NELLA
GIORNATA DEL RICORDO
-di
Sergio Mattarella
...... Vessazioni
e violenze dure, ostinate, che conobbero eccidi e stragi e, successivamente,
l’epurazione attraverso l’esodo di massa. Un carico di sofferenza, di dolore e
di sangue, per molti anni rimosso dalla memoria collettiva e, in certi casi,
persino negato. Come se le brutali vicende che interessarono il confine
orientale italiano e le popolazioni che vi risiedevano da secoli
rappresentassero un’appendice minore e trascurabile degli eventi della fosca
epoca dei totalitarismi o addirittura non fossero parte della nostra storia.
In realtà, quel lembo di terra bagnato dall’Adriatico, dove per lungo tempo si
è esercitata, con fatica e con fasi alterne, la convivenza tra etnie, culture,
lingue, religioni, ha conosciuto, sperimentandoli e racchiudendoli, tutti gli
orrori della prima metà del Novecento, passando – senza soluzione di continuità
– dall’occupazione nazifascista alla dittatura comunista di
Tito.
Un territorio colmo di ricchezza, di bellezza e di cultura, alimentato proprio
dalle sue differenze, che ha subìto il destino immeritato di veder sorgere sul
proprio suolo i simboli agghiaccianti dei diversi totalitarismi: le Foibe, il
campo di prigionia di Arbe, la Risiera di San Sabba…
La
legge sul “Giorno del Ricordo” ha avuto il merito di rimuovere definitivamente
la cortina di indifferenza e, persino, di ostilità che, per troppi anni, ha
avvolto le vicende legate alle violenze contro le popolazioni italiane vittime
della repressione comunista.
Negli ultimi decenni la ricerca storica ha prodotto risultati notevoli,
scandagliando a fondo gli avvenimenti e riportando alla luce una mole
impressionante di fatti, documenti e testimonianze inoppugnabili. Via via sono
emersi i nomi e le vicende delle vittime.
La furia dei partigiani titini si accanì, in modo indiscriminato ma
programmato, su tutti: su rappresentanti delle istituzioni, su militari, su
civili inermi, su sacerdoti, su intellettuali, su donne, su partigiani
antifascisti, che non assecondavano le mire espansionistiche di Tito o non si
sottomettevano al regime comunista.
Le
violenze anti-italiane, nella maggior parte dei casi, non furono episodi di,
inammissibile, vendetta sommaria. Rispondevano piuttosto a un piano preordinato
di espulsione della presenza italiana.
Figure
luminose, in quella terra martoriata - come il vescovo di Fiume e poi di
Trieste/Capodistria, Antonio Santin - non esitarono, dopo aver difeso la
popolazione slava dall’oppressione nazifascista, a denunciare, con altrettanta
forza d’animo, la violenza e la brutalità dei nuovi occupanti contro gli
italiani.
Nessuno
deve avere paura della verità. La verità rende liberi. Le dittature - tutte le
dittature - falsano la storia, manipolando la memoria, nel tentativo di imporre
la verità di Stato.
La nostra Repubblica trova nella verità e nella libertà i suoi fondamenti e non
ha avuto timore di scavare anche nella storia italiana per ricuocere omissioni,
errori o colpe.
La complessità delle vicende che si svolsero, in quegli anni terribili, in quei
territori di confine, la politica brutalmente antislava perseguita dal regime
fascista, sono eventi storici che nessuno oggi può mettere in discussione.
Va altresì detto, con fermezza, che è singolare e incomprensibile che questi
aspetti innegabili possano mettere in ombra le dure sofferenze patite da tanti
italiani. O, ancor peggio, essere invocati per sminuire, negare o addirittura
giustificare i crimini da essi subiti.
Per molte vittime, giustiziate, infoibate o morte di stenti nei campi di
prigionia comunisti, l’unica colpa fu semplicemente quella di essere italiani.
Siamo oggi qui, al Quirinale, per rendere onore a quelle vittime e, con loro, a
tutte le vittime innocenti dei conflitti etnici e ideologici.
Per restituire dignità e rispetto alle sofferenze di tanti nostri concittadini.
Sofferenze acuite dall’indifferenza avvertita da molti dei
trecentocinquantamila italiani dell’esodo, in fuga dalle loro case, che non
sempre trovarono rispetto e solidarietà in maniera adeguata nella madrepatria.
Furono sovente ignorati, guardati con sospetto, posti in campi poco dignitosi.
Tra la soggezione alla dittatura comunista e il destino, amaro, dell’esilio,
della perdita della casa, delle proprie radici, delle attività economiche,
questi italiani compirono la scelta giusta. La scelta della libertà.
Ma nelle difficoltà dell’immediato dopoguerra e nel clima della guerra fredda e
dello scontro ideologico, che in Italia contrapponeva fautori dell’Occidente e
sostenitori dello stalinismo, non furono compresi e incontrarono ostacoli
ingiustificabili.
Grazie al coraggio, all’azione instancabile e a volte faticosa delle
associazioni degli esuli istriani, dalmati e della Venezia Giulia, il tema
delle foibe e dell’esodo è oggi largamente conosciuto dalla pubblica opinione,
è studiato nelle scuole, dibattuto sui giornali.
Le sofferenze subite dai nostri esuli, dalle popolazioni di confine, non sono,
non possono essere motivo di divisione nella nostra comunità nazionale. Al
contrario, richiamo di unità nel ricordo, nella solidarietà, nel sostegno.
Ribadendo lo stupore e la condanna per inammissibili tentativi di negazionismo
e di giustificazionismo, segnalo che il rischio più grave di fronte alle
tragedie dell’umanità non è il confronto delle idee, anche tra quelle estreme,
ma l’indifferenza che genera rimozione e oblio.
Sono passati ottanta anni da quella immane tragedia che colpì i nostri
concittadini nelle zone di occupazione jugoslava.
Oggi
possiamo guardare, con sguardo più limpido e consapevole, al grande, concreto,
storico progresso politico, culturale, di amicizia e di cooperazione che la
democrazia e il percorso europeo hanno recato in quelle zone un tempo
martoriate da scontri etnici e ideologici.
Progresso ulteriormente consolidato dall’inserimento, da qualche giorno, della
Croazia nel prezioso ambito di pienezza dell’Unione rappresentato dall’area
Schengen.
La storia ci ha insegnato che la differenza è ricchezza, non una malapianta da
estirpare. Che i muri e i reticolati generano diffidenza, paura, conflitti.
Che
il nazionalismo esasperato, fondato sulla repressione delle minoranze, sulle
pretese di superiorità o di omogeneità etnica di lingua e cultura, produce
inevitabilmente una spirale di violenza e di guerra.
Che
le ideologie basate sulla negazione dei diritti individuali, in nome della
superiorità dello Stato o di un partito, lungi dal risolvere le controversie,
opprimono i cittadini e sfociano in gravissime tragedie. Che la prepotenza e
l’uso della forza non producono mai pace e benessere, ma generano violenza e
gravi ingiustizie.
La
civiltà della convivenza, del dialogo, del diritto internazionale, della
democrazia è l’unica alternativa alla guerra e alle epurazioni, come purtroppo
ci insegnano – ancora oggi - le terribili vicende legate all’insensata e
tragica invasione russa dell’Ucraina. Un tentativo inaccettabile di portare
indietro le lancette della storia, cercando di tornare in tempi oscuri,
contrassegnati dalla logica del dominio della forza.
Così
come la presenza di segnali ambigui e regressivi, con rischi di ripresa di
conflitti, ammantati di pretesti etnici o religiosi, richiede di rendere veloce
con coraggio e decisione il cammino dell’integrazione europea dei Balcani
occidentali.
Italia, Slovenia e Croazia, grazie agli sforzi congiunti e al processo di
integrazione europea hanno fatto, insieme, passi di grande valore.
Lo testimoniano – come è stato poc’anzi ricordato - Gorizia e Nova Gorica
designate insieme unica capitale europea della cultura del 2025.
I
giovani che vivono ai confini dei nostri Paesi, mantenendo l’orgoglio delle
proprie identità, hanno acquisito la consapevolezza di appartenere a un’area
con un futuro comune che presenta grandi opportunità - economiche, sociali,
culturali - che soltanto la convivenza, la compresenza, il dialogo, la pace
possono offrire.
Dialogo
che si alimenta e si fortifica nell’attenzione costante e reciproca ai diritti
delle rispettive minoranze.
Anche
per quanto riguarda la comprensione storica, si è fatta molta strada nella
collaborazione. Si tratta di rispettare le diverse sensibilità e i differenti
punti di vista. Sapendo che la lezione della storia ci insegna a non ripetere
errori e a non far rivivere tragedie, men che mai a utilizzarle come strumento
di lotta politica contingente.
Scrive
Claudio Magris, acuto interprete della storia e della cultura del confine
orientale: “Ancor più inammissibile e sacrilego sarebbe se gli italiani e gli
slavi usassero i loro morti per attizzare odi reciproci, in una terra il cui
senso - come hanno visto i grandi scrittori triestini - è la compresenza di
culture, l’oppressione o scomparsa di una delle quali significa una mutilazione
per tutti”.
Le
prevaricazioni, gli eccidi, l’esodo forzato degli italiani dell’Istria, della
Venezia Giulia e della Dalmazia costituiscono parte integrante della storia del
nostro Paese e dell’Europa.
Alle vittime di quelle sopraffazioni, ai profughi, ai loro familiari,
rivolgiamo oggi un ricordo commosso e partecipe. Le loro sofferenze non
dovranno, non potranno essere mai sottovalutate o accantonate.
Troveranno
corrispondenza, rispetto e solidarietà a seconda di quanto saremo in grado di
proseguire sulla strada di pace, di amicizia, di difesa della democrazia e dei
diritti umani, intrapresa con l’approvazione della Costituzione Repubblicana,
con la scelta occidentale ed europea, con la costante politica per il dialogo,
la comprensione, la collaborazione tra i popoli.
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