TEMPO DELL'UOMO
e TEMPO PER L'UOMO
- di Francesco
Nespoli
L’arco
alpino è il risultato dello scontro tra la placca africana e quella europea;
un’impronta formata al tempo del Miocene, tra i 23 e i 5 milioni di anni fa. E’
quello che si può vedere al primo colpo d’occhio.
Poi più
sotto, si intravedono lunghe linee che disegnano pieghe poco inclinate nella
parete. Noi ne vedremo qualche decina di metri, ma potrebbero essere
chilometri. Forse linee di sovrascorrimento: il segno della sovrapposizione di
porzioni di crosta dovuta alla spinta orizzontale. Qui guardiamo indietro tra
130 e 60 milioni di anni fa, il tempo del Cretacico. Questo è l’ultimo periodo
dell’era mesozoica, quella dominata dai Dinosauri, che sono apparsi sulla Terra
circa 230 milioni di anni fa e l’hanno dominata per 165 milioni di anni. Poco
dopo, si fa per dire, compaiono i primi primati (55 milioni di anni fa) e la
separazione della linea evolutiva dell’uomo dallo scimpanzé risale a soli 6
milioni di anni fa. Esseri umani e dinosauri non sono mai coesistiti.
Scendendo
ancora verso valle, non servirebbero chilometri, ma basterebbero invece pochi
passi per percorrere il diametro di una marmitta glaciale, scavata dal mulinare
di qualche masso incastrato durante il ritiro del ghiacciaio che ha formato un
canyon. Quando il ghiaccio arrivava anche a 900 metri di spessore sopra la
terra. Quello è il tempo dell’ultima glaciazione (Würm) finita tra i 15 e i
10.000 anni fa. Dicono gli esperti che se l’intera storia della terra venisse
ridotta alla scala di un singolo anno solare, l’epoca di quella glaciazione
corrisponderebbe alle 23:56 del 31 dicembre.
Infine,
avvicinandoci alle pareti di roccia in cerca di appigli per salire,
apprezzeremo piccole concrezioni minimali, conchette, fessure, tacchette...
graspolature millimetriche appena palpabili, ma ottime per l’arrampicata di
aderenza. Questa è la dimensione con cui più direttamente si misura l’uomo,
passando dalla vista al tatto. Il tempo dell’uomo (homo sapiens, si intende)
nella proporzione già detta, corrisponde agli ultimi 4 minuti del 31 dicembre.
Il rapporto
fisico con la strada di montagna serve, o per lo meno può servire, a questo. È
il paradosso per cui l’ambizione di andare più in alto, misurarsi con la forza
di gravità, possedere la mappa di un intrico e tentare di sporgersi oltre i
limiti entro i quali si vive, è un modo per avere la dimensione della propria
finitezza, più che delle proprie capacità. Un modo per misurarsi con la propria
natura essenziale, al netto del dominio della tecnica e delle costruzioni
culturali. Un uomo innanzitutto è un essere vivente con coscienza di sé che si
muove nello spazio e nel tempo, esposto alla continua necessità di comportarsi
in modo adattivo.
La strada in
salita al cospetto degli affioramenti rocciosi, sempre che ci si pensi, ci
ricorda il vero tempo che serve impiegare per fare le cose, e ci insegna a non
perdere tempo utile per raggiungere le mete che saranno un giorno
indisponibili. Ci insegna a sforzarci di pensare in grande e immaginare come
far durare la nostra specie qualche altro milione di anni, se non quanto quelle
dei dinosauri.
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