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sabato 9 agosto 2025

SIATE PRONTI

 


10 Agosto 2025, 

19° Domenica T.O.


Sap 18, 6-9; Sal 32; Eb 11, 1-2. 8-19; 
Lc 12, 32-48


VANGELO - Luca 12:32-48

32 Non temere, piccolo gregge, perché al Padre vostro è piaciuto di darvi il suo regno.
33 Vendete ciò che avete e datelo in elemosina; fatevi borse che non invecchiano, un tesoro inesauribile nei cieli, dove i ladri non arrivano e la tignola non consuma. 34 Perché dove è il vostro tesoro, là sarà anche il vostro cuore.
35 Siate pronti, con la cintura ai fianchi e le lucerne accese; 36 siate simili a coloro che aspettano il padrone quando torna dalle nozze, per aprirgli subito, appena arriva e bussa. 37 Beati quei servi che il padrone al suo ritorno troverà ancora svegli; in verità vi dico, si cingerà le sue vesti, li farà mettere a tavola e passerà a servirli. 38 E se, giungendo nel mezzo della notte o prima dell'alba, li troverà così, beati loro! 39 Sappiate bene questo: se il padrone di casa sapesse a che ora viene il ladro, non si lascerebbe scassinare la casa. 40 Anche voi tenetevi pronti, perché il Figlio dell'uomo verrà nell'ora che non pensate».
41 Allora Pietro disse: «Signore, questa parabola la dici per noi o anche per tutti?». 42 Il Signore rispose: «Qual è dunque l'amministratore fedele e saggio, che il Signore porrà a capo della sua servitù, per distribuire a tempo debito la razione di cibo? 43 Beato quel servo che il padrone, arrivando, troverà al suo lavoro. 44 In verità vi dico, lo metterà a capo di tutti i suoi averi. 45 Ma se quel servo dicesse in cuor suo: Il padrone tarda a venire, e cominciasse a percuotere i servi e le serve, a mangiare, a bere e a ubriacarsi, 46 il padrone di quel servo arriverà nel giorno in cui meno se l'aspetta e in un'ora che non sa, e lo punirà con rigore assegnandogli il posto fra gli infedeli. 47 Il servo che, conoscendo la volontà del padrone, non avrà disposto o agito secondo la sua volontà, riceverà molte percosse; 48 quello invece che, non conoscendola, avrà fatto cose meritevoli di percosse, ne riceverà poche. A chiunque fu dato molto, molto sarà chiesto; a chi fu affidato molto, sarà richiesto molto di più.

Commento di Ernesto Balducci

Il ritorno del Signore, se lo leggiamo al di fuori della sigla simbolica, è il giorno della fioritura del suo regno e della fine di questo mondo. Sono i due aspetti del giorno del Signore, giorno di giudizio e giorno di cambiamento. Essere vigilanti vuol dire tener presente queste opposte possibilità. E invece quanta dissipazione! 

Nel Vangelo è descritta come la baldoria dei servitori: non c’è il padrone ed essi possono fare quel che vogliono, senza pensare che potrebbe arrivare da un momento all’altro. In questa metafora vedo riflessa la situazione di oggi in cui si dà più importanza a cose frivole. 

Per esempio: che ci siano i nove digiunatori non si legge quasi in nessun giornale. Nessuno ne parla. Basta invece che un divo dello schermo vada in prigione e i giornali ne parlano tutti i giorni. Le cose che ci vengono messe sotto l’attenzione sono frivole, le cose serie, sono fuori dall’attenzione: è la dissipazione nel senso profondo, esistenziale, inguaribile. La cultura, e gli strumenti con cui essa si diffonde, è omogenea a questa distrazione, è un suo prodotto e una sua alimentazione. Ecco perché non possiamo alimentare la nostra saggezza utilizzando gli strumenti che la società ci offre perché essi sono tutti funzionali alla dissipazione. Non si pensa che la fine è possibile.

 Leggevo, nella stessa corrispondenza, che un povero militare americano che doveva stare nella famosa stanza del bottone della bomba atomica, si è rifiutato di starci. È impazzito ed è stato messo in manicomio. Al suo posto ci vuole una persona saggia, uno che consideri possibile toccare il bottone che pone fine al mondo. Insomma, un uomo serio, equilibrato. In un mondo in cui la follia si chiama salute, un uomo veramente savio è il folle! Noi siamo in questa condizione. Lo dico adesso in termini molto generici, ma se voi per deduzione arrivate al quotidiano, vedete che le cose tornano.

La rivoluzione della speranza

Ecco perché dobbiamo fare appello a questa forza rivoluzionaria che è la speranza anche quando, come oggi, essa non può nascere dalla fede perché non ci sono molti segni che le cose possano cambiare. La nostra è una speranza che va avanti al buio, è una speranza da pellegrini, che hanno lasciato la città cioè hanno rotto la solidarietà col mondo esistente, come Abramo che lascia la sua casa. L’uomo della speranza è uno che cammina verso una città futura come qui è detto — che vive quella profonda ascetica della coscienza, che è la rottura dei rapporti i solidarietà col mondo esistente. Siamo cittadini, o non lo siamo; stiamo in questo sistema del mondo, ma non ci stiamo. Il nostro esserci è un puro fatto empirico, ma nelle dimensioni profonde in cui l’esistenza ritrova le sue identità alte, noi non ci siamo. 

La nostra patria è futura

Questo andare verso il futuro non è basato su di una sicurezza, su di una garanzia: «Tutti costoro morirono avendo veduto solo da lontano la terra che era stata promessa». Così siamo noi. È un modo di vivere non facile perché integra in sé l’instabilità del camminare. Cioè è l’abbandono per sempre dell’esistenza sedentaria. Entrare nel cammino è poggiare la propria speranza sulla fede che è possibile ciò che invece, secondo i parametri dominanti, è impossibile. Io personalmente sono convinto che è possibile creare un mondo senza armi. Io ci credo. È una follia secondo la saggezza, anche quella illuminata che ci fa scuola, però sono convinto che è possibile. Così come sono convinto che è vicina l’ora in cui può accadere la fine. La vigilanza è prendere sul serio questa prospettiva della fine. In questo stato di coscienza, il gesto che si deve compiere è quello della speranza che punta sul cambiamento: su di una città diversa, su questa città futura a cui aspirano anche quelli che hanno perso la speranza. Io credo che nella società di oggi e nelle singole coscienze ci siano come delle speranze soffocate sotto un selciato di luoghi comuni, di culture trasmesse. Ci sono polle d’acqua sotto il selciato della strada. Occorre disselciare questi pavimenti, occorre far venire fuori queste polle d’acqua viva, occorre dare voce alla speranza di chi l’ha perduta: è un compito a cui non è garantito nessun successo a breve scadenza. È vero che l’imminenza della fine può abbreviare i tempi; può determinare grandi cambiamenti di coscienza nella collettività umana. Io lo spero. Però chi sceglie questa via della speranza, cammina verso la città futura disposto anche a non arrivarci.

E questo lo statuto di un’esistenza che fa della speranza la propria qualità fondamentale, e oscilla di continuo tra la speranza ragionevole, pubblica, che viene quando ci sono molti segni esterni del cambiamento, e la speranza che non ha altro alimento che la fede.

 Noi dobbiamo vivere della speranza in ambedue i momenti: nel momento diurno dell’evidenza e nel momento notturno in cui la speranza trae dalla fede profonda il sorso d’acqua per vivere.

Da “Il vangelo della pace” vol. 3 anno C

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sabato 11 novembre 2023

SIATE PRONTI


 *XXXII Domenica del Tempo ordinario - Anno A *

VANGELO - 

Commento di Ermes Ronchi

«Il regno dei cieli sarà simile a dieci vergini che presero le loro lampade e uscirono incontro allo sposo. Cinque di esse erano stolte e cinque sagge; le stolte presero le loro lampade, ma non presero con sé l’olio; le sagge invece, insieme alle loro lampade, presero anche l’olio in piccoli vasi. Poiché lo sposo tardava, si assopirono tutte e si addormentarono. A mezzanotte si alzò un grido: “Ecco lo sposo! Andategli incontro!”. (...) Nessuno dei protagonisti della parabola è esemplare: non lo sposo che esagera nel ritardo, non colui che sbarra la porta, neppure le 5 ragazze sagge ma dure. Eppure, è così bella l’immagine d’avvio: dieci piccole luci nella notte, aria di festa, gente che si mette in cammino, esce nel buio e va incontro.

Il Regno di Dio è simile a un incontro, è come attendersi un po’ d’amore dalla vita, un po’ di bellezza e un abbraccio in fondo alla notte. Suggestione di una scena notturna: dieci lampade accese, una costellazione in cammino, uno spicchio di cielo rovesciato sulla terra.

Dieci cuori “come lucciole nell’alto buio” (Turoldo), che sfidano la notte, sfidano il ritardo del sogno, armati solo di una piccola luce. “E si addormentarono tutte...

” Ed ecco lo scatto in alto, l’inatteso del racconto: una voce a mezzanotte, capace di risvegliare alla vita: ecco lo sposo! Il conforto di sapere che in ogni notte, in ogni abbandono e stanchezza, una voce verrà a svegliarci dalla vita sonnolenta. L’abbiamo sentita tutti: è stato un amico, potrei dirvi il nome; o un libro, posso dirvi il titolo; forse un salmo pieno di pathos, di stelle, di grida; un “beati voi”, in piedi, in cammino, voi miti, puri, limpidi, poveri, buoni, riaccendete il cuore. Forse una carezza, ma vera...

Secondo colpo di scena: cinque ragazze hanno finito l’olio. Cosa sia quest’olio misterioso il vangelo non lo spiega. Ci può aiutare la poesia: “la fede è ciò che arde” (Ch Bobin), “la vita xe fiama” (Biagio Marin), “una multanime fiamma” (Clemente Rebora).

Le ragazze ce l’avevano l’olio a casa, ma non l’hanno preso con sé: una risorsa sprecata, energia inutilizzata... Così accade quando non offriamo energie alte alla nostra vita: siamo fatti per incontrare, per una festa, uno sposo, un amore, una pienezza, una bellezza. E allora dà fondo alle risorse che hai, versa un rabbocco nei tuoi piccoli o grandi vasi...

Ai giovani, ai vergini della vita, a tutti, la parabola suggerisce: preparati bene, preparati a cose grandi: a diventare padre, madre, amico, sposo, luce ai passi di qualcuno, piccolo samaritano buono. Riempi con intelligenza i piccoli vasi della tua esistenza, vivi con attenzione il tuo capitale di relazioni, così da saper vedere il bello quando arriva e abbracciarlo. Ciò che ti attende è grande: molta vita, molta gente, molta bellezza e creatività, occhi come stelle, dare una mano a Dio che continua a creare.

Non lasciar spegnere la fiamma delle cose. Colui che tarda verrà, voce che risveglia, porta che si apre, vaso riempito fino all’orlo, lo splendore di un abbraccio in fondo alla notte... 

E tu non temere, alla fine sarà Lui, lo Sposo, a varcare la notte.

 (Letture: Sapienza 6,12-16; Salmo 62; Prima Tessalonicesi 4,13-18; Matteo 25,1-13)

Alzogliocchiversoilcielo

sabato 6 agosto 2022

ESTOTE PARATI

Il Vangelo della XIX domenica C commentato da Paolo Curtaz.-

 In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Non temere, piccolo gregge, perché al Padre vostro è piaciuto dare a voi il Regno. Vendete ciò che possedete e datelo in elemosina; fatevi borse che non invecchiano, un tesoro sicuro nei cieli, dove ladro non arriva e tarlo non consuma. Perché, dov’è il vostro tesoro, là sarà anche il vostro cuore. Siate pronti, con le vesti strette ai fianchi e le lampade accese; siate simili a quelli che aspettano il loro padrone quando torna dalle nozze, in modo che, quando arriva e bussa, gli aprano subito. Beati quei servi che il padrone al suo ritorno troverà ancora svegli; in verità io vi dico, si stringerà le vesti ai fianchi, li farà mettere a tavola e passerà a servirli. E se, giungendo nel mezzo della notte o prima dell’alba, li troverà così, beati loro! Cercate di capire questo: se il padrone di casa sapesse a quale ora viene il ladro, non si lascerebbe scassinare la casa. Anche voi tenetevi pronti perché, nell’ora che non immaginate, viene il Figlio dell’uomo». Allora Pietro disse: «Signore, questa parabola la dici per noi o anche per tutti?». Il Signore rispose: «Chi è dunque l’amministratore fidato e prudente, che il padrone metterà a capo della sua servitù per dare la razione di cibo a tempo debito? Beato quel servo che il padrone, arrivando, troverà ad agire così. Davvero io vi dico che lo metterà a capo di tutti i suoi averi. Ma se quel servo dicesse in cuor suo: “Il mio padrone tarda a venire”, e cominciasse a percuotere i servi e le serve, a mangiare, a bere e a ubriacarsi, il padrone di quel servo arriverà un giorno in cui non se l’aspetta e a un’ora che non sa, lo punirà severamente e gli infliggerà la sorte che meritano gli infedeli. Il servo che, conoscendo la volontà del padrone, non avrà disposto o agito secondo la sua volontà riceverà molte percosse; quello invece che, non conoscendola, avrà fatto cose meritevoli di percosse, ne riceverà poche. A chiunque fu dato molto, molto sarà chiesto; a chi fu affidato molto, sarà richiesto molto di più».

 Non temere piccolo gregge!

La Parola forte e rassicurante di Gesù, in questa domenica, ci raggiunge nella nostra estate infuocata e rissosa, lamentosa e banale, rassegnata e spensierata, e ci aiuta ad orientare la vita, a ridarle senso, vigore, speranza.

Non temere piccolo gregge! Sì, siamo un piccolo gregge, siamo pochi, ma scegliamo di avere un pastore solo, il pastore bello che sa dove condurci, che, diversamente dai mercenari, è interessato a noi per ciò che siamo, non per ciò che produciamo.

Non temere piccolo gregge! Non abbiamo paura, anche se facciamo fatica (quanta!) nel non perdere la speranza. Ma ci fidiamo, abbiamo fede, come padre Abramo, come Sara, perché ci siamo scoperti agapetoi, amati, e abbiamo scelto di amare. La fiducia nasce dall’esperienza: abbiamo conosciuto quanto il Signore Gesù ci ama.

 Sappiamo che ha dato la vita per noi. Perché Dio ama di un amore libero e liberante, vitale e vivificante, concreto e quotidiano. Non dobbiamo temere perché al Padre è piaciuto donarci il Regno.  i è stato regalato, donato, senza condizioni, gratuitamente.

Perché Dio è così: dona. E dona sé. Il Regno è là dove Dio regna, là dove dimora la sua presenza di luce e di pace.

Ma per accorgerci della sua presenza, per non lasciarci travolgere dalla paura, per scoprire davvero che il Regno è in mezzo a noi, è già qui, dobbiamo vivere da persone libere e dobbiamo vegliare.

 Buoni amministratori

Facciamoci due conti in tasca, serenamente e seriamente. Guardiamo per cosa vale la pena di vivere, dove stiamo investendo tempo ed energia, risorse e qualità, nella nostra vita. Se il Vangelo è solo un’appendice (sana e santa) all’interno della nostra quotidianità o se, invece, ha cambiato il nostro modo di vedere.  Il tempo che stiamo vivendo è un tempo di mezzo, nell’attesa che il Signore della gloria torni.

A noi, qui e ora, Dio affida la gestione del Regno, per renderlo presente, per vivere come figli di Dio. Le nostre comunità, allora, diventano succursali del Regno, pagine pubblicitarie dell’umanità nuova perché riconciliata, profezia di un mondo nuovo.

Anche se non siamo capaci, anche se non siamo degni, anche se zoppichiamo. Perciò facciamo Sinodo: per chiederci con franchezza evangelica se il modo che abbiamo di annunciare sia il miglior modo, oggi, per dire di Dio.

Estote parati

State pronti, ammonisce Gesù.   Pronti a viaggiare, pronti a mettere in discussione ogni risultato, ogni certezza, tanto più se derivante dalla fede e dalla religiosità. Se abbiamo capito che il nostro cuore è fatto per l’infinito e l’infinito cerchiamo, stiamo pronti a cercare all’infinito. È il salubre atteggiamento del discepolo, la consapevolezza del “già e non ancora”. Già conosco Dio, eppure non lo possiedo ancora.

Già ho vissuto una splendida esperienza affettiva, eppure so che nessun amore colma il mio cuore definitivamente. Già ho scoperto, alla luce del Vangelo, quanta grazia e luce interiore ricolmano il cuore, ma ancora vivi momenti di sconforto e di buio. Già ho capito chi sono, ma ancora non so chi sarò.

Una tensione sana, bella, che ci conduce all’essenziale, che ci stacca dalla pesantezza della quotidianità, che ci restituisce al realismo.

State pronti, ci chiede il Maestro. E noi vegliamo nella notte. Questa notte della Storia. Ogni notte. Scrutando l’Oriente, aspettando l’aurora. Quanta fede ci chiedi, Signore!

Nomadi

Come Israele, le cui gesta, enfatizzate e mitizzate, abbiamo letto nella prima lettura, anche noi siamo chiamati ad uscire dalla schiavitù, da ogni schiavitù, per imparare, nel deserto, a fidarci di Dio. Schiavi dell’idea che abbiamo di noi stessi, schiavi e preoccupati dell’immagine che dobbiamo restituire agli altri, schiavi dei finti bisogni che la pubblicità ci suscita, possiamo riscoprire, alla luce della parola, che o l’uomo è cercatore o non è, o l’uomo è mendicante o non è. O l’uomo è in cammino interiore o non è. Che la vita, che ogni vita, è progressiva liberazione interiore. Quanta fede ci chiedi, Signore!

Abramo ascolta la sua voce interiore.

Non è un giovane preso da deliri mistici: è un uomo realizzato, non travolto da impetuose passioni. Egli è l’uomo provato dalla vita, disilluso e che – pure – sente un appello irrefrenabile all’interiorità. Vai, sente nel cuore, Vai a te stesso.

Folle Abramo che lascerà ogni certezza e ruolo sociale per seguire un istinto interiore, per ritrovare se stesso! E questo suo gesto sarà immensamente fecondo: egli è il padre di tutti i cercatori di Dio.

Vai a te stesso, amico lettore, scopriti viandante, sul serio. Anche se pensi di avere vissuto a sufficienza, o troppo sofferto, o fatto le tue scelte. Siamo tutti straordinariamente liberi, resi capaci di iniziare percorsi nuovi anche quando tutto sembra deciso, sbagliato, irremovibile. Vai a te stesso.

L’Attesa

La vita, allora, diventa inquieta (e felice) attesa, l’attesa del ritorno, l’attesa dell’incontro del padrone che torna dalle nozze.  Attesa: la mia vita, la tua vita è attesa.

Di un senso, del superamento del tuo dolore, della chiave per capire la tua vita, di una persona da amare, di un figlio da stringere e baciare, di un mondo migliore, della luce infinita che illumini le tue paure, di Dio.

Attesa.  L’uomo è l’unico essere vivente capace di attendere, di vegliare, di insistere, di credere.  Nella notte, spesso, nel lungo e corposo silenzio della notte, sentiamo crescere la nostra fede, abbandonarsi il nostro cuore, capiamo cosa ci è essenziale. Nella notte, come le sentinelle che aspettano l’aurora, diventiamo dei credenti, dei discepoli.  Quando le ginocchia vacillano, quando la fatica è tanta, quando ci sembra di non farcela ad attendere, quando la disperazione fa pressione alla porta del cuore, possiamo guardare ai testimoni, guardare ai padri della fede, ai tanti, tantissimi che hanno, come noi creduto nella notte, e visto la luce, infine.

La fede è questo misterioso già e non ancora, questo silenzio assordante, questa notte luminosa.

Vegliamo, dunque.

Amati. amando.


Paolo Curtaz

 

sabato 7 novembre 2020

SIATE PRONTI ....

Dal Vangelo secondo Matteo - Mt 25, 1-13

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli questa parabola: "Il regno dei cieli è simile a dieci vergini che, prese le loro lampade, uscirono incontro allo sposo. Cinque di esse erano stolte e cinque sagge; le stolte presero le lampade, ma non presero con sé olio; le sagge invece, insieme alle lampade, presero anche dell'olio in piccoli vasi. Poiché lo sposo tardava, si assopirono tutte e dormirono. A mezzanotte si levò un grido: Ecco lo sposo, andategli incontro! Allora tutte quelle vergini si destarono e prepararono le loro lampade. E le stolte dissero alle sagge: Dateci del vostro olio, perché le nostre lampade si spengono. Ma le sagge risposero: No, che non abbia a mancare per noi e per voi; andate piuttosto dai venditori e compratevene.  Ora, mentre quelle andavano per comprare l'olio, arrivò lo sposo e le vergini che erano pronte entrarono con lui alle nozze, e la porta fu chiusa. Più tardi arrivarono anche le altre vergini e incominciarono a dire: Signore, signore, aprici! Ma egli rispose: In verità vi dico: non vi conosco. Vegliate dunque, perché non sapete né il giorno né l'ora".

 Commento di p. Paolo Curtaz

Lo sapevamo, era previsto, predetto, immaginabile. 

Il signor Covid si è ringalluzzito, complice la stagione fredda, e siamo di nuovo a guardare le statistiche, a chiuderci in casa, un po’ smarriti, un po’ snervati, un po’ impauriti.

Ci è stato ripetuto mille volte: dobbiamo imparare a convivere con questo sgradito ospite. Per mesi, forse anni… E cambiare abitudini e ritmi. 

E questa seconda ondata è peggiore della prima, perché ci coglie stanchi, meno convinti, consapevoli del fatto che le scelte fin qui adottate sono rivelate insufficienti. Ma è qualcosa che, nuovamente, travolge ogni paese, che ridefinisce le agende delle nazioni e delle persone, che ci spinge ad essere guardinghi, sospettosi, prudenti.

È difficile, lo so. Lo so bene. Lo vivo con voi. Lo vivo con te.

Eppure ancora penso che tutto sia opportunità. 

Sgradevole, se volete, ma opportunità. 

E parlo di me, senza fare il saputello.

È un tempo che mi aiuta a capire se credo davvero. 

Se oso credere. 

Se oso attendere.

Se oso Dio.

Lo Sposo.

Come hanno saputo fare le ragazze della parabola di oggi.

Attendiamo

La buona notizia che la Parola ci consegna è che non siamo condannati a vagare nel nulla.

Se accendiamo la lampada e sfidiamo l’ombra è perché viene lo Sposo. L’amato. L’amante.

Se, invece di maledire l’oscurità, di additare i colpevoli, veri o presunti, accendiamo un fiammifero, piccola fiammella che squarcia le tenebre.

Questo mondo, la mia vita, la realtà, la quotidianità che tanto mi affascina e mi affatica è in attesa di uno Sposo. Un Salvatore, un Amante, un Amato. Il Signore.

Allora anche la notte più fitta diventa la scena che sta per accogliere il veniente.

Anche la paura della morte, della pandemia, della solitudine, assumono un colore diverso.

Abbiamo appena celebrato la dolente memoria dei nostri fratelli defunti, illuminata, il giorno prima, dalla grande festa della santità che Dio riversa sui suoi figli. Non sono morti, i nostri defunti, ma altrove a continuare il loro percorso di conoscenza, di liberazione, di semplificazione, di guarigione definitiva. Anch’essi in attesa.

La vita è attesa. Non di una condanna, non di un verdetto nefasto.

Ma di una festa di nozze, come ci ha ricordato con insistenza e veemenza il Maestro nelle scorse settimane. Festa cui siamo invitati ma che possiamo ignorare. O cui possiamo partecipare (almeno a quella!).

Attendiamo il ritorno nella gloria del Signore Gesù. E chiediamo, ora, di prendere consapevolezza di chi siamo noi, di chi è lui, di cos’è la vita.

È buia, la notte, ma ci sono anime leggere che la sfidano andando incontro allo Sposo.

Ardimenti

Sfidano la notte, le ragazze. Sfidano il sonno che appesantisce le nostre anime, così indaffarate a farsi spazio nel caos cui abbiamo ridotto le nostre vite oberate e impaurite. Sfidano le convenzioni di chi dice che non c’è nessuno Sposo da attendere e che uno Sposo non può essere così idiota da presentarsi nel cuore della notte. E che uno Sposo non permetterebbe mai ciò che stiamo vivendo.

Ma può accadere di assopirsi, di stancarsi, di scoraggiarsi. 

Accade anche agli apostoli al Getsemani. Accade anche ai migliori. 

Troppa stanchezza, troppo dolore, troppa fatica, e si lasciano i remi, e prevale lo sconforto. L’anima si assopisce.

Allora, Dio lo conceda, arriva un grido.

Un gallo che canta. L’eccitazione dei soldati inviati ad arrestare Gesù. Uno sconosciuto che ha intravvisto nella notte la venuta dello Sposo. 

Un grido, una Parola, un segno che ci scuote, ci toglie al sonno. È lui, arriva, accoglilo.

Osano, le ragazze, prendono la lampada, escono. Ma ad alcune manca l’olio.

La durezza della risposta di cinque fra loro ci lascia perplessi. Ma hanno ragione: se dividessero il loro olio mancherebbe a tutte. Considerazione dura ma vera, sgradevole ma onesta.

Ci sono cose talmente intime che non sono condivisibili. E il sangue per gli esami deve essere il mio. Non posso farmi trainare dagli altri nella fede.

Cos’è, quell’olio?

La parabola non lo dice.

Ma brucia. Qualcosa che brucia e fa luce. Per tenere la lampada accesa nella notte dobbiamo ardere.

Desiderio. Curiosità. Inquietudine. Emozione. Amore. Passione. 

Solo le anime ardenti osano sfidare la notte.

E ciò che siamo è unico e non può essere facilmente condiviso. Come si potrebbe?

Possiamo seguire un guru, possiamo frequentare una parrocchia, un gruppo di amici credenti convincenti. Ma, alla fine, solo io posso sapere e decidere se alimentare la lampada.

Sono solo di fronte a Dio. Io e lui. Faccia a faccia. Cuore a cuore.

Durezze

Le ragazze sprovvedute riescono comunque a rimettersi in marcia, trovano dell’olio, riaccendono passione e desiderio. Ma è troppo tardi, la porta è chiusa. Colui che dice di stare alla porta ad attendere qualcuno che apra, inaspettatamente, non apre alle ragazze che insistono.

Non è per ripicca, non per vendetta, Dio non è duro o crudele.

È una legge della vita: ci sono occasioni che non si ripetono, momenti unici.

Nelle relazioni, negli affetti, nella fede.

Se aspetti il momento passa. Se cincischi o tentenni, si svuota.

Quel bacio che avrebbe rivelato l’amore che hai per quella persona, se non lo dai lo perdi per sempre. E, a volta, perdi anche la persona che ami.

Quando avrò più tempo mi occuperò delle cose di Dio.

Se solo riuscissi a organizzarmi meglio!

Coltiverei volentieri la mia anima, ma ora proprio non ho la testa.

Non basta recuperare l’olio del desiderio, riaccendere la lampada, avventurarsi nella tenebra.

La strada che devo percorrere è tanta e rischio di non esserci.

Io penso, oso pensare, che questa notte che stiamo condividendo, che questa tenebra che sembra non finire, sia il momento dell’incontro, la grande opportunità per molti fra noi.

Vegliamo.

Restiamo accesi.

Dio viene quando meno ce lo aspettiamo.

 Cercoiltuovolto

 

 

venerdì 1 dicembre 2017

LA VEGLIA, IL DESIDERIO, LA RESPONSABILITA'

33 Fate attenzione, vegliate, perché non sapete quando è il momento. 
34 È come un uomo, che è partito dopo aver lasciato la propria casa e dato il potere ai suoi servi, a ciascuno il suo compito, e ha ordinato al portiere di vegliare. 
35 Vegliate dunque: voi non sapete quando il padrone di casa ritornerà, se alla sera o a mezzanotte o al canto del gallo o al mattino; 
36 fate in modo che, giungendo all’improvviso, non vi trovi addormentati. 
37 Quello che dico a voi, lo dico a tutti: vegliate!    Marco 13, 33-37

A
nno dopo anno la chiesa ci invita a vivere l’occasione di grazia che è l’Avvento.
      Ma l’Avvento è dell’Altro. A noi appartiene l’attesa. E l’attesa è costitutiva della nostra umanità. Ci ricorda che non ci diamo da noi, che non ci basta quello che abbiamo e quello che siamo. L’aspettare qualcosa e aspettare qualcuno ci strappa alla nostra finitudine e ci proietta nella relazione e nella sua cura. Lì perseguendo insieme l’ umanizzazione personale e comunitaria costruiamo lentamente il regno.
    Questi quattro versetti di Marco hanno una collocazione particolare: precedono di fatto il racconto della passione e chiudono il discorso escatologico di Gesù, destinato ad accompagnare i suoi oltre la sua prossima morte sino all’orizzonte finale della storia terrena. Due piani, l’esplicito e l’implicito sullo sfondo, vi si intrecciano: Gesù parla della rovina del Tempio e il pensiero corre alla sua personale rovina. Parla di persecuzioni future ai suoi, e dà per scontata la grande persecuzione che a momenti lo investirà. Si riferisce ai turni di guardia romani nella notte (v. 35) e vi legge le tappe del prossimo abbandono dei suoi.
     Ecco allora l’invito pressante a un’attesa che coniughi l’assenza con una nuova forma di presenza. Un dono, non una minaccia, un tornerò, non un addio, ma seriamente impegnativi.
    Ha appena parlato, infatti, sempre nel linguaggio apocalittico, della beatitudine promessa: 26Allora vedranno il Figlio dell’uomo venire sulle nubi con grande potenza e gloria. 27Egli … radunerà i suoi eletti dai quattro venti, dall’estremità della terra fino all’estremità del cielo … 32Quanto però a quel giorno o a quell’ora, nessuno lo sa, né gli angeli nel cielo né il Figlio, eccetto il Padre.
     È risposta ai discepoli, che all’inizio del discorso gli hanno chiesto quasi privatamente: quando? (v. 13,4).
    Oltre il legittimo interesse a conoscere la data di un evento così decisivo si legge il desiderio di tenere sotto controllo i fatti e, se possibile, di governarli. Ci si arma a fronte di un pericolo. Invece la paradossale logica evangelica ci chiede il disarmo totale e l’abbandono fiducioso. Anzi, poiché ignoriamo il quando, tutte le forze devono essere concentrate nell’attesa vigilante, perché il kairòs, il momento di grazia della parousia, non ci sfugga.
    E qui la breve allegoria riprende il tema, caro ai sinottici, di un Gesù che si allontana lasciando agli uomini il governo della sua casa, a ciascuno un compito, nell’attesa del suo ritorno; in continuità con il racconto del Genesi in cui il Signore affida ad Adamo il giardino da coltivare (Gn 2,15), non da proprietario ma da custode.
    Se tutto il discorso escatologico era centrato sulla dissoluzione finale delle strutture di potere, il tempio, i regni, le nazioni, ora la prospettiva è la casa, il luogo comunitario inappropriabile, perché appartiene al Signore. E ancora luogo della responsabilità, dell’operatività sinfonica che risponde a una delega dell’autorità, più che del potere (v.34), termini con cui traduciamo il greco exousia. Il potere, infatti, si accompagna spesso nella storia all’arbitrio, mentre l’autorità, quella che è riconosciuta, fa crescere. È quella personale di Gesù, che dà sostanza a un messaggio di liberazione totale (v.1,27).
    Anzi, la partecipazione all’exousia di Cristo, fuor di metafora, allude alla partecipazione allo Spirito, che pur unico, distribuisce i suoi doni, i suoi carismi, a ciascuno in forma personale, per il bene comune, sovranamente libero dentro e fuori la comunità.
    Questo è allora il cuore del messaggio: vivere l’attesa convinti che nella ferialità dimessa o nell’eccezionalità della vita, aldilà delle sofferenze e dentro le sofferenze, un’offerta di amore sempre ci raggiunge con possibilità inedite e sorprendenti di realizzazione. Al nostro lavoro resta ancora affidata la creazione perché giunga a compimento, mentre la cosmogenesi continua tuttora attraverso l’irradiazione di sempre nuove energie. Se la casa comune è lo spazio dell’attesa, il tempo sarà il personale ritmo di appropriazione di queste energie (C. Molari). Ma a patto di aprire gli occhi, di vivere la profondità e non la superficie degli avvenimenti e delle relazioni, in una parola di vegliare, disponibili ad accettare e lasciare fiorire le sorprese di Dio.
Altrove ha promesso che lui è con noi, in noi, in mezzo a noi. Ma qui ci chiede come viviamo noi l’attesa del suo ritorno, vivendo già la sua compagnia. La riunione dei santi comincia qui, nella casa comune; la comunione col Padre è anticipata nella comunione tra i fratelli; ogni giorno ordinario contiene già il giorno del Signore.
     Quello che dico a voi, lo dico a tutti: vegliate! Essere trovati desti nell’amore, tanto nel desiderio quanto nel servizio operoso, è la scommessa finale che tutti ci investe, senza preclusioni e confini. In questo periodo il giorno si fa breve e le tenebre dilatano il loro tempo. Anche la natura anela alla luce e la desidera. I riti pagani e neopagani del solstizio d’inverno ce lo ricordano. Ecco, per tutti, il desiderio è la chiave dell’attesa.

Raffaela Bignola, in www.tuttavia.eu