“Non chiamate
i vostri figli
‘amore’ o
‘tesoro’.
Educarli, anche come alunni, è necessario
per aiutarli ad imparare.
Vi spiego come fare”.
INTERVISTA
a Daniele Novara
Professor Novara, è
appena uscito il suo ultimo libro “Mollami! Educare i figli adolescenti e
trovare la giusta distanza per farli crescere” che potremmo definire una
bussola educativa per genitori con figli adolescenti. Innanzitutto ci aiuta a
capire quali sono le caratteristiche degli adolescenti di oggi?
Possiamo dire che gli
adolescenti sono sempre gli stessi, hanno questo viscerale desiderio di
autonomia e di libertà, ossia di schiodarsi dal controllo che è più tipicamente
una caratteristica di quando erano bambini, quindi di uscire dal nido materno,
di affrontare il mare magnum della vita con le proprie forze e con le proprie
risorse. Insomma, vogliono mettersi alla prova senza tanti salvagenti se non
quelli che opportunisticamente vanno a cercare, tipo i soldi dei genitori e
quant’altro.
La questione è piuttosto
che sono cambiati i genitori, mentre una volta il genitore tendeva a mantenere
la sua collocazione con una distanza adeguata, oggi un genitore che vede il
figlio come una preziosità assoluta, chiamiamolo narcisistico, si è irretito,
per così dire, in una versione molto amicale, anche se il termine non è
propriamente corretto. In realtà oggi il genitore ricerca una sorta di
gradevolezza, di intimità, di armonia, il famoso mito del dialogo a ogni costo,
da cui l’adolescente per natura rifugge.
L’adolescente vuole
parlare e stare con i suoi compagni e i suoi amici e non con il mondo adulto,
che è visto e considerato come un mondo da cui allontanarsi, anche se è un
mondo necessario per lui, se si vuole anche indispensabile, ma in questo
momento della vita l’attrazione è per la socialità fra pari e quindi questo
desiderio adulto di essere a loro volta alla pari con gli adolescenti diventa
un cortocircuito inevitabile, per cui poi ci si mette a urlare rinfacciando la
propria disponibilità nei suoi confronti, cosa che non accadeva con i nostri
genitori così come il dialogo che vorremmo avere con loro.
Ecco, queste sono
stupidaggini, gli adolescenti sono sempre uguali e nel libro cerco di spiegare
che come genitori occorre tenere la giusta distanza con loro, c’è un capitolo
dedicato proprio alle mamme che si intitola “Sto alla larga”, e in questo stare
alla larga è un po’ nascosto il segreto di una buona gestione dei ragazzi e
delle ragazze, che vanno gestiti in questa fase della vita così giustamente
bella, carica e aggiungerei esplosiva.
Ci dice quali strategie
si possono mettere in atto per guidare gli adolescenti in questa fase così
delicata?
Innanzitutto inviterei i
genitori a non inseguire i ragazzi e le ragazze in tutte le tipologie di
comportamenti possibili e immaginabili, ma di darsi un metodo, perché in fondo
educare i figli, così come educare gli alunni, è sempre una necessità di aiutarli
a imparare.
È l’apprendimento lo
scopo dell’educazione, non il controllo sulle singole situazioni tra l’altro in
un a periodo d’età molto lungo, perché come è noto le neuroscienze hanno
abolito il concetto di teenager e si parla di fine di tale periodo intorno al
ventitreesimo/ventiquattresimo anno di età, ovvero quando il cervello
finalmente incomincia a prendere le forme più stabili dell’età adulta. Dicevo
del metodo, ecco avere un metodo che ti permetta di affrontare tutte le
casistiche piuttosto che annegare nelle casistiche che con i ragazzi sono
migliaia.
Allora il metodo
sostanzialmente, ne parlo nel capitolo 3, si fonda su tre pilastri, li chiamo
pilastri metodologici: il primo è costruire la giusta distanza educativa, cioè
non finire nei meandri oscuri e un po’ ambigui della confidenza e
dell’intimità, ma tenere il proprio ruolo, la propria titolarità educativa. Poi
c’è il gioco di squadra centrato sul paterno, questo devo dire che viene
considerato una novità, perché io sono un sostenitore, come pedagogista, del
fatto che l’adolescenza è l’età del paterno, se possibile del padre.
Il padre non sempre c’è,
ma quando c’è invito le mamme a non lasciarlo in panchina, va implicato nel
processo educativo, perché è il suo momento prezioso, nel senso che nel gioco
di squadra la figura del padre è una figura tendenzialmente con un minor carico
emotivo per una questione strettamente biologica, in quanto non ha tenuto nella
pancia per nove mesi il pargolo. Questi nove mesi sono importanti perché la
mamma ha creato delle neuroconnessioni anche emotive, delle forme di
neurotelepatia con i figli, per cui il figlio in qualche modo è sempre in grado
di anticipare, di prevedere le mosse della mamma, oppure ancora peggio, di
sapere quali tasti toccare per farla esplodere.
Il padre non ha avuto
questo problema, non ha queste neuroconnessioni simbiotiche, osmotiche,
cellulari provenienti dal periodo della gestazione, per cui può essere più
distaccato e quindi gestire questo desiderio di allontanamento e di libertà
attraverso tutta una serie di operazioni che sono operazioni pratiche e non
sono i famosi e famigerati spiegoni. Mi preme di insistere proprio sulla
configurazione di un gioco di squadra in cui la mamma è un passo indietro, non
un passo avanti. Nel libro poi spiego bene tutta questa situazione, ovviamente
anche con l’invito a non spostare poi l’incombenza dal figlio all’altro
genitore, cioè il padre.
È ovvio che se il padre
non c’è la madre deve, volente o non volente, assumere un posizionamento più
paterno, meno di maternage di pura e semplice affettività e più sviluppato
attorno a questioni organizzative. In questo modo può funzionare, le mie esperienze,
basate su trent’anni di lavoro in questo campo, hanno confermato che lo
spostamento sul padre e sul paterno è la mossa più importante. Dicevo che è una
falsa idea nuova, perché in fondo tutta la psicologia ci ha già ricordato che
l’adolescenza, a partire dalla psicanalisi, da Freud in poi, è l’età del padre.
Noi pedagogisti alla fine utilizziamo scienze primarie come la psicologia per
poi creare operazioni e dispositivi operativi e concreti.
L’ultimo elemento
metodologico, il terzo, è comunicare bene con nuove tecniche. Cioè le tecniche
di comunicazione non possono essere quelle dell’esortazione, dell’insistenza,
del cercare di coinvolgerlo sui ragionamenti, ma deve essere una comunicazione di
servizio che permette di collocarsi in maniera da rispettare la sua libertà ma
anche di avere la giusta misura educativa. L’adolescenza è un’età che va
presidiata dal punto di vista educativo, non controllata, bisogna mantenere una
posizione che non è più quella del bambino, ma quella di ragazzi e ragazze che,
come spesso dico, sono nella prima parte dell’età adulta e non nell’ultima
parte dell’infanzia.
I genitori spesso
diventano oppressivi con i ragazzi adolescenti, quali comportamenti devono
tenere per continuare a essere presenti senza diventare soffocanti?
Esatto, sono
comportamenti legati alla negoziazione della libertà adolescenziale. Nella mia
esperienza pluridecennale ho sempre affrontato questi territori impervi e nel
libro parlo di diverse tecniche, però la principale, che è un po’ la novità di
questo libro, è quella del paletto, ossia di creare un gioco fra una
limitazione, il paletto appunto, che può essere un orario di rientro serale, la
paghetta, oppure la necessità di sistemare la propria stanza e una negoziazione
su questa necessità, lasciando quindi in questa negoziazione un margine di
libertà forte, significativo, ai ragazzi e alle ragazze, perché qualsiasi
impostazione educativa necessita che la libertà sia posta prioritariamente
nella relazione con loro.
Non si può sopravanzarli,
come dicono certi genitori, con le buone o con le cattive se non ascoltano o
non ubbidiscono, a tal proposito ricordo una signora che aveva sculacciato il
figlio di 16 anni perché diceva che non ci aveva più visto, per giunta era un
ragazzone di un metro e ottanta. Sono tanti genitori che chiamano ancora
bambino bambina i loro figli di 12-13 anni, alcuni sono 1 e 70, oppure questo
uso del termine fidanzatesco come “amore”, “tesoro”, ecco non va bene, dobbiamo
darci una calmata perché loro cercano altre sponde, in qualche modo l’elemento
genitoriale è quello che li ha condotti fino all’adolescenza, ma adesso
vogliono sentirsi in grado di affrontare da soli le sfide, quindi è una
presenza che mantiene un valore educativo senza diventare invadente, senza
diventare incombente e senza inutili controlli.
La tecnica del paletto è
perfetta, non sto a spoilerare il libro così qualcuno magari lo acquista anche,
voglio solo incuriosirvi, il libro è veramente in controtendenza rispetto anche
tutta una serie di psicologismi che ci hanno invaso. A volte faccio dialoghi
con i genitori e mi domando se sto parlando con una psichiatra, per cui
l’invito che rivolgo a questi genitori che usa dei termini che sono palesemente
psicologici, psichiatrici, è di usare molta calma in tal senso, è già difficile
per gli psichiatri, figuriamoci per i genitori, ognuno fa il suo lavoro, il
genitore è impegnato a far imparare a vivere i suoi figli e quello che propongo
è il metodo giusto.
Un’ultima domanda, è
possibile trovare un metodo educativo che consenta di orientarsi anche nei
momenti di crisi e smarrimento?
Sì esatto, il digitale è
una di quelle casistiche che oggi sono molto pervasive nella vita dei genitori
per quanto attiene la relazione con i figli adolescenti, ma non bisogna
lasciarsi così invaghire da questo problema che è uno dei tanti, non è che sia
così diverso dalla questione della sessualità per esempio. Il metodo è il
solito, giusta distanza, passare la palla al padre se c’è o comunque assumere
un atteggiamento paterno e comunicare con tecniche adeguate.
La tecnica del paletto è
perfetta, ossia di notte non si usano, quindi bisogna trovare un orario, che si
può negoziare, per cui il ragazzo o la ragazza mette il cellulare in carica non
nella sua camera, oppure se è ancora un ragazzino di 11-12 anni utilizzare un
family link per concedergli mezz’ora o al massimo un’ora al giorno di uso dei
dispositivi digitali, tenendo conto che c’è una pericolosità particolare dal
punto di vista dell’aggancio del cervello sui videogiochi, ma vale anche per i
social rappresentano un elemento molto discutibile. Come è noto insieme al
dottor Alberto Pellai, che è anche un caro amico, abbiamo lanciato un appello
al governo perché i social siano impediti fino ai 16 anni e gli smartphone fino
a 14.
Il nostro appello l’ha
ricevuto l’Australia dall’altra parte del globo e non ancora il governo
italiano, perché Anthony Albanese, il premier australiano di origine italiana,
ha proprio emesso una legge per cui fino ai 16 anni non se ne parla, devono
essere le piattaforme a verificare l’età, non questo pasticcio europeo per cui
praticamente ogni ragazzo si autodetermina, si autocertifica, per cui un
bambino di 8 anni può dire che ne ha 14 o 16.
Inoltre, sempre in
Australia, sono previste delle multe molto salate per le piattaforme che non si
adegueranno a questo dispositivo di legge. Questo è importante perché sappiamo
che lo smartphone in quanto tale è uno strumento balordo, molto difficile da
gestire. Certo i genitori possono farlo, ma noi sosteniamo che non è possibile
lasciare completamente ai genitori una matassa così ingarbugliata, lo Stato è
tale se riesce a mettere le norme giuste, così come ha fatto con l’alcol, con
il tabacco, con il casco per le moto o con la patente di guida che in Italia
fino ai 18 anni non è raggiungibile.
Ecco delle limitazioni
per tutelare le fasce più deboli dal punto di vista della loro età, ma è ovvio
che io consiglio ai genitori di evitare l’utilizzo dello smartphone almeno fino
a 13-14 anni, o nel caso comunque di mettere sempre delle regolazioni, quindi
un limite, e poi negoziare la libertà di uso, ossia decidere insieme quando e
come utilizzare l’ora al giorno a disposizione di utilizzo dello smartphone,
c’è come dire una reciprocità dove il genitore fa il genitore e il figlio fa
l’adolescente, così come abbiamo sempre fatto anche noi nel corso dei secoli e
dei millenni.
Nessun commento:
Posta un commento