Solennità
della SS Trinità
Gv
16,12-15
Meditazione
Di S.B. Card. Pizzaballa
Per
provare a comprendere ciò che Gesù vuole dirci con quest’espressione, facciamo
un passo indietro e arriviamo ad un brano dell’Antico Testamento in cui vediamo
una situazione opposta rispetto a ciò di cui Gesù sta parlando.
Il
brano in questione è Genesi 3,1-12. Dio aveva appena creato l’uomo ed era
entrato in dialogo con lui. Il brano è noto: Dio consegna all’uomo tutta la
creazione bella che era appena uscita dalle sue mani e, attraverso il comando
riguardo all’albero della conoscenza del bene e del male, gli chiede però di
rimanere in un atteggiamento mite, l’atteggiamento di chi non possiede nulla,
ma tutto accoglie come dono. L’atteggiamento filiale di chi sa di non essere il
padrone di tutto.
Ad
un cero punto, però, compare il serpente e anch’esso entra in dialogo con la
donna. Riprende le parole di Dio, ma non lo fa rispettando il pensiero di Dio.
Ci aggiunge parole sue: piccole parole, insidiose, che bastano a generare nella
donna il sospetto che Dio sia diverso da come si era manifestato nel giardino.
Dio
aveva detto che l’uomo poteva mangiare di tutti gli alberi del giardino, tranne
uno (“Tu potrai mangiare di tutti gli alberi del giardino” - Gn 2,16-17); il
serpente chiede se è vero che non devono mangiare di nessun albero del giardino
(“È vero che Dio ha detto: “Non dovete mangiare di alcun albero del giardino?”
- Gn 3,1). Le parole cambiano di poco, ma il senso cambia completamente.
Il
serpente vuole separare l’umanità dal suo creatore, e lo fa dicendo parole che
generano nel cuore dell’uomo una menzogna, un’immagine distorta di Dio. Ma non
si tratta solo di un’immagine distorta di Dio. Ad essa, infatti, corrisponde
un’immagine distorta dell’uomo, che cessa di essere una creatura amata, e vive
nel senso di colpa, nell’inganno di chi deve riconquistare la benevolenza di
Dio.
Quest’immagine
rimane impressa nel profondo della memoria umana, e dilaga velocemente, come
solo la menzogna sa fare. Per cui l’uomo diventa incapace di portare il peso
della verità (“Molte cose ho ancora da dirvi, ma per il momento non siete
capaci di portarne il peso” - Gv 16,12) e diventa schiavo di una menzogna,
dalla quale da solo non riesce a liberarsi.
Cosa
può portare di nuovo l’uomo alla verità di sé, alla verità di Dio? È ciò che
Gesù descrive nel Vangelo di oggi.
Lo
Spirito non fa come il serpente: non aggiunge nulla alle parole di Gesù e non
toglie nulla. Non ci mette del suo, perché vive nella stessa realtà di Gesù,
perché sa che sono parole vere, che bastano alla salvezza dell’uomo. Quelle
parole sono anche sue.
Allora
può prenderle, perché nella Trinità tutto è in comune, e ci si dona
reciprocamente gloria prendendo l’uno dall’altro, senza timore. Se tutto è in
comune, posso prendere ciò che è dell’altro e non gli tolgo nulla, anzi: così
facendo, confermo la verità della comunione che ci unisce.
Per
l’uomo questo modo di vivere è un peso, una fatica: se qualcuno ci toglie
qualcosa ci sentiamo mancanti, defraudati.
Nella
Trinità è il contrario. Allora l’opera di Dio è portarci pian piano dentro
questo nuovo modo di vivere e di pensare, quello della comunione.
L’umanità
che ascolta le parole menzognere del serpente si trova alla fine isolata,
povera e dispersa.
L’umanità
che accoglie le parole di Gesù, quelle che lo Spirito prende e fa vivere in
noi, ritrova la verità di sé e la verità di Dio. La verità della comunione e
dell’amore reciproco, che rende l’umanità ricca di bene, di relazioni, di vita.
Questa
è la “cosa futura” di cui parla Gesù (“lo Spirito della verità, vi guiderà a
tutta la verità, perché non parlerà da se stesso, ma dirà tutto ciò che avrà
udito e vi annuncerà le cose future” - Gv 16,13): ci è data, ma va accolta ogni
giorno, sta davanti a noi come l’unica cosa che non passa, che rimane anche
quando tutto il resto viene meno.
+
Pierbattista
Patriarcato
Latino di Gerusalemme
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