sulla superficie
del loro essere (…). Siamo lasciati in balìa di stimoli esterni e la
stimolazione è arrivata addirittura a prendere il posto che, una volta, era
occupato dal pensiero, dalla riflessione e dalla conoscenza».
Una malattia che colpisce in primo luogo i giovani
Il fenomeno, in sé, è antico quanto
l’uomo. Ma ci sono epoche in cui il contesto culturale e sociale favorisce
questo smarrimento profondo.
I primi ad essere colpiti sono i più
giovani. Penso al triste fenomeno dei Neet – i ragazzi che non studiano, né
lavorano, né cercano lavoro –, che in Italia sono il 29,1% dei giovani tra i 18
e i 24 anni (quasi uno su tre!); penso ai suicidi, che tra gli under 25, sono
nel nostro Paese la seconda causa di morte dopo gli incidenti stradali; penso
ai comportamenti balordi e anch’essi in sostanza autodistruttivi, sotto
l’influsso dell’alcol o delle droghe…
Tv e crisi della politica nella “Seconda Repubblica”
Questo “vuoto dell’anima” si è da un lato
alimentato, dall’altra manifestato grazie al progressivo deterioramento dei
programmi televisivi, all’irrompere del vocìo dei social, al decadere degli
stili della politica.
Nell’ultima fase del secolo scorso è
stato il passaggio dalla Tv “pedagogica” dei grandi sceneggiati televisivi –
come «Jane Eyre» o i «Promessi Sposi» – a quella commerciale del «Grande
Fratello» a segnare un irreversibile imbarbarimento.
Nel frattempo la politica diventava
spettacolo, con i volti dei leader e gli slogan pubblicitari al posto degli
ideali e dei programmi, con l’inizio del dominio della post-verità, in grado di
capovolgere la realtà sostituendola con dei miraggi, con l’offuscamento delle tradizionali
regole della dignità e del pudore.
Una crisi vissuta dalla “destra”
all’insegna del potere del denaro e del mito del successo, efficacemente
rappresentato dal personaggio di Berlusconi; dalla “sinistra” sostituendo alla
ormai obsoleta concezione marxista quella liberal-borghese dell’individualismo
possessivo (ognuno è proprietario del proprio corpo e della propria vita e non
deve risponderne a nessuno) e dei diritti senza doveri.
Lo sviluppo senza solidarietà
In questo deserto valoriale, dove la
cosiddetta “fine delle ideologie” mascherava in realtà il trionfo dell’unica
sopravvissuta, condivisa alla fine dagli opposti “poli”, nessuno si è più
occupato dei più deboli, dei poveri, delle generazioni future.
Lo sviluppo c’è stato, ma la forbice tra
ricchi e poveri si è allargata sempre di più. Quando Renzi fece la riforma
fiscale dovette ammettere che essa non riguardava quei cinque milioni di
italiani, detti “incapienti”, che non potevano neppure pagare le tasse, perché
non avevano il reddito minimo per farlo, mente i membri (numerosi) della “casta”
fruivano di pensioni stratosferiche a spese dei contribuenti.
Il popolo senz’anima
L’avvento del cosiddetto “populismo” è
stata la logica reazione a questa situazione. Sostenuto dall’avvento dei social
e dal nuovo potere che essi davano a chiunque di esprimersi e di pesare, esso
ha sovvertito il quadro politico e portato alla ribalta nuovi protagonisti.
Purtroppo, il soggetto di questa
rivoluzione, in sé legittima, era un popolo da tempo svuotato dei vecchi valori
e incapace di trovarne altri alternativi, che si è trovato protagonista della
politica (emblematico il peso che hanno i sondaggi) senza avere mai avuto una
educazione alla cittadinanza e al bene comune (l’“educazione civica” nelle
nostre scuole è rimasta sempre un fantasma) né dalla famiglia (peraltro a tempo
in crisi), né dalla scuola (sempre più ispirata ala logica della “trasmissione
dei saperi” piuttosto che a quella dell’educazione), né dalla parrocchia (ormai
ridotta spesso a una stazione di servizio per la distribuzione di sacramenti).
Il “vuoto dell’anima” sui social
Il “vuoto dell’anima” in realtà era
ancora più profondo. La politica ne è stato solo un drammatico specchio. Il
declino della morale diffusa e della religiosità popolare del passato ha potuto
dare un senso di maggiore libertà.
Salvo però a scoprire che, insieme a
tante altre cose, è venuta meno anche quella base valoriale condivisa che
garantiva, al livello pubblico, il retroterra “privato” di una spiritualità e
di un’etica ispirate al vangelo e dunque umane.
Lo spettacolo spaventoso (cito solo un
esempio tra i mille) di un’ondata di commenti inneggianti al suicidio di un
immigrato che temeva il ripatrio – «Uno di meno!»; «Morite tutti!» e cose del
genere – è un fatto culturale che dovrebbe atterrire (e in effetti a volte
atterrisce) anche chi è favorevole alla politica dei “porti chiusi”, perché
rivela una “perdita” dell’anima ben più profonda del piano delle scelte che
riguardano la politica.
Programmi politici inadeguati
Anche se poi la politica della “destra”
l’intercetta e la usa, come fa Salvini, per suffragare queste scelte, che
vengono incontro a una sensibilità ormai diffusa, permettendosi anche di
presentarle come scelte “evangeliche”, solo perché avallate da simboli
religiosi e a preghiere ai santi (a tal punto è arrivata la perdita del senso
del vangelo tra i “cattolici”!).
Come del resto, sul fronte opposto, si
crede di poter rivitalizzare l’asmatico respiro della “sinistra” promettendo,
come ha fatto recentemente Zigaretti, una lotta decisa per far passare la legge
sull’eutanasia.
Non – attenzione – un progetto per conciliare
l’accoglienza con l’integrazione (ciò su cui i governi di “sinistra” hanno
miseramente fallito nel passato); non una serie di iniziative coraggiose per
venire realmente incontro agli italiani poveri (quelli che Salvini cita sempre
per spiegare perché respinge i migranti, ma a cui offre come soccorso il
condono agli evasori fiscali e, in prospettiva, la riduzione delle tasse ai
ricchi).
Garantire il diritto dell’individuo di
morire senza risponderne a nessuno: questo l’ambizioso obiettivo, in una società
dove moltissimi vorrebbero invece assicurato il diritto di vivere, sulla base
di una visione in cui la libertà sia praticata come reciproca responsabilità.
Al di là dell’individualismo possessivo
Al posto dell’individualismo possessivo
deve rinascere una cultura della solidarietà, dove l’“essere” della persona sia
più importante dell’“avere” e dove i doveri vengano prima dei diritti. Ma
questo non sarà possibile se le persone non saranno messe in grado di uscire
dalla superficialità del flusso mediatico e di ritrovare se stesse.
Scriveva Thomas Merton: «La bancarotta
spirituale dell’uomo non gli ha lasciato nessuna possibilità di rifugiarsi in
se stesso, nessuna cittadella interiore in cui potersi ritirare per raccogliere
le forze (…). L’ultimo posto al mondo in cui l’uomo moderno cerchi rifugio e
consolazione sono le profondità della propria anima (…). Il pensiero di
prendere residenza in noi stessi ci alletta quanto quello di vivere in una casa
infestata fantasmi».
Il compito delle comunità educanti
Le tradizionali comunità educanti – la
famiglia, la scuola, la Chiesa – devono uscire dallo stato di paralisi in cui
le hanno messe i nuovi stili comunicativi e mettere in azione la loro fantasia,
per ripartire da qui. Dalla ricerca e dalla riscoperta dell’anima. Se la
ritroveranno le persone, anche la politica – al di là della diversità delle
posizioni – tornerà ad averne una.
È un progetto a lunga scadenza, certo,
come tutti quelli che riguardano le profondità dell’essere umano. Ma le
soluzioni a breve termine sono ingannevoli. Si crede di uscire dal buio ma, se
non cambiano le persone, da Berlusconi si passa a Renzi e da Renzi a Salvini…
L’esperienza dice che al peggio non c’è fine. Solo se riusciremo a riaprire le
porte del pensiero e della riflessione potremo sperare di sconfiggere i mostri
che si aggirano nel grande vuoto, perché questo vuoto non è chi sa dove, è
dentro di noi.
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