sabato 8 febbraio 2025

AMORUCCIO MIO

 


Gestire l’adolescenza: 

“Non chiamate

 i vostri figli

 ‘amore’ o ‘tesoro’.



Educarli, anche come alunni, è necessario per aiutarli ad imparare.

Vi spiego come fare”.

INTERVISTA a Daniele Novara

Di Fabio Gervasio

L’adolescenza è sempre stata considerata un’età difficile, oggi lo è ancor di più con l’avvento del digitale, ma come possiamo aiutare i nostri ragazzi a crescere in modo sano? Ne abbiamo parlato con il Professor Daniele Novara, pedagogista, autore, fondatore e direttore del CPP, Centro PsicoPedagogico per l’educazione e la gestione dei conflitti.

Professor Novara, è appena uscito il suo ultimo libro “Mollami! Educare i figli adolescenti e trovare la giusta distanza per farli crescere” che potremmo definire una bussola educativa per genitori con figli adolescenti. Innanzitutto ci aiuta a capire quali sono le caratteristiche degli adolescenti di oggi?

Possiamo dire che gli adolescenti sono sempre gli stessi, hanno questo viscerale desiderio di autonomia e di libertà, ossia di schiodarsi dal controllo che è più tipicamente una caratteristica di quando erano bambini, quindi di uscire dal nido materno, di affrontare il mare magnum della vita con le proprie forze e con le proprie risorse. Insomma, vogliono mettersi alla prova senza tanti salvagenti se non quelli che opportunisticamente vanno a cercare, tipo i soldi dei genitori e quant’altro.

La questione è piuttosto che sono cambiati i genitori, mentre una volta il genitore tendeva a mantenere la sua collocazione con una distanza adeguata, oggi un genitore che vede il figlio come una preziosità assoluta, chiamiamolo narcisistico, si è irretito, per così dire, in una versione molto amicale, anche se il termine non è propriamente corretto. In realtà oggi il genitore ricerca una sorta di gradevolezza, di intimità, di armonia, il famoso mito del dialogo a ogni costo, da cui l’adolescente per natura rifugge.

L’adolescente vuole parlare e stare con i suoi compagni e i suoi amici e non con il mondo adulto, che è visto e considerato come un mondo da cui allontanarsi, anche se è un mondo necessario per lui, se si vuole anche indispensabile, ma in questo momento della vita l’attrazione è per la socialità fra pari e quindi questo desiderio adulto di essere a loro volta alla pari con gli adolescenti diventa un cortocircuito inevitabile, per cui poi ci si mette a urlare rinfacciando la propria disponibilità nei suoi confronti, cosa che non accadeva con i nostri genitori così come il dialogo che vorremmo avere con loro.

Ecco, queste sono stupidaggini, gli adolescenti sono sempre uguali e nel libro cerco di spiegare che come genitori occorre tenere la giusta distanza con loro, c’è un capitolo dedicato proprio alle mamme che si intitola “Sto alla larga”, e in questo stare alla larga è un po’ nascosto il segreto di una buona gestione dei ragazzi e delle ragazze, che vanno gestiti in questa fase della vita così giustamente bella, carica e aggiungerei esplosiva.

Ci dice quali strategie si possono mettere in atto per guidare gli adolescenti in questa fase così delicata?

Innanzitutto inviterei i genitori a non inseguire i ragazzi e le ragazze in tutte le tipologie di comportamenti possibili e immaginabili, ma di darsi un metodo, perché in fondo educare i figli, così come educare gli alunni, è sempre una necessità di aiutarli a imparare.

È l’apprendimento lo scopo dell’educazione, non il controllo sulle singole situazioni tra l’altro in un a periodo d’età molto lungo, perché come è noto le neuroscienze hanno abolito il concetto di teenager e si parla di fine di tale periodo intorno al ventitreesimo/ventiquattresimo anno di età, ovvero quando il cervello finalmente incomincia a prendere le forme più stabili dell’età adulta. Dicevo del metodo, ecco avere un metodo che ti permetta di affrontare tutte le casistiche piuttosto che annegare nelle casistiche che con i ragazzi sono migliaia.

Allora il metodo sostanzialmente, ne parlo nel capitolo 3, si fonda su tre pilastri, li chiamo pilastri metodologici: il primo è costruire la giusta distanza educativa, cioè non finire nei meandri oscuri e un po’ ambigui della confidenza e dell’intimità, ma tenere il proprio ruolo, la propria titolarità educativa. Poi c’è il gioco di squadra centrato sul paterno, questo devo dire che viene considerato una novità, perché io sono un sostenitore, come pedagogista, del fatto che l’adolescenza è l’età del paterno, se possibile del padre.

Il padre non sempre c’è, ma quando c’è invito le mamme a non lasciarlo in panchina, va implicato nel processo educativo, perché è il suo momento prezioso, nel senso che nel gioco di squadra la figura del padre è una figura tendenzialmente con un minor carico emotivo per una questione strettamente biologica, in quanto non ha tenuto nella pancia per nove mesi il pargolo. Questi nove mesi sono importanti perché la mamma ha creato delle neuroconnessioni anche emotive, delle forme di neurotelepatia con i figli, per cui il figlio in qualche modo è sempre in grado di anticipare, di prevedere le mosse della mamma, oppure ancora peggio, di sapere quali tasti toccare per farla esplodere.

Il padre non ha avuto questo problema, non ha queste neuroconnessioni simbiotiche, osmotiche, cellulari provenienti dal periodo della gestazione, per cui può essere più distaccato e quindi gestire questo desiderio di allontanamento e di libertà attraverso tutta una serie di operazioni che sono operazioni pratiche e non sono i famosi e famigerati spiegoni. Mi preme di insistere proprio sulla configurazione di un gioco di squadra in cui la mamma è un passo indietro, non un passo avanti. Nel libro poi spiego bene tutta questa situazione, ovviamente anche con l’invito a non spostare poi l’incombenza dal figlio all’altro genitore, cioè il padre.

È ovvio che se il padre non c’è la madre deve, volente o non volente, assumere un posizionamento più paterno, meno di maternage di pura e semplice affettività e più sviluppato attorno a questioni organizzative. In questo modo può funzionare, le mie esperienze, basate su trent’anni di lavoro in questo campo, hanno confermato che lo spostamento sul padre e sul paterno è la mossa più importante. Dicevo che è una falsa idea nuova, perché in fondo tutta la psicologia ci ha già ricordato che l’adolescenza, a partire dalla psicanalisi, da Freud in poi, è l’età del padre. Noi pedagogisti alla fine utilizziamo scienze primarie come la psicologia per poi creare operazioni e dispositivi operativi e concreti.

L’ultimo elemento metodologico, il terzo, è comunicare bene con nuove tecniche. Cioè le tecniche di comunicazione non possono essere quelle dell’esortazione, dell’insistenza, del cercare di coinvolgerlo sui ragionamenti, ma deve essere una comunicazione di servizio che permette di collocarsi in maniera da rispettare la sua libertà ma anche di avere la giusta misura educativa. L’adolescenza è un’età che va presidiata dal punto di vista educativo, non controllata, bisogna mantenere una posizione che non è più quella del bambino, ma quella di ragazzi e ragazze che, come spesso dico, sono nella prima parte dell’età adulta e non nell’ultima parte dell’infanzia.

I genitori spesso diventano oppressivi con i ragazzi adolescenti, quali comportamenti devono tenere per continuare a essere presenti senza diventare soffocanti?

Esatto, sono comportamenti legati alla negoziazione della libertà adolescenziale. Nella mia esperienza pluridecennale ho sempre affrontato questi territori impervi e nel libro parlo di diverse tecniche, però la principale, che è un po’ la novità di questo libro, è quella del paletto, ossia di creare un gioco fra una limitazione, il paletto appunto, che può essere un orario di rientro serale, la paghetta, oppure la necessità di sistemare la propria stanza e una negoziazione su questa necessità, lasciando quindi in questa negoziazione un margine di libertà forte, significativo, ai ragazzi e alle ragazze, perché qualsiasi impostazione educativa necessita che la libertà sia posta prioritariamente nella relazione con loro.

Non si può sopravanzarli, come dicono certi genitori, con le buone o con le cattive se non ascoltano o non ubbidiscono, a tal proposito ricordo una signora che aveva sculacciato il figlio di 16 anni perché diceva che non ci aveva più visto, per giunta era un ragazzone di un metro e ottanta. Sono tanti genitori che chiamano ancora bambino bambina i loro figli di 12-13 anni, alcuni sono 1 e 70, oppure questo uso del termine fidanzatesco come “amore”, “tesoro”, ecco non va bene, dobbiamo darci una calmata perché loro cercano altre sponde, in qualche modo l’elemento genitoriale è quello che li ha condotti fino all’adolescenza, ma adesso vogliono sentirsi in grado di affrontare da soli le sfide, quindi è una presenza che mantiene un valore educativo senza diventare invadente, senza diventare incombente e senza inutili controlli.

La tecnica del paletto è perfetta, non sto a spoilerare il libro così qualcuno magari lo acquista anche, voglio solo incuriosirvi, il libro è veramente in controtendenza rispetto anche tutta una serie di psicologismi che ci hanno invaso. A volte faccio dialoghi con i genitori e mi domando se sto parlando con una psichiatra, per cui l’invito che rivolgo a questi genitori che usa dei termini che sono palesemente psicologici, psichiatrici, è di usare molta calma in tal senso, è già difficile per gli psichiatri, figuriamoci per i genitori, ognuno fa il suo lavoro, il genitore è impegnato a far imparare a vivere i suoi figli e quello che propongo è il metodo giusto.

Un’ultima domanda, è possibile trovare un metodo educativo che consenta di orientarsi anche nei momenti di crisi e smarrimento?

Sì esatto, il digitale è una di quelle casistiche che oggi sono molto pervasive nella vita dei genitori per quanto attiene la relazione con i figli adolescenti, ma non bisogna lasciarsi così invaghire da questo problema che è uno dei tanti, non è che sia così diverso dalla questione della sessualità per esempio. Il metodo è il solito, giusta distanza, passare la palla al padre se c’è o comunque assumere un atteggiamento paterno e comunicare con tecniche adeguate.

La tecnica del paletto è perfetta, ossia di notte non si usano, quindi bisogna trovare un orario, che si può negoziare, per cui il ragazzo o la ragazza mette il cellulare in carica non nella sua camera, oppure se è ancora un ragazzino di 11-12 anni utilizzare un family link per concedergli mezz’ora o al massimo un’ora al giorno di uso dei dispositivi digitali, tenendo conto che c’è una pericolosità particolare dal punto di vista dell’aggancio del cervello sui videogiochi, ma vale anche per i social rappresentano un elemento molto discutibile. Come è noto insieme al dottor Alberto Pellai, che è anche un caro amico, abbiamo lanciato un appello al governo perché i social siano impediti fino ai 16 anni e gli smartphone fino a 14.

Il nostro appello l’ha ricevuto l’Australia dall’altra parte del globo e non ancora il governo italiano, perché Anthony Albanese, il premier australiano di origine italiana, ha proprio emesso una legge per cui fino ai 16 anni non se ne parla, devono essere le piattaforme a verificare l’età, non questo pasticcio europeo per cui praticamente ogni ragazzo si autodetermina, si autocertifica, per cui un bambino di 8 anni può dire che ne ha 14 o 16.

Inoltre, sempre in Australia, sono previste delle multe molto salate per le piattaforme che non si adegueranno a questo dispositivo di legge. Questo è importante perché sappiamo che lo smartphone in quanto tale è uno strumento balordo, molto difficile da gestire. Certo i genitori possono farlo, ma noi sosteniamo che non è possibile lasciare completamente ai genitori una matassa così ingarbugliata, lo Stato è tale se riesce a mettere le norme giuste, così come ha fatto con l’alcol, con il tabacco, con il casco per le moto o con la patente di guida che in Italia fino ai 18 anni non è raggiungibile.

Ecco delle limitazioni per tutelare le fasce più deboli dal punto di vista della loro età, ma è ovvio che io consiglio ai genitori di evitare l’utilizzo dello smartphone almeno fino a 13-14 anni, o nel caso comunque di mettere sempre delle regolazioni, quindi un limite, e poi negoziare la libertà di uso, ossia decidere insieme quando e come utilizzare l’ora al giorno a disposizione di utilizzo dello smartphone, c’è come dire una reciprocità dove il genitore fa il genitore e il figlio fa l’adolescente, così come abbiamo sempre fatto anche noi nel corso dei secoli e dei millenni.

Orizzonte Scuola

 

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