Carissimo Padre Francesco,
ho pensato di scriverle perché ho
domande da sottoporre alla sua attenzione. Domande semplici, forse infantili, ma non prive
di una qualche utilità. Immagino facilmente quanto numerosi e grandi sono i
problemi che ogni giorno deve affrontare. Per questo devo chiarire
le ragioni del mio ingenuo coraggio.
Da
quando lei è comparso alla guida della Chiesa un nuovo entusiasmo ha preso
possesso del mio essere prete. Non sono più giovane e conservo nel cuore, con
forte e motivata gratitudine, il ricordo del Concilio.
Ho atteso,
poi, per diversi anni che spuntasse
l’alba. Gli oltre quaranta anni vissuti
a Roma in veste di Assistente Nazionale di una importante associazione
cattolica non mi hanno fatto mancare motivi di gioia ecclesiale. Tante preziose
iniziative sono state attuate. Ma c’era qualcosa che non girava per il verso
giusto. II gran parlare che si faceva
del Concilio mi pareva non si traducesse in convinta accoglienza delle sue importanti
consegne. Ho avuto la sensazione che, soprattutto nella Chiesa Italiana, molti
dei percorsi che nel Concilio avevano avuto inizio non riuscissero a trovare
adeguata continuazione E’ opportuno spiegarsi.
Penso, in primo luogo, a quella
specie di magnifica autostrada per
giungere sicuri al cuore della esperienza cristiana che aveva trovato espressione nella “Dei
Verbum”. Venivamo da un lungo digiuno a motivo delle polemiche con la Riforma.
Il Concilio aveva rimesso al centro della liturgia, della teologia e della vita la Parola di Dio. Fu
l’evento più entusiasmante. Dobbiamo riconoscere che qualche frammento di
salutare cammino, in proposito, è stato prodotto, ma troppo poco. Ancora, per gran parte del popolo
di Dio lo sguardo alla Bibbia è segnato da pesanti connotazioni di
fondamentalismo. Alto è il tasso di estraneità alla Parola di Dio.
Penso,
poi, alla configurazione interna della comunità cristiana quale popolo di Dio....
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