Essere
cristiani vuol dire volere un banchetto dove ci sono i poveri, gli zoppi… cioè
dove tutti entrano in fraternità finalmente festosa. Questo è l’essere
cristiani. Il nome di Dio viene dopo. È meglio che non si pronunci, per ora,
perché ci imbroglia, perché reintroduce un’idea creata dalle classi del potere.
Solo se io amo il povero posso pensare a Dio senza sbagliare. Se non penso
all’uomo, penso a Dio sbagliando. Questa è la verità che ci viene dal Vangelo.
VANGELO: Lc 14,1.7-14
VANGELO: Lc 14,1.7-14
Un sabato si recò a casa di uno dei capi dei farisei per pranzare ed essi stavano a osservarlo. 7Diceva agli invitati una parabola, notando come sceglievano i primi posti: 8«Quando sei invitato a nozze da qualcuno, non metterti al primo posto, perché non ci sia un altro invitato più degno di te, 9e colui che ha invitato te e lui venga a dirti: «Cedigli il posto!». Allora dovrai con vergogna occupare l'ultimo posto. 10Invece, quando sei invitato, va' a metterti all'ultimo posto, perché quando viene colui che ti ha invitato ti dica: «Amico, vieni più avanti!». Allora ne avrai onore davanti a tutti i commensali. 11Perché chiunque si esalta sarà umiliato, e chi si umilia sarà esaltato». 12Disse poi a colui che l'aveva invitato: «Quando offri un pranzo o una cena, non invitare i tuoi amici né i tuoi fratelli né i tuoi parenti né i ricchi vicini, perché a loro volta non ti invitino anch'essi e tu abbia il contraccambio. 13Al contrario, quando offri un banchetto, invita poveri, storpi, zoppi, ciechi; 14e sarai beato perché non hanno da ricambiarti. Riceverai infatti la tua ricompensa alla risurrezione dei giusti».
Commento di p. Ernesto Balducci
…Ci troviamo a vivere in
una società dove tutto funziona con meccanismi spaventosamente selettivi. Le
sperequazioni economiche hanno ripreso furiosamente ad imperversare per cui le
crisi cadono gravemente sui deboli e son sopportate come pagliuzze dai potenti.
E poi la selezione e diventata così intima al nostro costume che si è estesa a
tutte le sfere della nostra vita per cui anche i poveri – quelli che possiamo
chiamare i più deboli, gli ultimi della nostra società – hanno assimilato in
gran parte la dottrina dei ricchi e ambiscono a fare quello che i ricchi stanno
facendo. Ma le riserve dell’ironia divina nella storia sono tante. La
maggioranza degli abitanti del pianeta è povera. Il nostro benessere non è
altro che la distribuzione di un’immensa refurtiva planetaria. Ma i derubati ci
sono e lo sanno. Questa potenza selettiva è così forte che ha invaso tutti i
settori della nostra esperienza: perfino nelle famiglie il debole è trascurato.
La competizione è così feroce che arriva perfino a travolgere luoghi
tradizionali della sanità naturale. Anche nei paesini dove viveva lo spirito
comunitario dei tempi antichi, si ripetono le stesse terribili ambizioni,
presunzioni, sfruttamenti, violenze morali che prima erano privilegio della
porzione sociale entrata nella corsa competitiva con i titoli in regola.
L’assoluta diffusione di questo criterio fa paura perché ci da quasi l’impressione
che l’idea di un banchetto dove i poveri seggano finalmente riscattati dalla
loro emarginazione è un sogno impossibile. Io credo che la dannazione più
grande di un popolo o di un uomo soddisfatto è di perdere la speranza. E gli
sta bene, perché ne ha consumato gli alimenti segreti, ne ha dissipato l’olio
invisibile mancando il quale la fiamma si spegne. Saranno i poveri a darci la
speranza nel futuro come è nella legge della storia. Noi diciamo: nella legge
della salvezza. Allora cosa significa prendere sul serio questa contraddizione
che qui è, con semplicità e forza, proposta dal Signore? Intanto noi siamo
salvi – e questa volta davvero la parola non ha bisogno di specificazione – in
quanto accettiamo come consegna di vita la preparazione e l’anticipazione, per
quanto possibile, del banchetto in cui non si invita la gente perché ci dà il
contraccambio, si invitano coloro che non hanno niente da darci cioè in cui
seggono al banchetto con regale dignità i poveri, gli storpi… – categorie
simboliche di tutti coloro che sono emarginati –. Questa è la società che
vogliamo, il banchetto che vogliamo preparare. Ecco dov’è l’alternativa vera
tra il cristiano e il non cristiano. Non è cristiano chi dice: «viva Dio», «io
amo Dio», «guai a chi offende Dio». Sono vissuto in un paesino dove la
bestemmia era un costume. Alcuni signori avevano creato la «lega antiblasfema»:
facevano bestemmiare i poveri però poi combattevano il costume. Questo ancora
continua. Essere cristiani vuol dire volere un banchetto dove ci sono i poveri,
gli zoppi… cioè dove tutti entrano in fraternità finalmente festosa. Questo è
l’essere cristiani. Il nome di Dio viene dopo. È meglio che non si pronunci,
per ora, perché ci imbroglia, perché reintroduce un’idea creata dalle classi
del potere. Solo se io amo il povero posso pensare a Dio senza sbagliare. Se
non penso all’uomo, penso a Dio sbagliando. Questa è la verità che ci viene dal
Vangelo. Chiudo ricongiungendomi agli inizi. La verità di queste cose è
antropologica prima che evangelica. Ogni uomo, se non è diventato un disperato
– ma la disperazione cresce tra noi – conserva in sé la speranza che si possa
arrivare al banchetto universale. Ma questo vuol dire accettarne gli strumenti.
Ricordo che nella buona società fiorentina un tempo c’era il costume, per le
festività, di andare negli orfanotrofi a prendere un orfanello, un escluso, per
far festa, strumentalizzando il poveretto che la sera se ne tornava al suo
orfanotrofio più triste di prima. Noi non vogliamo gli orfani invitati, dobbiamo
usare gli strumenti politici perché non ci siano degli esclusi. Solo così la
speranza è piena. Altrimenti essa è consolatoria, come lo è in molti giovani
che creano meeting, incontri fra di loro ai margini della piramide e col
permesso della piramide. La quale pur di sopravvivere è disposta a concedere
spazi gratuiti ai suoi margini perché chi vuol vivere in festosa comunità lo
faccia. Non possiamo consegnare questo tesoro della speranza che è in noi, al
sistema perché se ne faccia bello. Solo quando essa passa il punto critico
della soggettività e diventa progetto oggettivo, solo allora ha le dimensioni
profetiche del Vangelo.
Ernesto
Balducci – da: “Il Vangelo della pace” – vol 3
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