sabato 6 agosto 2022

ESTOTE PARATI

Il Vangelo della XIX domenica C commentato da Paolo Curtaz.-

 In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Non temere, piccolo gregge, perché al Padre vostro è piaciuto dare a voi il Regno. Vendete ciò che possedete e datelo in elemosina; fatevi borse che non invecchiano, un tesoro sicuro nei cieli, dove ladro non arriva e tarlo non consuma. Perché, dov’è il vostro tesoro, là sarà anche il vostro cuore. Siate pronti, con le vesti strette ai fianchi e le lampade accese; siate simili a quelli che aspettano il loro padrone quando torna dalle nozze, in modo che, quando arriva e bussa, gli aprano subito. Beati quei servi che il padrone al suo ritorno troverà ancora svegli; in verità io vi dico, si stringerà le vesti ai fianchi, li farà mettere a tavola e passerà a servirli. E se, giungendo nel mezzo della notte o prima dell’alba, li troverà così, beati loro! Cercate di capire questo: se il padrone di casa sapesse a quale ora viene il ladro, non si lascerebbe scassinare la casa. Anche voi tenetevi pronti perché, nell’ora che non immaginate, viene il Figlio dell’uomo». Allora Pietro disse: «Signore, questa parabola la dici per noi o anche per tutti?». Il Signore rispose: «Chi è dunque l’amministratore fidato e prudente, che il padrone metterà a capo della sua servitù per dare la razione di cibo a tempo debito? Beato quel servo che il padrone, arrivando, troverà ad agire così. Davvero io vi dico che lo metterà a capo di tutti i suoi averi. Ma se quel servo dicesse in cuor suo: “Il mio padrone tarda a venire”, e cominciasse a percuotere i servi e le serve, a mangiare, a bere e a ubriacarsi, il padrone di quel servo arriverà un giorno in cui non se l’aspetta e a un’ora che non sa, lo punirà severamente e gli infliggerà la sorte che meritano gli infedeli. Il servo che, conoscendo la volontà del padrone, non avrà disposto o agito secondo la sua volontà riceverà molte percosse; quello invece che, non conoscendola, avrà fatto cose meritevoli di percosse, ne riceverà poche. A chiunque fu dato molto, molto sarà chiesto; a chi fu affidato molto, sarà richiesto molto di più».

 Non temere piccolo gregge!

La Parola forte e rassicurante di Gesù, in questa domenica, ci raggiunge nella nostra estate infuocata e rissosa, lamentosa e banale, rassegnata e spensierata, e ci aiuta ad orientare la vita, a ridarle senso, vigore, speranza.

Non temere piccolo gregge! Sì, siamo un piccolo gregge, siamo pochi, ma scegliamo di avere un pastore solo, il pastore bello che sa dove condurci, che, diversamente dai mercenari, è interessato a noi per ciò che siamo, non per ciò che produciamo.

Non temere piccolo gregge! Non abbiamo paura, anche se facciamo fatica (quanta!) nel non perdere la speranza. Ma ci fidiamo, abbiamo fede, come padre Abramo, come Sara, perché ci siamo scoperti agapetoi, amati, e abbiamo scelto di amare. La fiducia nasce dall’esperienza: abbiamo conosciuto quanto il Signore Gesù ci ama.

 Sappiamo che ha dato la vita per noi. Perché Dio ama di un amore libero e liberante, vitale e vivificante, concreto e quotidiano. Non dobbiamo temere perché al Padre è piaciuto donarci il Regno.  i è stato regalato, donato, senza condizioni, gratuitamente.

Perché Dio è così: dona. E dona sé. Il Regno è là dove Dio regna, là dove dimora la sua presenza di luce e di pace.

Ma per accorgerci della sua presenza, per non lasciarci travolgere dalla paura, per scoprire davvero che il Regno è in mezzo a noi, è già qui, dobbiamo vivere da persone libere e dobbiamo vegliare.

 Buoni amministratori

Facciamoci due conti in tasca, serenamente e seriamente. Guardiamo per cosa vale la pena di vivere, dove stiamo investendo tempo ed energia, risorse e qualità, nella nostra vita. Se il Vangelo è solo un’appendice (sana e santa) all’interno della nostra quotidianità o se, invece, ha cambiato il nostro modo di vedere.  Il tempo che stiamo vivendo è un tempo di mezzo, nell’attesa che il Signore della gloria torni.

A noi, qui e ora, Dio affida la gestione del Regno, per renderlo presente, per vivere come figli di Dio. Le nostre comunità, allora, diventano succursali del Regno, pagine pubblicitarie dell’umanità nuova perché riconciliata, profezia di un mondo nuovo.

Anche se non siamo capaci, anche se non siamo degni, anche se zoppichiamo. Perciò facciamo Sinodo: per chiederci con franchezza evangelica se il modo che abbiamo di annunciare sia il miglior modo, oggi, per dire di Dio.

Estote parati

State pronti, ammonisce Gesù.   Pronti a viaggiare, pronti a mettere in discussione ogni risultato, ogni certezza, tanto più se derivante dalla fede e dalla religiosità. Se abbiamo capito che il nostro cuore è fatto per l’infinito e l’infinito cerchiamo, stiamo pronti a cercare all’infinito. È il salubre atteggiamento del discepolo, la consapevolezza del “già e non ancora”. Già conosco Dio, eppure non lo possiedo ancora.

Già ho vissuto una splendida esperienza affettiva, eppure so che nessun amore colma il mio cuore definitivamente. Già ho scoperto, alla luce del Vangelo, quanta grazia e luce interiore ricolmano il cuore, ma ancora vivi momenti di sconforto e di buio. Già ho capito chi sono, ma ancora non so chi sarò.

Una tensione sana, bella, che ci conduce all’essenziale, che ci stacca dalla pesantezza della quotidianità, che ci restituisce al realismo.

State pronti, ci chiede il Maestro. E noi vegliamo nella notte. Questa notte della Storia. Ogni notte. Scrutando l’Oriente, aspettando l’aurora. Quanta fede ci chiedi, Signore!

Nomadi

Come Israele, le cui gesta, enfatizzate e mitizzate, abbiamo letto nella prima lettura, anche noi siamo chiamati ad uscire dalla schiavitù, da ogni schiavitù, per imparare, nel deserto, a fidarci di Dio. Schiavi dell’idea che abbiamo di noi stessi, schiavi e preoccupati dell’immagine che dobbiamo restituire agli altri, schiavi dei finti bisogni che la pubblicità ci suscita, possiamo riscoprire, alla luce della parola, che o l’uomo è cercatore o non è, o l’uomo è mendicante o non è. O l’uomo è in cammino interiore o non è. Che la vita, che ogni vita, è progressiva liberazione interiore. Quanta fede ci chiedi, Signore!

Abramo ascolta la sua voce interiore.

Non è un giovane preso da deliri mistici: è un uomo realizzato, non travolto da impetuose passioni. Egli è l’uomo provato dalla vita, disilluso e che – pure – sente un appello irrefrenabile all’interiorità. Vai, sente nel cuore, Vai a te stesso.

Folle Abramo che lascerà ogni certezza e ruolo sociale per seguire un istinto interiore, per ritrovare se stesso! E questo suo gesto sarà immensamente fecondo: egli è il padre di tutti i cercatori di Dio.

Vai a te stesso, amico lettore, scopriti viandante, sul serio. Anche se pensi di avere vissuto a sufficienza, o troppo sofferto, o fatto le tue scelte. Siamo tutti straordinariamente liberi, resi capaci di iniziare percorsi nuovi anche quando tutto sembra deciso, sbagliato, irremovibile. Vai a te stesso.

L’Attesa

La vita, allora, diventa inquieta (e felice) attesa, l’attesa del ritorno, l’attesa dell’incontro del padrone che torna dalle nozze.  Attesa: la mia vita, la tua vita è attesa.

Di un senso, del superamento del tuo dolore, della chiave per capire la tua vita, di una persona da amare, di un figlio da stringere e baciare, di un mondo migliore, della luce infinita che illumini le tue paure, di Dio.

Attesa.  L’uomo è l’unico essere vivente capace di attendere, di vegliare, di insistere, di credere.  Nella notte, spesso, nel lungo e corposo silenzio della notte, sentiamo crescere la nostra fede, abbandonarsi il nostro cuore, capiamo cosa ci è essenziale. Nella notte, come le sentinelle che aspettano l’aurora, diventiamo dei credenti, dei discepoli.  Quando le ginocchia vacillano, quando la fatica è tanta, quando ci sembra di non farcela ad attendere, quando la disperazione fa pressione alla porta del cuore, possiamo guardare ai testimoni, guardare ai padri della fede, ai tanti, tantissimi che hanno, come noi creduto nella notte, e visto la luce, infine.

La fede è questo misterioso già e non ancora, questo silenzio assordante, questa notte luminosa.

Vegliamo, dunque.

Amati. amando.


Paolo Curtaz

 

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