CONTRADDIZIONI
e MISTERI
- di Silvia
Ballabio
Il “docente
esperto” giungerà nelle scuole italiane fra nove anni, nel 2032, una volta
completati con successo i tre cicli triennali di formazione, e in contingenti
numericamente ben definito (8mila docenti); una volta conseguita la qualifica, il docente si vedrà
riconosciuto un aumento stipendiale fisso di un certo rilievo (400 euro
mensili), una novità assoluta nel mondo della scuola, unico settore lavorativo
ad impiegare in modo quasi esclusivo laureati e a non prevedere alcuna
differenza salariale se non quella derivante dalla solo anzianità di servizio.
La misura,
inserita nel decreto Aiuti bis approvato il 4 agosto dal Consiglio dei ministri
del dimissionario governo Draghi, è stata accolta con favore da chi l’ha subito
identificata come l’avvio (un segnale, per i più cauti) di un orientamento
meritocratico e della creazione di figure con maggiori competenze, e con
disapprovazione da chi l’ha – altrettanto velocemente – bollata come una palese
ingiustizia, in un panorama caratterizzato da stipendi fra i più bassi in
Europa, il mancato rinnovo del contratto collettivo nazionale e la piaga
storica del precariato.
Anche
l’approvazione “in extremis” ha suscitato irritazione e insofferenza; dopo la
revisione del processo di formazione e reclutamenti di nuovi docenti con i 60
Cfu, di cui almeno 20 di tirocinio attivo, il docente esperto è arrivato
nell’ultimo atto legislativo possibile ad un governo dimissionario, senza la
possibilità di un “adeguato dialogo con la realtà della scuola” (leggasi “senza
ottenere il beneplacito dei sindacati in merito”).
D’altra
parte anche il Dl 36 del 30 aprile 2022 (approvato dal governo come parte del
Pnrr) aveva portato allo sciopero generale del 30 maggio, e anche qui la lingua
batteva dove il dente doleva: il decreto ha infatti introdotto sia il requisito
dei 60 Cfu, sia il superamento del concorso e relativo anno di prova per le
nuove assunzioni, sia – a partire dall’anno scolastico 2023/24 – un sistema di
formazione e aggiornamento permanente dei docenti di ruolo articolato in
percorsi di durata almeno annuale e retribuiti una tantum. En passant si noti
che entro fine luglio sarebbe dovuto uscire il decreto attuativo di questi
provvedimenti, ma non ve ne è traccia ancora oggi.
La novità
del docente esperto starebbe quindi, al di là delle polemiche per
l’approvazione da parte di un governo dimissionario, nel rendere strutturale la
premialità assicurata al docente che supererà i tre cicli di formazione, oltre
che nella durata del percorso di formazione e nel limitare fortemente (8mila
unità) il numero di queste figure? Non si tratterebbe pertanto di una semplice
estensione di una norma già approvata, ma di qualcosa di molto diverso; non un
emolumento annuale per potenzialmente tutti i docenti (purché impegnato in
attività di progettazione e formazione) ma nove anni di formazioni per “pochi
eletti”.
Ci si
aspetterebbe che la falange degli 8mila sia investita, in forza della
formazione ricevuta, dell’incarico della disseminazione, ma evidentemente il
provvedimento ha voluto differenziarsi da quanto si tentò di attuare ancora in
fase di “Buona Scuola” del governo Renzi nel 2014, ove la nota ministeriale
dell’aprile 2014 prevedeva appunto la formazione di docenti esperti (a fronte
di percorsi formativi ben più ridotti) e su varie aree progettuali, ma col
preciso incarico della disseminazione, vale a dire della ricaduta a cascata per
altri docenti oltre a quelli esperti delle competenze acquisite.
Nel decreto
Aiuti tale atto – la disseminazione – è non solo sparita ma espressamente
proibita; il docente esperto si forma per sé e non avrà alcun incarico
aggiuntivo; unica analogia è il numero esiguo dei docenti previsti, uno per
scuola nel 2014, e, se il progetto andasse in porto, qualcosa di simile per il
nuovo docente esperto.
Siamo quindi
di fronte al riciclo creativo di una vecchia idea, molto più vecchia del
sistema di formazione introdotto nel decreto 36 di aprile 2022? Magari epurata
di quell’aspetto di estemporaneità e brevità (almeno così sembrerebbe, visti i
nove anni e le tre prove da superare) per conseguire l’agognata (ma lo sarà?)
qualifica con relativo aumento salariale che caratterizzava entrambe le norme
qui ricordate?
Il razionale
di un provvedimento non è un aspetto secondario dello stesso, ma non è dato
sapere quale esso sia stato, a meno che l’ex ministro dell’Istruzione Bianchi
non approfitti della sua pausa estiva per condividere con l’opinione pubblica
quali analisi, studi, considerazioni abbiano dato origine all’emersione dal
passato (recente o remoto, ce lo dirà lui) del docente esperto. Sperando che
non ci venga rivelato che la misura ha avuto una genesi esclusivamente politica
e nel senso più deleterio del termine, cioè dettata da esigenze esterne e non
sistemiche (il Pnrr e il suo bisogno di utilizzo fondi a fini migliorativi del
sistema con verifica documentabile di fronte al banco di prova dell’Ue?).
Nell’attesa,
penso che almeno due considerazioni siano proponibili. La prima è che il numero
dei docenti è risibile rispetto alla (supposta, per il momento) esigenza di un
rinnovamento sistemico; la seconda è che l’età media del docente italiano è 51
anni (circa due su tre docenti nella secondaria hanno superato i cinquanta) e
nel 2032 avrebbe superato i sessant’anni. Il provvedimento si rivolge pertanto
in primis a quel terzo circa del personale che sia relativamente “giovane” (si
tratta comunque solo di docenti che abbiano conseguito il ruolo, una
“iniziazione” che visti gli scarsi risultati dei vari concorsoni, non è
avvenuta né facilmente né velocemente) e anche a coloro che conquisteranno il
ruolo attraverso il nuovo e lungo percorso introdotto ad aprile 2022.
Un vantaggio
per la scuola? Premiamo i giovani? Sicuramente incoraggiare i “giovani
trentenni o quarantenni” (a 40 anni oggi si è sicuramente giovani se i 60 sono
i nuovi 40, a detta di attrici ben curate e certamente giovanili) a entrare nel
mondo della scuola è non solo auspicabile, ma necessario, pur a fronte della
denatalità e del conseguente calo degli alunni e studenti. Tuttavia suscita
perplessità che i docenti esperti non per formazione accademica ma periti, vale
a dire ricchi di esperienza, non abbiano trovato posto nel piano del ministro
uscente. L’anzianità di servizio determina già un aumento stipendiale, ma
onestamente lento e risibile, e individuare forme di premialità che valorizzino
le esperienze e competenze già esistenti nella scuola non è facile: qualifiche
professionali aggiuntive del docente, da lui o lei acquisite a titolo personale
e non all’interno di percorsi predeterminati? una generica efficacia didattica?
gradimento degli studenti? dei genitori? risultati scolastici degli studenti,
testati con Invalsi e anche non? capacità di gestione dei conflitti e delle
difficoltà emotive? capacità di valorizzazione delle eccellenze? capacità di
cooperazione fra colleghi? inventiva?
passione educativa? empatia, vale a dire intelligenza emotiva? e le conoscenze?
Hanno poi
così torto i genitori che cercano il prof bravo, che a) conosce la materia, b)
la sa spiegare, c) capisce i ragazzi, e se partecipa o coordina progetti lo fa
centellinando le sue risorse perché sa di averne molte, ma non illimitate, e
quindi sceglie con cura per i suoi allievi? Da docente ampiamente nelle media
nazionale per età anagrafica, ne ho incontrati molti; se il ministro Bianchi lo
gradisce posso segnalargli qualche “docente esperto”, qualcuno anche giovane.
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