Ambrogio Ietto
28 febbraio 2013, ore 20: Benedetto XVI è entrato nella storia della Chiesa
e dell’umanità come pontefice dimissionario. I nostri nipoti, ora non pienamente
consapevoli di questo straordinario atto compiuto dal 265° successore di
Pietro, avranno modo di analizzare questa decisione alla luce degli eventi che
si succederanno per caratterizzare, speriamo in meglio, questo primo secolo del
terzo millennio.
Non ci sarà un secondo Dante Alighieri disponibile a collocare nell’Antinferno
Joseph Aloisius Ratzinger e a dedicargli quel ‘ colui che fece per viltade il
gran rifiuto ‘, concesso, così si
ipotizza, al suo predecessore Celestino V, elevato poi a santo da papa Clemente
V. Sono trascorsi oltre sette secoli dalla rinuncia al papato da parte di
Pietro da Morrone che si imbatté in difficoltà proprie di quel periodo storico.
Il papa emerito Ratzinger ha
dato l’annuncio della straordinaria e sofferta decisione al Concistoro convocato per canonizzare gli ottocento
abitanti di Otranto uccisi il 14 agosto 1480 dai turchi per essersi rifiutati di
convertirsi all’Islam. In quello stesso giorno la Chiesa Cattolica celebra
Nostra Signora di Lourdes ma anche la ricorrenza dei Patti Lateranensi, gli
accordi che sancirono l’avvenuta conciliazione delle relazioni tra Santa Sede e
Stato italiano, ponendo così fine alla cosiddetta questione romana.
Tra l’11 febbraio scorso ad
oggi centinaia sono stati i contributi redatti da vaticanisti, storici,
filosofi, giornalisti, politici che hanno cercato, alla luce di eventi anche
straordinariamente gravi per la stessa Chiesa, di trovare più fondate
motivazioni giustificative dell’eccezionalità dell’atto compiuto.
Molto umilmente, senza essere tentato dal collocarmi nelle categorie
richiamate, ritengo che a fondamento della decisione ci sia stata la serena
consapevolezza, che scaturisce soltanto dalla sorgente fresca e generosa della
Fede, della sproporzione oggettivamente verificata tra la complessità dei
problemi che investono l’umanità planetaria del nostro tempo e della stessa
comunità ecclesiale e la sofferta constatazione della fragilità del proprio
corpo.
La verifica è avvenuta nel corso di un lungo, travagliato dialogo tra
l’uomo Ratzinger e l’entità soprannaturale del divino, reso sicuramente forte e
partecipato grazie al collante unico della Fede. La scelta compiuta, di certo
coraggiosa e sofferta, supera decisamente
il migliore trattato possibile di
pedagogia dell’umiltà.
Ha segnato le nostre coscienze più dell’ipotetica dipartita fisica del pontefice tedesco e, ne
sono certo, ha fatto un gran bene alla
Chiesa, ai credenti e, soprattutto, ai non credenti.
Da qualche giorno leggiamo ed ascoltiamo le espressioni amare dei
tanti politici non riconfermati nel mandato parlamentare ricoperto in
precedenza.
Traspaiono accuse, delusioni, risentimenti. Nessuna dichiarazione che
lasci percepire serena accettazione del responso delle urne e disponibilità a
comprendere che ‘sic transit gloria mundi’.
Papa Ratzinger, invece, potenzierà la sua Fede con la preghiera che
costituisce la più alta espressione dell’umiltà e della fragilità umana.
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