A PROPOSITO DELLA LINGUA ITALIANA
Il principale obiettivo
dell’apprendimento linguistico, a partire da quello della lingua madre, dal cui
saldo possesso dipendono gli altri apprendimenti, dovrebbe essere quello di
privilegiare la significatività e l’efficacia della comunicazione, non la sua
correttezza formale, che comunque va curata anche perché spesso la sciatteria
della forma è un indicatore della scarsa qualità del contenuto comunicato.
La lingua tuttavia evolve
nel tempo e nello spazio: basti pensare – per restare nella contemporaneità –
ai diversi modi di parlare e scrivere in inglese, dall’american english allo
spanglish alla neolingua collegata all’evoluzione tecnologica e alle abitudini
comunicative dei giovani. In questo inglese compaiono molte novità che un
sopracciglioso custode dell’inglese classico considererebbe errori più o meno
gravi, ma che sono spesso il frutto dei cambiamenti in corso.
E che dire del passaggio dal
latino alle lingue neolatine? O delle novità intervenute nella lingua italiana,
di cui pure è testimone la stessa Accademia della Crusca?
La questione di fondo della
quale ci si dovrebbe preoccupare non è tanto quella del rispetto formale della
lingua canonica (che è comunque un prodotto delle dinamiche storico-culturali)
quanto quella della chiarezza, completezza e coerenza logica della
comunicazione, sia scritta che orale.
A questo risultato, d’altra
parte, puntano prioritariamente (senza peraltro ignorare le verifiche sulla
grammatica e sull’ortografia) anche le Indicazioni nazionali nell’ultima
versione del 2012, che ovviamente non possono essere considerate responsabili
degli errori ortografici degli attuali studenti universitari, nati nell’ultimo
decennio dello scorso secolo. Lo ricorda in un
esaustivo articolo (Gruppo
dei 600 e ragazzi di Barbiana) che si può leggere sul portale di Tuttoscuola
il professore Italo Fiorin, già coordinatore della Commissione che tali
Indicazioni ha redatto.
I firmatari dell’appello,
osserva Fiorin, “sembrano nostalgici di una età dell’oro, che, se mai c’è
stata, oggi non luccica più. Un’età nella quale la famiglia normativa insegnava
ai bambini le regole che oggi la famiglia affettiva non insegna più; un’età
nella quale era considerato normale che ci fosse una selezione precoce, e che
questa avvenisse, auspicabilmente, fin dai primi anni di scolarizzazione. Un’età
nella quale alla scuola media arrivavano alunni già selezionati, per non
parlare dei licei o dell’università. Classi senza alunni con i rilevanti
svantaggi sociali o culturali, senza alunni stranieri, senza alunni con
disabilità”. Ma dei quali la scuola di oggi, e ancor più quella di domani, deve
preoccuparsi.
Da TUTTOSCUOLA
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