Dieci anni fa Papa Benedetto XVI scriveva ai fedeli di Roma - la sua Diocesi - e a tutti i romani una lettera sul tema centrale dell’educazione, uno degli argomenti su cui il Papa si è speso più volte nel corso del suo pontificato.
Papa Benedetto parlava di una emergenza educativa,
che nasce da “un'atmosfera diffusa, una mentalità e una forma di cultura
che portano a dubitare del valore della persona umana, del significato
stesso della verità e del bene, in ultima analisi della bontà della
vita. Diventa difficile, allora, trasmettere da una generazione
all'altra qualcosa di valido e di certo, regole di comportamento,
obiettivi credibili intorno ai quali costruire la propria vita”.
Benedetto XVI per rendere concreta la sua impostazione cerca di “individuare alcune esigenze comuni di un'autentica educazione.
Essa ha bisogno anzitutto - sostiene il Papa - di quella vicinanza e di
quella fiducia che nascono dall'amore: penso a quella prima e
fondamentale esperienza dell'amore che i bambini fanno, o almeno
dovrebbero fare, con i loro genitori. Ma ogni vero educatore sa che per
educare deve donare qualcosa di se stesso e che soltanto così può
aiutare i suoi allievi a superare gli egoismi e a diventare a loro volta
capaci di autentico amore”.
Ma qual è - si domanda Papa Benedetto - il punto più delicato dell'opera educativa? “Trovare un giusto equilibrio tra la libertà e la disciplina.
Senza regole di comportamento e di vita, fatte valere giorno per giorno
anche nelle piccole cose, non si forma il carattere e non si viene
preparati ad affrontare le prove che non mancheranno in futuro. Il
rapporto educativo è però anzitutto l'incontro di due libertà e
l'educazione ben riuscita è formazione al retto uso della libertà. Man
mano che il bambino cresce, diventa un adolescente e poi un giovane;
dobbiamo dunque accettare il rischio della libertà, rimanendo sempre
attenti ad aiutarlo a correggere idee e scelte sbagliate. Quello che
invece non dobbiamo mai fare è assecondarlo negli errori, fingere di non
vederli, o peggio condividerli, come se fossero le nuove frontiere del
progresso umano. L'educazione non può dunque fare a meno di quell’autorevolezza che rende credibile l'esercizio dell'autorità.
Essa è frutto di esperienza e competenza, ma si acquista soprattutto
con la coerenza della propria vita e con il coinvolgimento personale,
espressione dell'amore vero. L'educatore è quindi un testimone della verità e del bene: certo, anch'egli è fragile e può mancare, ma cercherà sempre di nuovo di mettersi in sintonia con la sua missione”.
Infine, concludeva Benedetto XVI, ecco il rapporto tra educazione e “senso di responsabilità:
responsabilità dell'educatore, certamente, ma anche, e in misura che
cresce con l'età, responsabilità del figlio, dell'alunno, del giovane
che entra nel mondo del lavoro. E' responsabile chi sa rispondere a se
stesso e agli altri. Chi crede cerca inoltre, e anzitutto, di rispondere
a Dio che lo ha amato per primo. La responsabilità è in primo luogo
personale, ma c'è anche una responsabilità che condividiamo insieme,
come cittadini di una stessa città e di una nazione, come membri della
famiglia umana e, se siamo credenti, come figli di un unico Dio e membri
della Chiesa”.
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