L'impatto sociale della riforma.
L'abolizione della protezione umanitaria moltiplicherà le presenze irregolari
Un articolo del direttore della Caritas
don Francesco Soddu.
Il decreto sicurezza, recentemente varato dal Governo, si presenta come l’ultima ricetta per guarire da quello che molti chiamano “il male dell’immigrazione”. Non è certo il primo esecutivo che, appena insediato, interviene su un tema considerato dai più politicamente sensibile. Peraltro sembra che nel nostro Paese si assista di continuo a una sorta di sindrome di Penelope per cui chi va al Governo si affretta a disfare quanto fatto da chi lo ha preceduto. Sul decreto, la previsione che desta maggiore preoccupazione è certamente l’abolizione della cosiddetta protezione umanitaria. La conseguenza più evidente sarà un aumento dell’irregolarità sui territori con conseguenze anche in termini di sicurezza. Alla data odierna, infatti, circa 140 mila persone titolari di un permesso di soggiorno per motivi umanitari rischiano di cadere o di ricadere in una condizione di irregolarità del soggiorno che li esporrà al rischio di povertà estrema, di marginalità e di devianza. Il decreto cerca comunque di attenuare questa previsione introducendo i cosiddetti permessi speciali per meriti civili, per cure mediche, o in caso di calamità naturale nel Paese d’origine. Evidentemente si tratta di una casistica residuale che non produrrà effetti particolarmente significativi per rispondere all’esigenza di protezione di molti tra coloro che cercano di raggiungere l’Europa, fuggendo in particolare da aree dove ci sono conflitti armati.
Altro aspetto che avrà un forte impatto sui territori è il ridimensionamento del programma Sprar (Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati), costituito da centri molto piccoli e posto sotto l’egida dei Comuni: se fino a oggi era destinato anche all’accoglienza dei richiedenti asilo e rifugiati, in base al decreto sarà limitato a chi ha già ricevuto la protezione internazionale e ai minori non accompagnati. Tutti gli altri, la maggioranza, andranno nei centri governativi, ovvero nei Cara. Questa scelta penalizzerà molto i territori e la qualità dell’accoglienza in quanto predilige le strutture di grandi dimensioni, che in genere sono elemento di preoccupazione e paura diffusa, in controtendenza rispetto all’esperienza sperimentata, per esempio, nel progetto “Protetto, rifugiato a casa mia”, che ha finora coinvolto 76 diocesi e 551 migranti in percorsi di condivisione parrocchiale o familiare e con lo stesso modello si è poi allargata anche a quanti sono arrivati grazie ai corridoi umanitari voluti e finanziati dalla Conferenza episcopale, portando così il numero totale degli accolti a circa 1.000. Il vero rischio che ora il Paese corre è quello di aumentare, paradossalmente, la propensione all’illegalità, rendendo più fragile la coesione sociale anche per le famiglie italiane, mentre per le imprese sarà più difficile reperire legalmente manodopera giovane e motivata.
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