- di GIOVANNI COGLIANDRO
Identità non è l’opposto del dialogo sincero e
dell’analogazione dell’alterità, secondo una declinazione della fratellanza
universale che pone il cristianesimo come faro di umanità, civiltà,
elaborazione attuosa che caratterizza la via romana di cui parla così
efficacemente nei suoi testi Remi Brague. Una tale dinamica feconda si svolge
tra le istanze solo apparentemente opposte delle posizioni politiche,
religiose, antropologiche, può essere pensata e organizzata secondo i principi
filosofici derivanti dall’esemplarismo e dall’etica delle virtù. L’etica delle
virtù che affonda le proprie radici nel pensiero di Platone e Aristotele e
raggiunge la sua vetta nell’opera di Tommaso d’Aquino, in particolare nel suo
Commento all’Etica Nicomachea e nella Seconda Parte della Summa Theologiae.
Dopo un periodo di oblio di alcuni secoli in cui la riflessione morale perde il
faro dell’etica come volta alla fioritura degli esseri umani, l’etica delle
virtù rinasce in particolare nel XX secolo grazie all’opera delle filosofe
Anscombe, Murdoch, Zagzebsky, come risposta ai limiti del normativismo kantiano
e della ridotta visione dell’umanità e della persona tipica degli utilitaristi.
Queste filosofe a partire dagli anni 50 del secolo scorso e fino ai giorni
nostri rielaborano una connessione feconda tra le sfere della relazione,
dell’emotività, della paideia. Un tale approccio concreto e proprio per questo
filosofico, consente di creare un filo relazionale resistente ed emotivamente
proficuo tra persone non distanti ma che, come ha scritto MacIntyre, si sentono
originariamente dipendenti. Proprio quel MacIntyre che viene frainteso e
utilizzato a sproposito da Rod Dreher autore di L’opzione Benedetto e dai comu-
nitaristi che vorrebbero abbandonare la polis in quanto ormai corrotta e luogo
ostile ai cristiani, che quindi non comprendono la radice del ritorno alla
virtù operato negli anni 80 da MacIntyre prima volgendosi ad Aristotele e poi
scorgendone i limiti optando per l’antropologia relazionale e fondata sulla
dipendenza originaria tra persone delineata in Animali razionali dipendenti.
La teologia della tenerezza del Papa trae
energia feconda da questa visione dell’etica incentrata sulle virtù. Gilles
Deleuze riteneva che la superficialità avesse la stessa rilevanza veritativa
della profondità, criticando l’elogio della profondità fatto dai filosofi sin
dai tempi antichi, in particolare da parte dei principali esponenti dello
stoicismo. Il dialogo tra i corpi inizia sin dallo scambio tra il corpo
dell’infante e il calore del corpo materno, che lo accoglie nell’abbraccio sin
dalla nascita, come succede anche con il corpo del padre poco dopo. Dallo
scambio del calore procede il riconoscimento di sé stessi come accettati e
amati, forse proprio quello che oggi è così difficile verbalizzare. Credo sia
questo il quadro in cui inserire la dinamica del dialogo che oggi si mostra
sempre più carente e sclerotizzato tra culture e nazioni, tra leader politici e
religiosi, fino alla tragedia della guerra tante volte paventata e oggi
esplosa. Giova ricordare come tutti i Papi siano sempre stati impavidi
avversari della guerra come negazione dell’umanità e bestemmia anticristica.
Il padrone del mondo di Hugh Benson è stato più volte evocato da papa Francesco sin dall’inizio del mandato come efficace cifra simbolica dei nostri tempi inquieti, nei quali fazioni interessate sfruttano le tensioni per creare un clima di scontro e una dinamica di ostilità sulla scorta del nome Shaitan, l’avversario antico e sempre operante. La risposta del Magistero papale è, oggi come al tempo di Papa Giovanni Paolo II e di Papa Benedetto XVI che in ogni conflitto tra uomini le fazioni non devono diventare nemici irriducibili il cui unico scopo è la mutua distruzione. Nel pensiero di Schmitt e dei suoi troppi seguaci contemporanei, nei quali il realismo tanto sbandierato è una profonda sfiducia nella Provvidenza oltre che nell’umanità, che non possiedono la finezza di analisi del giurista tedesco, amico e nemico sono categorie onnicomprensive determinate reciprocamente dalla categoria di una radicale alterità, ossia di una impossibilità di comporre indefinitamente i contrasti sul piano concreto, esistenziale, e quindi dalla necessità di ricorrere al conflitto.
Entrambe le parti in una disputa
polarizzata secondo l pensiero di Guardini che di Schmitt fu conterraneo e
contemporaneo, anche se su posizioni derivanti da una interpretazione del
cattolicesimo molto diversa, possono invece sempre aprirsi con maggiore fiducia
all’altro, in una dinamica di agonismo polarizzato evocazione di una relazione
più profonda mimetizzata dal dialogo e incentrata sulla misericordia. Ogni
opera divina manifesta la giustizia così come la misericordia. Scrive Tommaso
d’Aquino nella Summa Theologiae che «in qualsiasi opera di Dio appare la Misericordia
come prima radice » (Prima Parte, q. 21, a. 4). Per questo motivo nello
stesso articolo Tommaso afferma che la misericordia in sé è la più elevata
delle virtù e ci rende simili a Dio, tuttavia per noi uomini la carità precede
la misericordia in quanto abbiamo bisogno di questa virtù che sola ci consente
di essere vicini a Dio in quanto sorgente di amore: in questo senso la prima
radice dei cristiani è diversa da quella tratteggiata da Simone Weil. La
positività dell’essere cattolici si declina, oggi come ieri, nel voler
partecipare alla vita della polis e nel voler continuare a narrare, a
descrivere la propria esperienza di vita pubblica e privata con spirito e
curiosità sempre rinnovati, fecondati dalla misericordia che porta a
configurare un’amicizia politica sempre possibile nella Catholica e anche fuori,
fondamento di una giustizia non meramente procedurale che sin dalla sua
teorizzazione aristotelica è garanzia di sussistenza della polis.
Sapersi raccontare politicamente
attraverso le categorie mondane di amicizia politica, fratellanza, misericordia
significa spalancare gli occhi e il cuore alle possibilità che l’altro ci
offre, oltrepassando i confini geografici e culturali, di cui tanto spesso oggi
si tratta, ma anche e soprattutto quelli emotivi che spesso sbarrano il
processo di una vera comprensione dell’alterità, e quindi della propria
identità. Questo il messaggio di Tommaso d’Aquino, Romano Guardini, papa
Francesco.
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