sabato 8 febbraio 2025

LA FINE DELLE DIFFERENZE

 


Il caso Almasri

 e

 la fine delle differenze

  

-di Giuseppe Savagnone

 

Una seduta parlamentare tempestosa

Il caso Almasri continua a spaccare il mondo politico e l’opinione pubblica del nostro paese. Per capirci qualcosa, come sempre, la cosa migliore è cominciare dai fatti. Ridotti all’essenziale, essi si possono riassumere così: la Corte Penale Internazionale aveva chiesto al governo italiano l’arresto del generale libico Almasri per crimini contro l’umanità, il ricercato in effetti è stato arrestato ma poi – e qui le interpretazioni divergono radicalmente – è stato rilasciato e rimpatriato in Libia con un volo di Stato.

Il governo ha dato la sua versione nell’informativa resa, il 5 febbraio scorso, dai ministri Nordio e Piantedosi in Parlamento, in sostituzione della premier che, malgrado le insistenti richieste dell’opposizione, ha preferito non presenziare.

Già questa assenza è stato oggetto di aspre polemiche. Eddy Schlein ha accusato la Meloni di vigliaccheria e l’ha definita “presidente del coniglio”, invece che del Consiglio. Ma anche le relazioni del ministro della Giustizia e di quello degli Interni, più che criticate, sono state ridicolizzate.

Da parte loro, il governo e la stampa che lo sostiene hanno minimizzato la vicenda e hanno parlano di «sceneggiata» e di «show» propagandistico della sinistra, finalizzati a nascondere episodi di corruzione legati al fenomeno migratorio, come quello del tesoriere di PD in Campania, a loro avviso ben più gravi.   

Forse in poche occasioni come in questa la mancanza di dialogo tra la maggioranza e la minoranza è stata così radicale, rendendo l’immagine di due Italie non comunicanti, come neppure al tempo del duello tra DC e PC. Don Camillo e Peppone in fondo si rispettavano e parlavano tra loro.

La virulenza dei toni è stata bene espressa dalla vignetta di Giannelli sul «Corriere della sera». I due ministri sono rappresentati mentre, in piedi, dietro il banco del governo, cercano di ripararsi dalla pioggia di mele e uova marce proveniente dall’aula.

Al centro, fra di loro, la sedia vuota della premier, che però in realtà è rannicchiata, nascosta dietro di essa, mentre risponde al telefono spiegando, a chi le chiede una dichiarazione, «Mi dispiace, ora non posso».

Le ragioni del governo e i loro punti deboli

Ma veniamo al merito. Il ministro Nordio ha spiegato la sua scelta di non confermare l’arresto del generale libico con le gravi imprecisioni contenute nel mandato emesso dalla Corte penale internazionale.

«Non sono un passacarte», ha detto, rivendicando il suo diritto di chiedere chiarimenti alla Corte prima di dare esecuzione al documento. Le precisazioni sono arrivate, ma nel frattempo il ricercato era stato rimpatriato. Da parte sua, Piantedosi ha spiegato questo rimpatrio del generale libico con la sua evidente pericolosità, che rendeva urgente mandarlo fuori dal nostro paese il più presto possibile.

«Né Nordio né Piantedosi» – ha commentato un giornale certamente più vicino alla destra che all’opposizione, come «Il Foglio», «hanno ricordato che, una volta scarcerato Almastri per ragioni procedurali (…), vi era un’alternativa al rimpatrio, che era un nuovo arresto in attesa dei chiarimenti della Corte».

Non solo. Le due relazioni – come segnala un giornale, non sospetto di faziosità pregiudiziale, «La Stampa» – si sono smentite a vicenda: «Nordio contraddice Pantedosi», è il titolo di prima pagina del quotidiano torinese. 

Perché, se il problema era l’invalidità del mandato di arresto internazionale, che senso ha tirare in ballo la pericolosità o meno dell’indiziato? E, reciprocamente, quali che fossero le lacune formali di quel documento, evidentemente era chiaro al governo che Almasri era pericoloso e che la richiesta della Corte dell’Aja era tutt’altro che infondata. 

Ma anche in se stesse, le versioni dei due ministri hanno evidenziato dei punti deboli che in aula sono stati oggetto di irrisione da parte dell’opposizione. Per quanto riguarda quella di Nordio, la legge 237/2012 spiega molto chiaramente che non è il ministro della Giustizia a dover valutare la fondatezza di un mandato d’arresto della Corte penale internazionale. Non si tratta di ridursi a “passacarte”, ma di rispettare un accordo internazionale che l’Italia ha firmato.

Quanto alla informativa di Piantedosi, è stato notato che la Corte d’appello di Roma ha ordinato la scarcerazione di Almasri nella tarda mattinata del 21 gennaio, ma il Falcon che doveva riportarlo a Tripoli era già ad attenderlo all’aeroporto di Torino.

Peraltro, la necessità di fare uscire il generale dai confini italiani, data la pericolosità del soggetto, non spiga perché Almasri sia stato portato giusto in Libia, l’unico paese dove gode di un’assoluta impunità. E l’unico dove purtroppo è e sarà ancora veramente pericoloso, come dimostrano le notizie che da più fonti sono arrivate e continuano ad arrivare sulla sua attività di sadico torturatore dei reclusi dei lager libici.

Alla base, una menzogna

Ma forse la contraddizione più inquietante, che si impone allo spettatore semplicemente desideroso di capire come siano andate le cose, è quella tra le odierne dichiarazioni dei ministri e la versione sostenuta dal governo fino ad ora, che esse hanno smentito.

«La richiesta di arresto della Corte Penale Internazionale» – aveva dichiaro Giorgia Meloni in uno dei video in cui si è rivolta ai suoi sostenitori, invece che rappresentanti dei cittadini in Parlamento – «non è stata trasmessa al Ministero italiano della Giustizia, come invece è previsto dalla legge, e per questo la Corte d’Appello di Roma decide di non procedere alla sua convalida.

A questo punto, con questo soggetto libero sul territorio italiano, piuttosto che lasciarlo libero noi decidiamo di espellerlo e rimpatriarlo immediatamente per ragioni di sicurezza con un volo apposito come accade in altri casi analoghi. Questa è la ragione per la quale la procura di Roma oggi indaga me, il sottosegretario Mantovano e due ministri».

La tesi sostenuta dalla Meloni e fatta propria per giorni dal governo e dai giornali di destra è stata dunque che «Almasri è stato liberato su disposizione della Corte d’Appello di Roma non su disposizione del Governo».

Ora, da quanto lo stesso Nordio ha riferito in Parlamento, non è vero che la Corte Penale Internazionale non ha informato il governo italiano, e in particolare il ministro della Giustizia, del mandato di cattura pendente su Almasri. Il ministro, nella sua relazione, ha perfino sottolineato come abbia costituito un ostacolo alla sua recezione la difficoltà di tradurlo, visto che era scritto in inglese (!!!).

E poiché, come abbiamo visto, la legge non gli attribuiva alcun potere discrezionale, avrebbe dovuto subito mettersi in contatto con la Procura di Roma, che sollecitava una risposta e che invece, dopo tre giorni di silenzio, mancando ogni riscontro dal Ministero, è stata costretta a rilasciare Almasri.

Meloni perseguitata?

La bugia sul ruolo del governo è servita alla premier per legittimare, agli occhi dell’opinione pubblica, la sua vibrante indignazione per quella che ha chiamato «avviso di garanzia», ricevuto a causa di un “pasticcio” che, a suo dire, era solo colpa della magistratura. 

E presentando tutta la vicenda – in una serie di video che hanno avuto un enorme impatto sull’opinione pubblica e fatto volare i consensi verso la premier “perseguitata” – come un attacco dei giudici per screditarla. «La magistratura dichiara guerra alla Meloni», ha titolato un giornale online di destra. Ma è il succo di quello che tutti i giornali governativi hanno scritto. 

In realtà, come l’Anm ha subito precisato in una nota, quello ricevuto dalla presidente del Consiglio non è un avviso di garanzia, che si inserisce in un’indagine, ma solo la comunicazione che c’è stata una denuncia, su cui la Procura, nel caso del premier e dei ministri, non può condurre alcuna indagine e che può solo trasmettere al Tribunale dei ministri. 

Sull’obbligatorietà o meno di questo atto si è aperta una polemica infinita che ha visto pareri opposti anche di seri giuristi. Quel che è certo, è che esso, anche se non fosse stato dovuto, rientrava nella normale discrezionalità della Procura.  La Meloni non ha esitato a presentarlo come un complotto nei suoi confronti, facendone il trampolino per esaltare la propria immagine come quella di una donna intrepida, decisa a tirare dritto per il bene del paese: «Non sono ricattabile, non mi faccio intimidire. Ed è possibile che per questo sia invisa a chi non vuole che l’Italia cambi e diventi migliore», ma «intendo andare avanti per la mia strada» a «testa alta e senza paura».

I “ricattatori”, evidentemente, sono, come sempre, i magistrati, accusati di invade la sfera politica: «Se i giudici vogliono governare, si candidino», ha detto la premier. Una frase a cui, garbatamente, l’Anm ha risposto con una nota la cui sostanza era che, a loro volta, se i politici vogliono amministrare la giustizia, devono prima studiare il diritto e vincere un concorso, come prevede la Costituzione.

 In questa arringa di accusa, i giudici sono stati additati dalla Meloni come nemici dell’Italia: «L’avviso di garanzia da parte del Procuratore della Repubblica, Francesco Lo Voi, per i reati di favoreggiamento e peculato per il caso Almasri è un danno alla nazione, alle sue speranze, opportunità e occasioni».

Contestualmente i consiglieri “laici” (non magistrati) di destra del Consiglio superiore della magistratura, hanno chiesto di aprire un‘inchiesta su Lo Voi, volta a “punirlo” con un provvedimento disciplinare.

Ma non sono solo i tutori del diritto italiani ad essere contestati: in coro la destra adesso accusa anche la Corte Penale Internazionale. Il nostro ministro degli Esteri, Tajani, ha proposto addirittura di aprire un’inchiesta nei suoi confronti (senza chiarire da chi dovrebbe essere svolta, visto che la Corte è il più altro tribunale internazionale).

Un caso emblematico della caduta delle differenze

Difficile, davanti a questa vicenda, non essere sgomenti.  Non soltanto per la posta in gioco, che comunque è tutt’altro che irrilevante – quante persone Almasri potrà ancora torturare, stuprare, uccidere? – , ma anche, e forse soprattutto, per il suo significato. Essa indica il venir meno dei confini tra verità e menzogna, tra diritto e potere, tra Stato e governo.  

Le bugie – inconfutabilmente emerse da questo racconto – sono state accolte e ripetute come verità, anche quando erano addirittura in contraddizione fra di loro.  I giudici, preposti alla tutela del diritto, sono stati messi sul banco degli imputati dai potenti a cui contestavano l’illecito uso del loro potere, come se il solo criterio del giusto e dell’ingiusto fosse l’investitura elettorale (vox populi, vox Dei).

Ogni rilievo nei confronti del capo dell’esecutivo – un organo dello Stato, come lo è, peraltro, la magistratura – è stato presentato come una minaccia alla nostra nazione e al popolo italiano.

Ritengo ridicola la questione se la Meloni sia o no nostalgica del fascismo. I fenomeni storici non si ripetono mai uguali. Quello che è certo è che, procedendo su questa strada, della democrazia, in Itali, resterà solo il nome.

 

*Scrittore ed editorialista   Pastorale Cultura Arcidiocesi Palermo

www.tuttavia.eu

 

 

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