«Essere felici è una scelta, ma nessuno può esserlo da solo, se non puo dire grazie a qualcuno o se non può donarsi gratuitamente a qualcuno
La vita felice è svegliarsi con una missione da compiere.
È vivere ogni giorno non come se fosse l’ultimo ma come se fosse il primo di una vita spalancata sull’eternità»
di ANTONIO GIULIANO
il cruccio dell’uomo da
sempre: la ricerca della felicità. Non a caso si sono arrovellati tutti i
grandi pensatori dell’antichità, da Aristotele a Seneca, da Agostino a Tommaso
d’Aquino. Ma è una questione che tiene banco anche oggi. Basta guardare solo ai
tanti (decisamente troppi) volumi che invadono le librerie promettendo un
benessere fai da te, vago ed effimero, in cui spesso la felicità fa rima
con banalità. Di taglio nettamente diverso sono due saggi, Ti
penso positivo. #lafelicità è una scelta (Paoline, pagine 320, euro
16) e l’ultimo, Un sorriso prima di tutto. 101 idee per illuminare la
nostra vita (San Paolo, pagine 144, euro 14) scritti da Mimmo
Armiento, appassionato psicologo e psicoterapeuta. Sono testi che, pur dietro un’apparente
leggerezza, nascondono un lavoro di recupero della grande tradizione della
Chiesa in merito all’introspezione dell’animo umano. Esponente della psicologia
positiva in Italia, Armiento è anche tra i promotori del Laboratorio di
psicologia cristiana che si tiene ogni anno ad Assisi.
Eppure lei si rivolge soprattutto a
chi non crede.
Avere Dio come
riferimento è necessario per la nostra felicità. Ed è una felicità a cui anche
il non credente può aspirare, riconoscendo che Dio è in ogni cosa che reputa
vera e buona. La nostra ragione se non viene offuscata da pregiudizi porta al
Creatore. Già restare incantati davanti a ciò che esiste significa affermare
Dio. È un’esperienza che facciamo sin da bambini.
In che senso?
A cinque-sei anni capisci
che non sei al mondo come un pezzo del corpo di tua madre o di tuo padre.
Quando dici “io” ti accorgi che questo io precede quello dei tuoi genitori. E
puoi avere l’intuizione che se esisti è perché qualcuno ti ha voluto,
percepisci la tua esistenza come dono e non come casualità.
È un orizzonte negato anche dalla sua
disciplina, tant’è che lei sostiene come sia sempre più necessario passare da
una psicologia positivista a una positiva.
La psicologia positivista
ha ridotto l’uomo a organismo animale, evolutosi per caso e necessità. Mentre
la psicologia positiva, fondata venti anni fa negli Stati Uniti da Martin
Seligman, non esclude in modo aprioristico la dimensione morale e spirituale.
Prevale una visione della felicità così come era definita dai Greci: eudaimonia, cioè
seguire il proprio “angelo” buono, la propria voce buona dentro la coscienza. E
quando parliamo di coscienza non intendiamo solo la coscienza che abbiamo degli
altri, ma anche la coscienza di un Altro da cui proveniamo.
Che cosa rende felici le persone
secondo la psicologia positiva?
Il giudizio di felicità
sulla propria vita non viene solo da fattori edonistici come per esempio quanto
è stata piacevole la giornata, ma anche se ha avuto senso, se ho fatto qualcosa
di buono o se ho fatto il mio dovere. L’eudaimonia è una bene-dizione che sento
dentro. Se io sono gentile con qualcuno e quella persona mi ringrazia io
interiorizzo la sua bene-dizione, mi sento contento. Se ho fatto il mio dovere,
ho lavorato tanto e torno a casa, mi sento dentro una benedizione perché è come
se avessi rispettato quell’indicazione di bene che avvertivo nella coscienza.
È un discorso che tira in ballo le
virtù.
Certo, la virtù rende
felici. Non a caso Socrate diceva che è più felice chi subisce un’ingiustizia
rispetto a chi la fa, perché chi la subisce non perde una benedizio-È ne
interiore mentre chi la fa ha la disapprovazione della propria coscienza. E
questo è coerente con la preghiera perché quando entri in contatto con
l’assoluto ti senti benedetto dentro. La preghiera ci rende felici proprio
perché interiorizziamo una benedizione.
Sembra tutto facile. Eppure non basta
un clic per essere felici.
Infatti la felicità è
qualcosa di semplice ma non facile. È una scelta, spesso coraggiosa. A volte
eroica, come la felicità di chi fa il proprio dovere magari entrando nelle
fiamme per salvare qualcuno. O semplicemente scegliendo, non sempre di cambiare
lavoro, ma sicuramente di cambiare il modo in cui lo si vive. Accorgendoti del
bene che fai intorno a te facendo col cuore il tuo lavoro.
Dal time-out per evitare che una discussione degeneri alla
serata cinema in famiglia: il suo libro è una dispensa di semplici suggerimenti
per essere felici. Ma si intuisce che uno dei segreti per vivere con gioia è
essere grati per ciò che siamo.
Le ricerche di Robert
Emmons confermano che le persone con un atteggiamento di gratitudine sono anche
quelle che si dichiarano più felici. Gratitudine non solo verso gli altri o
verso sé stessi, ma anche nei confronti degli eventi della vita. Ma essere
grati presuppone Qualcuno verso cui essere riconoscente.
All’origine di tutto per lei c’è un
sorriso.
Nasciamo tutti da un
sorriso. Quello con cui mamma e papà si sono incontrati. Se siamo qui ora
è perché un uomo e una donna, si sono sorrisi e ci hanno sorriso! E quanto più
è stato autentico il loro sorriso, tanto più è luminoso il sorriso che ci
portiamo dentro. Felice è l’uomo che intuisce di non essere più solo figlio del
sorriso dei suoi genitori, ma anche del sorriso più bello, quello di Dio.
Nei suoi libri felicità è sinonimo di
nuzialità. Con sua moglie ha fondato un’associazione, Ingannevole come
l’amore, con cui gira l’Italia per testimoniare la bellezza del
matrimonio.
Nessuno è felice se non
può dire grazie a qualcuno o se non può donarsi gratuitamente a qualcuno.
Nessuno può essere felice da solo. Anche se vinco al Superenalotto non sarei
davvero contento se non avessi qualcuno con cui condividere questa gioia. La
felicità poi è sempre un incontro nuziale. Con mia moglie e altre coppie di
sposi da otto anni portiamo avanti degli incontri formazione per single o
sposati. Un’iniziativa che solo grazie al passaparola ci ha permesso di
incontrare migliaia di persone. Vogliamo solo condividere una bellezza che
spesso non si vede: la felicità in famiglia. Oggi “amore” è la parola più
ingannevole. In questa cultura relativista presumiamo già di sapere cosa sia.
Ma l’amore ha le sue leggi. Se le rispetti diventa gioia, altrimenti hai chiamato
amore qualche altra cosa, una trasgressione o una dipendenza. Nell’amore di un
uomo e una donna c’è il senso vero dell’amore: passione, appartenenza, scelta
dell’altro nella sua insostituibilità, rispetto della sua unicità.
Uno dei cardini della sua psicologia
è «vivere la vita come una missione».
Nessuno cammina perché ha
le gambe e nessuno mangia semplicemente perché ha fame, ma se ha una
ragione per camminare e per mangiare. La psicologia positiva ci conferma che è
felice chi trascende se stesso verso qualcosa più grande di lui, chi riconosce
nella propria vita un senso, una mission da compiere, un donarsi a un bene più
grande anche nel realizzare i propri talenti.
Perché la felicità di cui parla è
qualcosa che non finirà?
Perfino Nietzsche ha ammesso
che un piacere per essere gustato ha bisogno d’eternità. Come possiamo godere
davvero di un bene se abbiamo paura che ci sfugga tra le mani come il tempo?
Per gustare davvero un attimo di bene abbiamo bisogno di sapere che il Bene è
eterno. La vita felice è sentirsi svegliati da una mission da
compiere. È vivere questo giorno, il mio giorno, non come se fosse l’ultimo ma
come se fosse il primo di una vita spalancata sull’eternità.
«Essere felici è una
scelta, ma nessuno può esserlo da solo, se non puo dire grazie a qualcuno o se
non può donarsi gratuitamente a qualcuno La vita felice è svegliarsi con una
missione da compiere. È vivere ogni giorno non come se fosse l’ultimo ma come
se fosse il primo di una vita spalancata sull’eternità»
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