ora vita e speranza.
Disincanto, valori
e scelte forti”
- Card. Matteo Zuppi *
Nel
cuore del mese di agosto, in quasi tutti i paesi e le città del nostro Paese,
si celebra la festa dell’assunzione di Maria al cielo.
Un
mistero che ci dice qual è la nostra destinazione: ossia essere assunti con il
nostro corpo risorto nel cielo di Dio.
Maria,
la prima che ha creduto alla Parola del Signore, è la prima a entrare nel cielo
di Dio con il suo corpo.
Questa festa è celebrata da tutti i cristiani di tutte le confessioni, ovunque nel mondo. In Occidente la chiamiamo, appunto, Assunzione.
In
Oriente l’iconografia la trasmette con l’icona della "Dormizione":
gli apostoli circondano in preghiera la madre di Gesù "addormentata"
nel suo letto di morte (la morte dei credenti non è mai da sola, ma sempre
circondata dalle presenze degli amici di Gesù).
Gesù è raffigurato sopra di lei e tiene tra le sue mani una piccola Maria - quasi "bambina". Se non diventerete come bambini non entrerete nel regno dei cieli.
Per
tanti anni l’ho contemplata nel mosaico absidale della Basilica di Santa Maria
in Trastevere.
Ed
è bello che la prima persona che transita direttamente al cielo di Dio, anima e
corpo, sia l’anziana madre di Gesù: lei che ha inaugurato la storia della
nostra fede e ospitato il Figlio del nostro riscatto, entra per prima, con un
corpo risorto, nella pienezza del Regno.
Il
corpo risorto vuol dire che non perderemo la sensibilità umana: al contrario,
essa diventerà così pura, così profonda, così fine, da renderci capaci di
intercettare direttamente la sensibilità di Dio per tutto il creato e per tutte
le creature, dalle più piccole alle più emozionanti che abitano l’eterna
fantasia dell’amore di Dio che genera e ispira da sempre i ritmi e i riti della
vita che ha creato.
E
Maria è il simbolo reale del legame profondo della generazione e dell’ispirazione
divina della vita con l’origine e la destinazione.
In
Gesù risorto questo legame irrevocabile abita per sempre l’intimità divina da
cui proviene e la condizione umana nella quale si irradia.
L’intera
storia dell’uomo e quella dell’umanità, lungi dall’essere abbandonata al suo
destino mortale, vi appare destinata al riscatto di ogni abbandono che la
umilia, la ferisce, la perde: nell’anima e nel corpo.
La cultura moderna ci ha resi gelosi della nostra libertà di vivere: e persino di morire. Ma siamo anche diventati molto rassegnati al corto respiro del nostro modo di godere la vita.
Possiamo
chiamarlo disincanto, per dare un tono molto adulto e molto razionale a questo
pensiero.
Di
fatto, da quando abbiamo abbassato il cielo dei nostri desideri restringendolo
all’orizzonte del nostro io, anche la terra ci sembra più avara di vere
soddisfazioni e di autentici entusiasmi.
A
ragione si parla di passioni tristi. Non sappiamo più stupirci del tanto che
pure abbiamo e scoprire l’incanto che è ogni persona che nasconde il riflesso
di Dio.
Ci
affanniamo giustamente ad aggiustare la società e l’habitat per tanti
individui, ma non crediamo più nella comunità e nel mondo che dovrebbero
ospitare la fraternità di cui abbiamo bisogno e alla quale apparteniamo.
Dobbiamo
chiederci se per caso non ci stiamo rassegnando a essere una sorta di colonia
di insetti, certo, evoluti e ingegnosi.
La società che stiamo costruendo rischia di avere paura della vita e diffidare della speranza. Scopriamo di avere politiche da amministrazione di condominio, aspettative di vita giovanilistiche, distanze umilianti e in crescita: fra ricchi e poveri, uomini e donne, vecchi e bambini, mediatici e anonimi, onesti e furbi.
Nello
spaesamento dell’incertezza, cresce il fascino della chiusura in spazi
ristretti e orizzonti chiusi e angusti.
L’autoreferenzialità
porta a ripiegarci su noi stessi e contagia le persone, i popoli e le culture,
anche noi credenti: non di rado appariamo senza idee, senza parole, senza
azioni che riaprano i cuori al senso della destinazione dell’esistenza nostra e
del mondo.
Come
Maria troviamo forza facendo nostra la visione di Dio che si fa uomo per
iniziare il suo Regno di amore, che sarà di tutto il popolo.
La
rassegnazione a un mondo ingiusto non è l’effetto – che ora diventa
particolarmente visibile – di una certa depressione escatologica che affligge
lo stesso cristianesimo?
Il
mistero dell’Assunta ci ri-apre al cielo della nostra destinazione. Mercoledì
scorso il Papa, riferendosi proprio alla nostra destinazione finale, ha
affermato con efficacia: «Il meglio deve ancora venire».
Il cielo – che pure pensiamo pieno di santi rimane forse povero di Vita. E quindi poco attrattivo.
Gesù
quando parla del Regno lo descrive come un pranzo di nozze, una festa con gli
amici, il lavoro che rende perfetta la casa, le sorprese che rendono il
raccolto più ricco della semina.
Tutto
ciò lo iniziamo già sulla terra. Con il "sì" di Maria a divenire la
madre del Figlio.
Con il nostro sì a farlo nascere e crescere in noi. Il Signore è «nato da Donna», scrive l’Apostolo.
Come
ogni essere umano: certo, la sua destinazione è il grembo di Dio; ma il
rispetto per la qualità spirituale del grembo che l’ha portato da Dio a noi è
la discriminante della qualità umana della nostra esistenza.
La donna comunica al corpo umano la sua sensibilità spirituale, fin dal concepimento, fin dalla gestazione. La donna che diventa madre non è una donna violata, consumata, di seconda scelta.
La
maternità deve apparire – ed essere trattata – come un valore aggiunto
dell’autodeterminazione femminile, non come un uso e un abuso che le fa perdere
valore.
La
società civile, la politica e tutta la comunità cristiana debbono impegnarsi a
riconoscere il prestigio della maternità e il valore che la natalità
rappresenta per i nostri tempi e per il Paese di cui siamo cittadini e
cittadine.
L’Assunta è Vergine e Madre, senza pregiudizio di entrambe. Il riscatto dall’attuale depressione escatologica della vita cristiana (e dell’umano che ci è comune) incomincia forse proprio da qui: da una madre che, proprio perché umile, ha saputo dire di sé: «grandi cose ha fatto in me l’Onnipotente».
Il
nostro Paese – il mondo – ha sempre più bisogno di grandi visioni e di uomini e
donne umili che se ne lasciano appassionare e non hanno paura di donare la vita
per trovarla.
*Presidente CEI
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