Ius scholae,
la nuova sfida
- di BRUNO FORTE*
A pochi anni
di distanza dalla Convenzione internazionale dell’Onu sui diritti dell’infanzia
(1989), Alfredo Carlo Moro, insigne giurista minorile, ha dato alle stampe il
volume 'Il bambino è un cittadino' (1991) che per la Federazione delle scuole
dell’infanzia (Fism), costituisce un riferimento di particolare significato. In
realtà sviluppa e articola il motto 'Prima i bambini' che sintetizza il
programma della Federazione. Questo 'primato' considera il bambino portatore di
una dignità innata riferita a tutti i bambini membri della famiglia umana, che,
tra i diritti umani fondamentali configura il diritto all’educazione, ossia
all’accompagnamento, alla cura e alla promozione della crescita nel cammino di
maturazione dell’identità.
Lo ius
scholae si iscrive all’interno del processo di cittadinanza che, purtroppo ha
segnato una distanza tra mondi vitali della società civile e volontà e capacità
di sintesi da parte della classe politica. I primi numerosi, espressione del
volontariato, dell’associazionismo e del Terzo Settore, hanno sostenuto la
proposta interpretata come un salto qualitativo nella coscienza sociale e
civile del Paese; il mondo politico ha tergiversato dimostrando il prevalere
della tentazione della paura nei confronti delle diversità non omologabili.
Con la crisi
di governo e la fine anticipata della legislatura, il tema è tornato ai nastri
di partenza. Ci auguriamo che riemerga nei programmi elettorali, liberati dai
mantra delle formule e delle candidature, per vederlo posizionato nella
interpretazione di una volontà nel segno di una visione che è già una realtà
nelle scuole e nei contesti delle comunità.
In tal modo
si verrebbe a colmare la distanza tra Popolo e Palazzo, tra società civile e
volontà di sintesi politica.
Ci stiamo
progressivamente liberando da un linguaggio, spia del pensiero, segnato
dall’esclusione: li chiamavamo bambini 'extra-comunitari', sapendo riconoscerli
come 'fuori' dalla comunità europea, oppure, e non era certo espressione
migliore, li etichettavamo come 'stranieri', forse dimenticando il rimando
all’estraneità, altra declinazione dello 'stare fuori'.
Oggi questi
bambini condividono sin dall’esperienza del nido e della scuola dell’infanzia,
all’interno del sistema 0/6, la vita con i loro compagni, riconoscendosi nella
fratellanza e nella comune umanità, di fatto partecipi della medesima
cittadinanza. La scuola ha saputo, sin dai primi anni, esprimere una sapienza
pedagogica essendo costruttrice attiva di quel 'rinascimento umano e
umanizzante' del Paese, promuovendo contesti nei quali i bambini condividessero
i processi dell’imparare facendo, dello sperimentare, della relazione e dello
scambio prosociale, del 'divertimento educativo' (edutainment, neologismo
coniato negli anni ’90 da Bob Heyman documentarista del National Geographic per
indicare la possibilità
di insegnare
e di imparare divertendosi). L’espressione risulta dall’unione delle parole
education-educazione ed entertainment-intrattenimento), di interazione con
sfondi culturali e antropologici, di condivisione per immersione di un
plurilinguismo partecipe, 'in azione' e di 'meticciamento' delle diversità.
L’Italia ha bisogno dei bambini immigrati, figli di due culture che sono nati
in molti casi da matrimoni misti, ne ha bisogno la demografia italiana di un
Paese che invecchia con uno dei tassi più bassi di natalità. La paura di
intaccare la retorica dell’italianità coltivata per ragioni storiche nel
Risorgimento e per quelle di potere nella dittatura fascista viene ben
delineata nell’alternatività da Mario Impagliazzo della Comunità di
Sant’Egidio, nel volume 'Porte aperte. Viaggio nell’Italia che non ha paura'
(2022). Lo ius scholae ben esprime i significati plurimi di una scuola palestra
di cittadinanza sin dalle prime età. La scuola è elemento della civiltà
organizzata e per mezzo di essa nasci e diventi progressivamente cittadino,
mediante un’immersione in un contesto vitale. La scuola apre a una dimensione
universalistica (Pinocchio cercava i valori di vita e avventura, tranne che a
scuola) e appartiene alla categoria della generatività: entri in una famiglia culturale
e sei 'tirato su', 'portato avanti' da chi è venuto prima di te. La scuola è un
luogo tecnico nel quale impari tante cose per metterle in circolo dialogico tra
i diversi vissuti. Non può essere sostituita nell’accompagnamento, nel trovare
adulti a disposizione con i quali puoi parlare perché si mettono in ascolto.
Attraverso l’esperienza di scolaro e di allievo, diventerai cittadino anzitutto
nei confronti di te stesso, dei tuoi sentimenti e dei tuoi progetti:
parteciperai al sogno dell’educazione come funzione della vita e della
narrazione delle conquiste, delle fatiche della avventura delle culture e il
costo dell’essere cittadino recuperando le dimensioni della tua identità
plurale.
*Responsabile
Area pedagogica FISM
www.avvenire.it
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