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giovedì 6 giugno 2024

LIBERTA' E' SERVIZIO


 Il Papa: lo Spirito

 è un vento 

che non si può imbrigliare, 

crea e rende liberi

"La libertà non è fare quello che si vuole" ed è vera quando si esprime "in ciò che sembra il suo opposto, il servizio": così Francesco nella catechesi all'udienza generale in piazza San Pietro, dedicata al nome "Ruach" con cui in origine nella Bibbia viene chiamato lo Spirito di Dio. Alla terza persona della Trinità si addice l'immagine del vento che tutto travolge. Lo Spirito non può essere "istituzionalizzato", Egli infatti distribuisce i suoi doni come vuole

-Adriana Masotti - Città del Vaticano

 "La prima cosa che noi conosciamo di una persona è il nome". L'osservazione del Papa introduce la catechesi di oggi che, proseguendo il ciclo dedicato allo Spirito Santo, intende riflettere su come la Bibbia chiama la terza persona della Trinità. Il nome a lui attribuito cioè Spirito "è la versione latinizzata", afferma Francesco, ma il nome con cui era conosciuto e invocato in origine era Ruach, "che significa soffio, vento, respiro". "Il vento soffia dove vuole" è il titolo della catechesi in cui il Papa sottolinea che dove c'è lo Spirito di Dio c'è libertà: la libertà di fare il bene, "la libertà dei figli, non degli schiavi".

“Non meravigliarti se ti ho detto: dovete nascere dall’alto. Il vento soffia dove vuole e ne senti la voce, ma non sai da dove viene né dove va: così è chiunque è nato dallo Spirito. (Gv 3,6-8)”

Il nome rivela la persona

Francesco fa notare come il nome sia così importante da identificarsi quasi con la persona che lo porta. 

Non è mai un appellativo meramente convenzionale: dice sempre qualcosa della persona, della sua origine, o della sua missione. Così è anche del nome Ruach. Esso contiene la prima fondamentale rivelazione sulla persona e la funzione dello Spirito Santo.

La potenza e la libertà dello Spirito nell'immagine del vento 

Ma che cosa ci dice la parola Ruach, domanda il Pontefice. L'immagine del vento, ricorrente nella Bibbia, esprime la 'potenza' dello Spirito, "il vento infatti è una forza travolgente e indomabile. È capace perfino di smuovere gli oceani". Nel Nuovo Testamento però Gesù a questo aspetto aggiunge quello della libertà. Il vento, osserva il Papa, "non si può assolutamente imbrigliare, non si può imbottigliare o inscatolare". Inutilmente ha tentato di farlo "il razionalismo moderno" con il risultato di "perderlo, vanificarlo, o ridurlo allo spirito umano puro e semplice".

Esiste però una tentazione analoga anche in campo ecclesiastico, ed è quella di voler racchiudere lo Spirito Santo in canoni, istituzioni, definizioni. Lo Spirito crea e anima le istituzioni, ma non può essere Lui stesso “istituzionalizzato”, "cosificato". Il vento soffia “dove vuole”, così lo Spirito distribuisce i suoi doni “come vuole”.

Libertà è scegliere di fare il bene

L'elemento della libertà in relazione allo Spirito di Dio è molto presente in san Paolo, prosegue Francesco, ma questa libertà non è quella che comunemente si pensa. Non è "fare ciò che si vuole", non significa essere liberi di fare il bene o il male "ma libertà di fare il bene e farlo liberamente", è la "libertà dei figli, non degli schiavi". L'apostolo scrive ai Galati che la libertà non deve essere "un pretesto per la carne" e che la vera libertà è contraria all'egoismo e si esprime nel servizio. Il Papa prosegue:

Conosciamo bene quand’è che questa libertà diventa un “pretesto per la carne”. Paolo fa un elenco sempre attuale: "Fornicazione, impurità, dissolutezza, idolatria, stregonerie, inimicizie, discordia, gelosia, dissensi, divisioni, fazioni, invidie, ubriachezze, orge e cose del genere". Ma lo è anche la libertà che permette ai ricchi di sfruttare i poveri, è una libertà brutta quella che permette ai forti di sfruttare i deboli, e a tutti di sfruttare impunemente l’ambiente. E questa è una libertà brutta, non è la libertà dello Spirito.

Grazie allo Spirito, liberi per servire 

Il Pontefice cita le parole di Gesù riportate dall'evangelista Giovanni: "Se il Figlio vi farà liberi, sarete liberi davveroper concludere con un invito: "Chiediamo a Gesù di fare di noi, mediante il suo Santo Spirito, degli uomini e delle donne veramente liberi. Liberi per servire, nell’amore e nella gioia".

 

Vatican News

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DISCORSO DEL SANTO PADRE

[AR - DE - EN - ES - FR - HR - IT - PL - PT]



giovedì 4 gennaio 2024

ORIENTAMENTO. EDUCARE ALLA SCELTA


 La scuola e l’orientamento: anche la letteratura può aiutare gli studenti a decidere quale sarà il loro futuro.

 

-        - di Monica Bottai

-          

Il tema dell’orientamento è ben presente fin dagli anni settanta nei documenti ministeriali rivolti alla scuola superiore di primo grado, ma è soprattutto dagli anni novanta che, a livello nazionale ed europeo, la questione si amplia ed inizia ad includere il secondo grado dell’istruzione, nonché l’università: dal 1997 (Dm 487/1997) fino a tutto il primo decennio successivo, si susseguono varie note e circolari sulle tematiche orientative (strategie anti-dispersione, competenze chiave, apprendimento permanente), con lo scopo di supportare il successo formativo degli studenti dentro i percorsi scolastici italiani ed europei. Nel secondo decennio del duemila, la Cm 43/2009 ed il Dm 774/2019 hanno fissato contenuti ed indicazioni imprescindibili, adesso ripresi ed approfonditi nell’ultimissimo documento emanato (Dm 328/2022), che riguarda direttamente tanti docenti divenuti tutor ed orientatori nei propri istituti, grazie ad un percorso di formazione specifico ed impegnativo svoltosi nei mesi estivi.

 L’importanza decisiva della questione è di per sé evidente a ciascuno, ma la portata innovativa del decreto risiede nella centralità riservata alla didattica orientativa: infatti, nei materiali di studio rivolti ai docenti tutor, non soltanto si parla di percorsi specifici, attività mirate, figure dedicate, ma si insiste sulla necessità di un cambiamento sostanziale e strutturale delle singole attività disciplinari nel senso espresso dalle stesse Linee guida, dove leggiamo: “L’attività didattica in ottica orientativa è organizzata a partire dalle esperienze degli studenti, con il superamento della sola dimensione trasmissiva delle conoscenze e con la valorizzazione della didattica laboratoriale, di tempi e spazi flessibili, e delle opportunità offerte dall’esercizio dell’autonomia”. Le discipline hanno parziali valenze orientative per la loro struttura intrinseca, ma esprimono tutta la loro efficacia soprattutto secondo la modalità con cui sono proposte: infatti, attraverso variegate situazioni formative e dentro l’interazione fra conoscenza ed esperienza, le singole discipline possono offrire opportunità dinamiche ed attive per la conoscenza di sé stessi, per il potenziamento delle competenze trasversali e di cittadinanza.

 Capiamo bene che, in tale ottica, le azioni di consulenza, di accompagnamento specifico, di confronto con i vari soggetti orientanti sono sì importanti, ma soltanto conclusive di un percorso almeno quinquennale, in cui lo studente ha avuto modo e tempo di conoscersi e sperimentarsi in rapporto con i docenti e le loro proposte. Il nodo orientativo fondamentale coincide con un’educazione alla scelta, cioè alla capacità di affrontare contesti e situazioni problematiche in cui sperimentare la propria libera autonomia decisionale. Sarà dunque necessario destrutturare e ristrutturare i contenuti delle discipline, selezionare strumenti adeguati, progettare le attività secondo tale nodo tematico.

 Proviamo adesso a pensare quale contributo possa dare l’ambito umanistico, in particolare l’italiano: proporre esercitazioni sulla scrittura di un curriculum o, piuttosto, offrire storie con cui paragonarsi, personaggi a cui ispirarsi, situazioni su cui dibattere? Soprattutto la lettura a voce alta può creare percorsi immersivi stimolanti ed offrire suggestive occasioni di confronto su tutto ciò che ruota intorno alla questione della scelta, del futuro, dell’ideale di vita, del senso del lavoro e di ogni altro tema orientativo. Fra autori classici e contemporanei, ogni docente può trovare utilissimi contributi per iniziare un percorso fin dal biennio: ad esempio, prendendo come riferimento Il giovane Holden (nella traduzione recente di Matteo Colombo), perché non tessere legami con altri titoli quali Il lottatore di sumo che non diventava grosso (E. Schmitt), Ombre sulla sabbia (A. Chambers), Il barone rampante (Calvino) e Niente (J. Teller ricalca la mitica ascesa sull’albero con una durezza implacabile e tragica), Se punti alla luna (M. Vareille)? Sono tutte storie in cui il protagonista cerca la sua strada, fra ribellione, ricerca di senso, incontro con persone significative, rischi e fallimenti, partenze e anche ritorni, o addirittura la morte.

 Invece, al triennio, perché non leggere K. Brooks col suo ultimo Bad Castro (la decisione per il cambiamento è sempre possibile, personale e libera, indipendente da qualsiasi fattore antecedente), R. Cormer e La guerra del cioccolato (il coraggio di dire no), J. Reynolds con La lunga discesa (quali sono le regole da seguire? chi le stabilisce? quale rapporto fra regole e coscienza personale?), A. Ferrara con Vivavoce (non esistono talenti inutili), M. Sedwick, Santa Muerte (rischiare tutto per la vita di un altro, di un amico)?

 Non sono storie a tema, non sono storie didascaliche, ma trame in cui immergerci e rischiare un giudizio, una posizione, una domanda, anche sul fallimento e, in tal caso, ci viene in aiuto il drammatico racconto di London, Una bistecca, oppure le belle storie di J. Reynolds, fra sport e successi, paure e difficoltà. Possiamo anche utilizzare racconti e saggistica, grazie alle bellissime storie raccolte da M. Calabresi (Cosa tiene accese le stelle; Non temete per noi, la nostra vita sarà meravigliosa), che, come pochi altri, riesce a raccontare la realtà come una riserva inesauribile di imprevisti, opportunità, speranze; o grazie a preziosi volumetti guida per educatori, come quello curato da A. Ferrara per la San Paolo, dal titolo Scappati di mano, con microracconti ed attività per adolescenti.

 Tuttavia, il percorso orientativo inizia al grado di studi precedente, ma, anche in tal caso, abbiamo a disposizione storie e strumenti significativi: dai percorsi curati per la Loescher da Giusti a Batini, a romanzi come Il Rinomato Catalogo Walker & Dawn (D. Morosinotto), Il grande gioco (D. Almond), Non restare indietro (C. Greppi), Continua a camminare (G. Clima), tanto per citarne alcuni, dove il protagonista cresce e si paragona con la realtà, incontra maestri, compie scelte, vive il rischio della propria libertà in azione. Ma le storie, per fortuna, non mancano e ce ne sono molte altre che aspettano di essere scoperte e vissute coi nostri ragazzi, che hanno tanto bisogno di nutrire la propria umanità ed il proprio immaginario presente per progettare un loro futuro possibile. Se abbiamo fatto così durante la loro infanzia, quando le fiabe erano il primo modello con cui guardare il mondo e conoscerlo, perché non recuperare quella dimensione narrativa anche negli anni decisivi della giovinezza? Il metodo non cambia. Cambiano le storie, ma la compagnia di qualcuno che legge con te la tua umanità e la realtà rimane sempre l’elemento decisivo da cui partire, per qualsiasi viaggio.

 Il Sussidiario

giovedì 2 novembre 2023

ORIENTAMENTO SCOLASTICO


Quella immagine (vera) di sé 

che va scoperta in classe

L’orientamento non può essere appaltato a terzi, perché è nel presente delle discipline che gli studenti si mettono alla prova

-         di Martino Frizziero

       

 In questo inizio anno tutte le scuole hanno dovuto fare i conti con il decreto 328/2022 recante le nuove linee guida sull’orientamento emanato dal ministro Valditara nel dicembre dello scorso anno.

Non ci dilunghiamo qui nel descrivere o prendere in esame i documenti ministeriali e le loro possibili applicazioni, dal momento che molti soggetti ed enti li stanno già traducendo in suggerimenti progettuali e didattici quindi in indicazioni pratiche. Vorremmo piuttosto dare un contributo alla riflessione sullo scopo ultimo di questo ulteriore aggiuntivo percorso che incide sui programmi e sulle attività di tutte le scuole.

 Nel nostro liceo si è aperto un ampio dibattito sull’applicazione intelligente di queste norme. È importante non soltanto l’applicazione specifica delle normative ma anche il senso e la ratio dei decreti. Cioè, guardare a quel pezzo di vita reale che le leggi cercano di normare, al coinvolgimento di chi è l’oggetto e il soggetto vero di queste norme.

 Il destino

Il fatto di seguire tanti studenti e di averne seguiti tanti nella loro crescita e nelle loro scelte di vita ci fa guardare al tema dell’orientamento avendo negli occhi qualcosa di molto importante, molto più importante anche dell’acquisizione di alcune determinate competenze: il destino dei nostri ragazzi. Parola grossa e desueta.

 Per destino intendiamo la tensione a rispondere alla grande ultima domanda sul motivo per cui siamo al mondo. A tema, in altre parole c’è l’ultima realizzazione di me (oso dire la mia felicità), che sappiamo (ma forse è meglio ripeterlo) non coincide con la carriera che faccio o con gli zeri che ha il mio stipendio.

 In questo orizzonte ultimo, l’orientamento acquisisce il senso di una grande scoperta: chi sono io, che capacità ho e quali limiti? E la grande alleata a rispondere a questa domanda è proprio la realtà di quello che vivo, studio, faccio. L’impatto con quello che devo fare, con il compito che mi è dato, mi dice chi sono e quindi mi può indicare anche chi posso diventare.

Che passione verso lo studente e che sguardo a quello che succede a lezione vengono messi in gioco da un docente che tiene presente questo ultimo fattore! Come spiegherebbe Dante o Mendel? Che cammino per uno studente che accettasse la sfida di questa partita. Come studierebbe Leopardi o Newton?

 Desiderio e false immagini

L’incontro con le cose che devo fare e la realtà apre così ad una nuova consapevolezza di me e mi può aiutare a superare una pericolosa deriva dell’orientamento. Il pericolo è non considerare in modo adeguato (cioè svalutare) le indicazioni che la realtà ci dà e quindi, non considerare in modo completo sé stessi!

 Il bellissimo e affascinante motore delle scelte e dei percorsi che ogni ragazzo compie è il desiderio di fare, di avere, di arrivare … di essere. Ma, come è possibile che il desiderio non crei un’immagine surreale di sé, e quindi una pretesa o una schiavitù all’immagine che si è creato?

 Oggi gli studenti dell’ultimo e anche del penultimo anno delle superiori possono sostenere a più riprese i test di ingresso all’università. Il sistema non è più quello dell’unico appello in cui o si passa o no, ma è scandito in più appelli nei quali è possibile provare e riprovare a superare il test. Aprile, luglio, settembre, febbraio, quindi ancora aprile, luglio, settembre. E da questo dipende il loro futuro, la realizzazione dei loro desideri. Quindi importante, quindi fondamentale, quindi tutto deve essere piegato in funzione di questo. Però …

 Nell’ottica che stiamo proponendo è necessario guardare meglio e aprire anche la domanda sottesa al fatto di provare il test: sono fatto per fare il medico? O il veterinario? Che elementi mi aiutano a rispondere? Come questo desiderio ha conferme reali affinché possa essere più sicuro che quella è la mia strada e che io la potrò percorrere? Quali criteri guardo e mi sostengono?

 Nell’esperienza di tanti ragazzi, un’immagine falsata di sé produce infatti la scelta sbagliata perché non parte realmente dalla scoperta di chi sono io, ma da un me che non esiste. Basare la propria esistenza su una immagine inesistente può essere molto fuorviante o pesante e l’alternativa potrebbe addirittura essere far violenza sulle persone e sulle cose che hanno impedito la realizzazione di quell’immagine. Ci si trova così a cambiare scuola o scelta universitaria al primo anno. Alla prova dei fatti la scelta si rivela non davvero corrispondente a quello che uno realmente è.

 Ci soccorre dunque di nuovo la realtà con i suoi segni e le persone che ci stanno intorno, che ci guardano, che ci conoscono, cui possiamo effettivamente domandare: sono fatto per intraprendere quel mestiere? Perché mi piacerebbe? Ho le inclinazioni e le capacità necessarie?

 In questa prospettiva anche non passare un test di ingresso potrebbe diventare un’indicazione sulla strada che devo intraprendere (chi lo avrebbe mai detto?) e può significare che devo scoprire ancora qualcos’altro di me. Certamente il test si può riprovare e bisogna avere la possibilità di prepararsi per superarlo, ma non si tratta solamente di riprovarlo.

 Orientarsi. Due brevi suggerimenti e una conclusione.

 Appaltare esclusivamente a terzi la totalità delle attività previste per l’orientamento potrebbe disorientare (cioè, creare l’effetto opposto di quanto si prefiggono) se tali attività non tengono conto della reale vita scolastica, delle varie sollecitazioni quotidiane e del rapporto studente-docente. È importante invece riflettere per identificare, approfondire e definire in quali momenti si svela allo studente la comprensione di sé. Ed è, seppur lungo, un bel lavoro.

 Il soggetto e non l’oggetto dell’orientamento rimane lo studente e l’oggetto è proprio la sua stessa consapevolezza. L’idea dell’e-portfolio potrebbe avere questo bel valore essendo una sorta di diario informatico in cui lo studente, assieme a docenti e segreteria, riporta le esperienze che lo hanno formato.

 Per quanto detto, dunque, la profondità di un percorso orientativo si vede quando aiuta a stare alla realtà con tutto il desiderio di compimento della propria persona, a rimanere nel qui ed ora con l’attesa (operante e attiva) che il proprio destino si sveli. E a partire da qui per immaginare anche il futuro.

 

Il Sussidiario


mercoledì 26 luglio 2023

LIBERTA', UNA CONQUISTA


Non si può avere tutto dalla vita: è come quando si cucina, nessuno lo fa mettendo tutti gli ingredienti insieme.

 Bisogna selezionarli per dare un sapore preciso al piatto».

-          

-         di Vito Mancuso


Possiamo fare tutto, dire tutto, sperimentare tutto: vestirci di lustrini per andare a fare la spesa e praticare l’amore “liquido”, magari rivendicando bellamente la nostra “fluidità”; andare in Australia in poche ore e discettare di materie che non ci appartengono neppure un po’, eventualmente senza dover rendere conto a nessuno delle scempiaggini che abbiamo lasciato ai posteri sui social. Ma siamo davvero liberi?

 In pochi possono rivendicarlo davvero: non concede sconti alla realtà Vito Mancuso, teologo ed editorialista della Stampa in tour in Puglia in questi giorni con l’attore Mario Perrotta e la giornalista di Repubblica Cultura Sara Chiappori con lo spettacolo “Libertà rampanti - Indagine a tre voci sul concetto di libertà” (ieri al Castello Svevo di Bari, oggi al Castello di Manfredonia, domani al Parco archeologico di Canne della Battaglia, dopodomani al Parco archeologico di Egnazia).

Non è un paradosso, uno spettacolo sulla libertà, in un’epoca in cui il ventaglio delle possibilità di fare e dire quel che ci pare si estende quotidianamente?

 «Bella domanda, ma al di là di quest’apparenza immediata - ciascuno si muove, si veste, parla, si atteggia, si determina come ritiene - se scendiamo nella profondità di noi stessi sappiamo tutti benissimo che si tratta appunto di un’illusione. La libertà non è fare quel che mi pare, perché così facendo io cado prigioniero del mio desiderio e di quello che gli altri impongono al mio desiderio mediante musiche, prodotti e via dicendo. Per questo c’è bisogno di riflettere su cosa sia davvero quest’esperienza, cominciando a capire che il primo momento decisivo della libertà si chiama liberazione, ovvero capire di non essere per nulla liberi: per carattere, per ambiente in cui nasciamo, per sollecitazioni della società, per il fatto stesso di dover morire… per tutta una serie di motivi, il primo passo verso la libertà è capire che la libertà non c’è. Non è a portata di mano, devi appunto scalare, faticare, arrampicarti… essere rampante, come il Barone del libro di Calvino: finché pensi che libertà sia andare in giro mezzo nudo e dire quello che ti pare, pratichi solo un’anarchia selvaggia e vuota».

 Libertà non come desiderio, ma come cessazione dello stesso.

«In ordine al desiderio ci sono almeno tre scuole di pensiero: la prima afferma che libertà è non desiderare, appunto - corrente ascetica rappresentata dal buddismo, prima ancora in Occidente dallo stoicismo, ma pure da molte forme del Cristianesimo; la seconda, quella che imperversa ai nostri giorni, che teorizza esattamente il contrario - bisogna seguire ogni desiderio, altrimenti non si è liberi. Io appartengo alla terza, quella che ritiene il desiderio struttura imprescindibile della vita umana: noi siamo desiderio e volontà desiderante, e questo desiderio non può essere soppresso perché verrebbe meno il motore pulsante della vita, ma neppure essere assecondato in ogni sua forma espressiva, perché cadremmo suoi schiavi. Quindi bisogna orientarlo, trasformarlo in aspirazione: I desideri, che sono un fatto naturale, devono essere vagliati da quell’energia intellettuale speciale che è la coscienza morale. Vanno valutati, soppesati: ad alcuni va detto sì, ad altri no. Non si può avere tutto dalla vita: è come quando si cucina, nessuno lo fa mettendo tutti gli ingredienti insieme. Bisogna selezionarli per dare un sapore preciso al piatto».

 Ancora una volta, dunque, in medio stat virtus.

«Sì, penso di sì. Ancora una volta credo che quel principio della classicità sia una luce da seguire».

Come è cambiato il concetto di libertà dopo la pandemia, che ha messo a dura prova la nostra resistenza psicologica, ma per certi versi ha peggiorato anche le nostre abitudini nonostante i proclami “Andrà tutto bene” e “Ne usciremo migliori”?

 «Non si può rispondere a questa domanda in generale. Ci sono state persone che hanno approfittato di quel momento per ricalibrarsi, per riorientare la propria esistenza comprendendo le cose importanti della vita, che poi sono davvero poche: non farsi rubare il tempo e non distrarsi, per esempio. Poi c’è altra gente che invece ha già dimenticato tutto ed è diventata peggio di prima: il fenomeno umano è come sempre contraddittorio, basta camminare per strada per accorgersi di come esistano persone che denotano educazione, stile e pensiero e selvaggi, barbari che dimostrano il contrario: è stato sempre così e sempre così sarà».

 Libertà come scelta del bene, dunque?

 «La libertà è una scala, un processo a livelli. Il primo è appunto la liberazione, come già detto: dall’ignoranza, dalle catene che ci opprimono fin dalla nascita. Il secondo e il terzo sono invece libero arbitrio, la cui esistenza è pure negata da alcuni, e dedizione… Forse la maggior parte di noi non ci arrivano, ma quelli che optano per il bene comune, sacrificando se stessi, toccano davvero la libertà, anche quando la scelta è onerosa: pensiamo a quando il giudice Rosario Livatino rifiuta la scorta dicendo “Tanto mi ucciderebbero comunque”. Non è mero istinto di sopravvivenza, è dedicare la vita a qualcosa di più grande e farlo con convinzione: la vera libertà».

 

Intervista di Leda Cesari per Il Quotidiano di Puglia


giovedì 1 settembre 2022

L'ARTE DEL DISCERNIMENTO

 “Discernere è un atto importante che riguarda tutti, perché le scelte sono parte essenziale della vita”. Lo ha detto il Papa, che ha iniziato oggi, in aula Paolo VI, un nuovo ciclo di catechesi sul discernimento. “Si sceglie un cibo, un vestito, un percorso di studi, un lavoro, una relazione”, ha proseguito Francesco: “In tutto questo si concretizza un progetto di vita, e anche la nostra relazione con Dio”.

Nella vita, si presentano “situazioni inattese, non programmate, dove è fondamentale riconoscere l’importanza e l’urgenza di una decisione da prendere”, ha sottolineato il Papa, che poi ha aggiunto a braccio: “Le decisioni che ognuno di noi deve prendere: possiamo chiedere un consiglio, ma la decisione è propria. Non si può prendere una decisione perché l’ha detto mio marito, l’ha detto mia moglie…Ognuno di noi deve decidere. Per questo è importante saper discernere: per decidere bene è necessario saper discernere”. Nel Vangelo, ha ricordato il Papa, “Gesù parla del discernimento con immagini tratte dalla vita ordinaria; ad esempio, descrive i pescatori che selezionano i pesci buoni e scartano quelli cattivi; o il mercante che sa individuare, tra tante perle, quella di maggior valore. O colui che, arando un campo, si imbatte in qualcosa che si rivela essere un tesoro”. “Alla luce di questi esempi, il discernimento si presenta come un esercizio di intelligenza, di perizia e anche di volontà, per cogliere il momento favorevole: queste sono condizioni per operare una buona scelta”, ha spiegato Francesco: “E c’è anche un costo richiesto perché il discernimento possa diventare operativo. Per svolgere al meglio il proprio mestiere, il pescatore mette in conto la fatica, le lunghe notti trascorse in mare, e poi il fatto di scartare parte del pescato, accettando una perdita del profitto per il bene di coloro a cui è destinato. Il mercante di perle non esita a spendere tutto per comprare quella perla; e lo stesso fa l’uomo che si è imbattuto in un tesoro”.

“In una decisione giusta si incontra la volontà di Dio con la nostra volontà: prendere la giusta decisione, fare discernimento, è fare questo incontro, il tempo con l’eterno” ha spiegato, a braccio, il Papa, nella prima catechesi dedicata al discernimento. “Prendere una decisone bella, giusta, ti porta sempre una gioia finale: forse nel cammino si deve soffrire un po’, ma alla fine c’è gioia”, ha assicurato ancora a braccio, ricordando che il Vangelo “suggerisce un altro aspetto importante del discernimento: esso coinvolge gli affetti. Chi ha trovato il tesoro non avverte la difficoltà di vendere tutto, tanto grande è la sua gioia. Il termine impiegato dall’evangelista Matteo indica una gioia del tutto speciale, che nessuna realtà umana può dare; e difatti ritorna in pochissimi altri passi del Vangelo, che rimandano tutti all’incontro con Dio. È la gioia dei Magi quando, dopo un lungo e faticoso viaggio, rivedono la stella; è la gioia delle donne che tornano dal sepolcro vuoto dopo aver ascoltato l’annuncio della risurrezione da parte dell’angelo. È la gioia di chi ha trovato il Signore”. “Nel giudizio finale Dio opererà un discernimento nei nostri confronti”, ha ricordato Francesco: “Le immagini del contadino, del pescatore e del mercante sono esempi di ciò che accade nel Regno dei cieli, un Regno che si manifesta nelle azioni ordinarie della vita, che richiedono di prendere posizione. Per questo è così importante saper discernere: le grandi scelte possono nascere da circostanze a prima vista secondarie, ma che si rivelano decisive”. L’esempio citato è quello del primo incontro di Andrea e Giovanni con Gesù, un incontro che nasce da una semplice domanda: “Rabbì, dove abiti?” – “Venite e vedrete”. “Uno scambio brevissimo, ma è l’inizio di un cambiamento che, passo a passo, segnerà tutta la vita”, ha commentato il Papa: ”A distanza di anni, l’evangelista continuerà a ricordare quell’incontro che lo ha cambiato per sempre, ricorderà anche l’ora: ‘Erano circa le quattro del pomeriggio’. È l’ora in cui il tempo e l’eterno si sono incontrati nella sua vita. Conoscenza, esperienza, affetti, volontà: ecco alcuni elementi indispensabili del discernimento. Nel corso di queste catechesi ne vedremo altri, altrettanto importanti”.

 “Noi non ci troviamo davanti, già impacchettata, la vita che dobbiamo vivere”. Lo ha detto il Papa, durante l’udienza di oggi, la prima dedicata al discernimento, che “comporta una fatica”. “Dio ci invita a valutare e a scegliere: ci ha creato liberi e vuole che esercitiamo la nostra libertà”, ha spiegato Francesco: “Per questo, discernere è impegnativo”.

“Abbiamo fatto spesso questa esperienza: scegliere qualcosa che ci sembrava bene e invece non lo era. Oppure sapere quale fosse il nostro vero bene e non sceglierlo”, ha attualizzato il Papa: “L’uomo, a differenza degli animali, può sbagliarsi, può non voler scegliere in maniera corretta: è la libertà. La Bibbia lo mostra fin dalle sue prime pagine. Dio dà all’uomo una precisa istruzione: se vuoi vivere, se vuoi gustare la vita, ricordati che sei creatura, che non sei tu il criterio del bene e del male e che le scelte che farai avranno una conseguenza, per te, per altri e per il mondo; puoi rendere la terra un giardino magnifico o puoi farne un deserto di morte. Un insegnamento fondamentale: non a caso è il primo dialogo tra Dio e l’uomo”. “Un discernimento dove il Signore dà una missione”, ha commentato a braccio: “e l’uomo, ogni passo che fa, deve discernere quale decisione prendere. Discernimento è quella riflessione della mente e del cuore che noi dobbiamo fare prima di prendere una decisione”. Per il Papa, “il discernimento è faticoso ma indispensabile per vivere. Richiede che io mi conosca, che sappia cosa è bene per me qui e ora. Richiede soprattutto un rapporto filiale con Dio”.

“Dio è Padre e non ci lascia soli, è sempre disposto a consigliarci, a incoraggiarci, ad accoglierci”, ha garantito Francesco: “Ma non impone mai il suo volere. Perché? Perché vuole essere amato, non temuto: e anche Dio ci vuole figli, non schiavi, ma figli liberi. E l’amore si può vivere solo nella libertà. Per imparare a vivere si deve imparare ad amare, e per questo è necessario discernere: cosa fare adesso? Davanti a questa alternativa possiamo fare più maturità nell’amore. Che lo Spirito Santo ci guidi! Invochiamolo ogni giorno, specialmente quando dobbiamo fare delle scelte”.

www.avvenire.it

DISCORSO DEL PAPA



martedì 19 luglio 2022

GENERAZIONE X : DISTRICARSI NELLE SCELTE


 Il difficile cammino 

dei ragazzi 

verso una 

cultura di pace


- di Diego Miscioscia *

 

Nel tentativo di indagare cosa significhi scegliere per i nostri ragazzi, abbiamo chiesto aiuto al professore Diego Miscioscia, psicoterapeuta e membro del centro studi milanese Il Minotauro, che da oltre trent’anni si occupa di ricerca-formazione e intervento sull’adolescente. Con lui abbiamo provato a leggere due aspetti fondamentali: da una parte chi sono i giovani del 2022, che esigenze hanno, che scenari si portano alle spalle e che vissuti sperimentano, anche a seguito della pandemia. In parallelo, il professore ci ha invitato a comprendere in quale ambiente essi crescono, con quali adulti e quali modelli di riferimento, in quale contesto sociale sono accolti e accompagnati. “La generazione Z arriva all’appuntamento con l’età adulta con un patrimonio emotivo e affettivo che la predispone a sviluppare valori universalistici e pacifisti. È l’incapacità degli adulti ad accompagnarli nella nascita sociale che impedisce loro di sviluppare pienamente questi valori”.

Questi assunti sono fondamentali per aprire una riflessione personale e condivisa, in quanto adulti, rispetto al come accompagnare i ragazzi nelle scelte, senza che si perdano in facili “derive identitarie”. Il focus di questo accompagnamento, come spiega l’articolo, è il farsi quotidianamente testimoni di un mondo adulto positivo e innamorato (non onnipotente, ma potente), aiutandoli così a sviluppare una fiducia nel futuro, come spazio-tempo per la realizzazione del sé, dei propri progetti e dei propri sogni, nella costruzione di un “vero Sé”, imperfetto ma reale, creativo e generativo, ricco di esperienze, competenze e valori. L’amore per la vita propria e altrui non si costruisce in astratto, ma solo crescendo accanto ad adulti coraggiosi, ricchi di sogni ed esperienze e innamorati della realtà.

Il disagio psicologico prodotto in questi due anni dal Covid-19 sembra aver risvegliato l’attenzione degli adulti e della politica sui giovani. Chiusi in casa a causa del lockdown, costretti a dover rinunciare agli amici e al proprio gruppo classe, risorse indispensabili per la loro crescita emotiva, molti ragazzi hanno visto peggiorare una condizione psicologica personale che, già negli anni precedenti, gli esperti valutavano come molto precaria. L’aumento degli stati di ansia e di panico tra i ragazzi, le numerosissime richieste giunte agli psicologi per l’aumento dei casi di anoressia, ritiro sociale e autolesionismo hanno mobilitato, oltre alle famiglie e ai professionisti della salute mentale, anche i politici. Finalmente si è cominciato a parlare dello “Psicologo delle cure primarie”, figura già esistente in altre nazioni.

Da almeno un paio di decenni il malessere giovanile è percepibile nei casi sempre più numerosi di patologie che li riguardano (anoressie e bulimie, attacchi di panico, tendenze tossicofiliche, ritiro sociale, suicidi), nel progressivo distacco dalla realtà di una parte di loro e nell’apatia della maggioranza.

Questo distacco dalla realtà è anche il riflesso di un mondo adulto che, pian piano, si è sempre più staccato da loro: da tempo, le grandi istituzioni che presidiavano la nascita sociale dei giovani (la famiglia, la scuola, lo Stato e la Chiesa) hanno cessato di essere dei garanti metasociali e dei riferimenti identitari per adolescenti e giovani.

Nella cultura del narcisismo e con la crisi di queste istituzioni, si è rotto il patto intergenerazionale che garantiva i giovani e che forniva loro dei punti di riferimento etico. Una società sempre più performante come la nostra, inoltre, favorisce nei ragazzi altissime aspettative di successo personale e, di conseguenza, produce numerosi esiti depressivi in coloro che non ce la fanno.

Anche per questa sofferenza psicologica precedente al lockdown, dunque, i giovani hanno patito più di altre generazioni le nuove e gravi privazioni imposte dalla pandemia in alcune aree fondamentali per la loro crescita.

In quest’articolo voglio provare a mettere in evidenza le buone qualità dei giovani della generazione Z, i loro punti di forza e le strategie che gli adulti devono mettere in campo per favorire la loro nascita sociale e per aiutarli a superare le numerose fragilità che rischiano di vanificare proprio questi loro punti di forza.

I ragazzi nati nel terzo millennio possiedono identità fluide e flessibili, sono iperconnessi, eco-responsabili e globalizzati; sono tendenzialmente più pacifici delle generazioni precedenti ed hanno buone relazioni con gli adulti e tra di loro. La relazione tra maschi e femmine oggi è molto più paritetica che in passato: non esistono più identità polarizzate sul maschile o sul femminile ed è anche stata superata la doppia morale che prevedeva la sperimentazione sessuale fuori dalla coppia solo per i maschi.

I giovani, tuttavia, oggi sono spesso apatici, confusi, privi di desideri, incapaci di sognare e di pensare il futuro, hanno personalità fragili, caratterizzate da un rigido assetto narcisistico. Al loro fianco essi hanno adulti altrettanto confusi e incapaci di sostenerli adeguatamente, con cui ancora vivono, senza avere però alcuna speranza di andarsene a breve. I genitori, infatti, per lo più continuano a proteggerli e spesso tollerano la loro completa inerzia. Il sociale, i mass media e il mercato clandestino della droga, inoltre, forniscono ai più giovani strumenti regressivi e illusori, grazie ai quali essi possono dimenticare per un po’ il futuro che li terrorizza e possono rifugiarsi in un mondo alternativo a quello reale, un mondo più vicino alla notte che al giorno, più vicino al sogno che alla realtà.

La loro identità è pilotata dall’accumulo di desideri creati da algoritmi ricorsivi, che incontrano on line, e il loro criterio di valore e autostima è deciso dalla quantità di like che i loro post o selfie ricevono sui social network. Senza rendersene conto, sono sospinti dal consumismo e dalla sollecitazione del desiderio verso la regressione infantile e l’onnipotenza.

Agenti sociali patogeni come il consumismo e l’edonismo, quindi, colludono con bisogni narcisistici ed ostacolano il processo di individuazione e soggettivazione. Si assiste, quindi, a un indebolirsi del loro rapporto con la realtà: gli oggetti concreti, fagocitati velocemente nell’esperienza soggettiva, diventano protesi narcisistiche al servizio d’identità troppo fragili. Esistono ormai tanti piani del reale che si è fatto virtuale. Proprio per questo, molti ragazzi soffrono di momenti di derealizzazione e depersonalizzazione. Anche la realtà, peraltro, si è sempre più allontanata da loro: gli adulti hanno lasciato alle nuove generazioni solo lavori precari, un enorme debito pubblico e grandi problemi di difficile soluzione (il cambiamento climatico, la crisi energetica, l’inquinamento e, ultima arrivata, una ripresa delle tensioni internazionali che può riportarci nella triste epoca della guerra fredda, se non peggio). La possibilità concreta di farsi una propria famiglia da parte dei giovani, dunque, viene procrastinata sempre più in là nel tempo. Le basi dei valori etici sono le emozioni e gli affetti che sono coltivati nei bambini fin dai primi anni di vita: la generazione Z arriva all’appuntamento con l’età adulta con un patrimonio emotivo e affettivo che la predispone a sviluppare valori universalistici e pacifisti. È l’incapacità degli adulti ad accompagnarli nella nascita sociale, dunque, che impedisce loro di sviluppare pienamente questi valori.

Uno studioso delle culture sociali come Amin Maloof, a proposito delle numerose comunità di stranieri presenti nella maggioranza degli Stati occidentali, osserva come da piccoli essi crescano con gli altri ragazzi, condividendo gli stessi interessi e un’ottima socialità. Arrivati alle soglie dell’identità adulta, tuttavia, facilmente questi giovani si perdono in quella che lui definisce “deriva identitaria”: confusi dalla mancanza di valori proposti ai ragazzi dal mondo adulto, essi rispolverano la vecchia identità religiosa della propria comunità di appartenenza, spesso radicalizzandola e perdendo così quell’orientamento verso valori i universalistici proprio del mondo giovanile in cui sono cresciuti.

Gli adulti non sono capaci di significare ai ragazzi il mondo in cui vivono. Non è reso loro decifrabile il senso della vita e il significato della morte, le pulsioni, il loro posto nelle generazioni e nel mondo, ma, soprattutto, la maggioranza degli adulti sono privi di quel “pensiero innovativo, pacifista” che caratterizza i vissuti della maggioranza dei giovani delle nuove generazioni. Come ricordavo prima, infatti, questa è una generazione eco-responsabile, globalizzata e pacifista, portatrice, senza neppure rendersene conto, dell’idea di un mondo nuovo, finalmente libero dalle guerre e da qualsiasi pregiudizio. Questa nuova cultura giovanile si vede nella partecipazione di numerosi giovani alle manifestazioni contro i pregiudizi sessuali e razziali, ai gay pride o, lo scorso anno, ai cortei black lives matter e alle iniziative in difesa dell’ambiente e per fermare il cambiamento climatico, come durante i friday for future.

La famiglia, tuttavia, oggi più orientata al dialogo e all’affettività che alla promozione etica dei propri figli, non riesce ancora a capire come sostenere queste buone qualità dei ragazzi, come è possibile alimentarle con un dialogo intelligente e con una “riflessione maieutica” che possano trasformarle in veri valori etici. La famiglia ha bisogno di riscoprire i valori dell’area paterna. La “seconda nascita” o nascita sociale, infatti, non può, come la prima nascita, avvenire all’ombra dei valori materni, proteggendo troppo i ragazzi e tenendoli fermi su un presente eternizzato. La crescita richiede coraggio, avventura e accettazione del rischio. Pochi genitori si rendono conto che devono stare più tempo accanto ai loro figli, ma non per proteggerli attraverso un’ammirazione di una qualità un po’ troppo infantilizzante, bensì per dare loro speranza, per restituire loro l’idea del futuro. I ragazzi oggi sono bloccati perché una cattiva politica familiare e sociale fanno loro pensare che la bellezza non stia nell’identità adulta, ma in quella infantile e che il futuro sia solo il luogo della mortificazione. Gli stessi adulti danno spesso ai giovani l’impressione che crescere significhi solo accettare frustrazioni, disillusioni, lutti, senza essere ripagati da nulla di piacevole. I genitori dunque devono essere capaci di sognare i propri figli perché, come ricordava un grande pedagogista come Riccardo Massa, l’adulto deve essere “…ricco di sogni ed esperienze e innamorato della realtà”. Tutti gli educatori devono mostrare come il futuro sia il luogo in cui si può realizzare la bellezza e la progettualità, il luogo in cui i sogni acquistano una consistenza più reale, trasformandosi in progetti concreti. In questo modo, il futuro può diventare il luogo dove è possibile elaborare il lutto per la fine della propria infanzia, per il ridimensionamento di parti sé infantili e narcisistiche, perché il lutto dell’onnipotenza è sostituito dall’acquisizione di una potenza reale. Tutto questo è possibile solo se i genitori diventano capaci di sognare un futuro per i propri figli. Il padre e la madre devono imparare a stare loro vicino con un atteggiamento incoraggiante, stimolante e valorizzante, ma anche empaticamente consapevole della fatica connessa alla crescita, senza tuttavia cedere ad atteggiamenti consolatori o eccessivamente protettivi.

Eraclito sosteneva che gli occhi e le orecchie sono cattivi testimoni se non c’è una testa: un pensiero capace di dare senso e significato a ciò che essi percepiscono; analogamente, i genitori devono esercitare questa capacità di dare senso alla realtà, avvicinando le esperienze e le risorse del mondo e presentandole al figlio, diventando così testimoni di una continuità storica. Ai ragazzi vanno trasmesse competenze, soprattutto in quegli ambiti dove oggi è più frequente interagire. Il pedagogista Daniele Novara, ad esempio, da anni si batte per una rivisitazione intelligente della “educazione al conflitto”, vista come occasione di crescita e confronto. Anche la scuola incontra le stesse difficoltà della famiglia con le nuove generazioni. In questi due anni di DAD la maggioranza dei docenti ha perso un’occasione storica: utilizzare questa novità per cambiare la scuola ed attivare  i ragazzi sul lavoro di gruppo e sulla ricerca a distanza. Si è invece preferito, in un momento in cui gli studenti vivevano già in una condizione di isolamento e passività, proporre a distanza la stessa lezione tradizionale che si faceva a scuola, facendoli così sentire ancora più statici e impotenti (e controllati contemporaneamente dagli insegnanti e dai genitori).

Vi sono nuovi paradigmi della conoscenza che da anni sottolineano sempre di più la necessità di una sintonia con i processi di sviluppo. Tali modelli mostrano chiaramente i limiti del vecchio modello di fare scuola, incardinato sull’apprendimento per concetti e conoscenze. È certo ormai che il cambiamento avviene solo quando ci si sintonizza con i bisogni evolutivi: il riferimento della scuola, quindi, in una società in continuo cambiamento come la nostra, non può che essere l’attenzione alla persona e ai suoi processi evolutivi.

La scuola deve far diventare protagonisti i ragazzi stessi, aiutandoli a modificare il loro pseudo-ideale dell’Io illusorio e perfezionistico e sostenendoli, quindi, nella ricerca del proprio vero Sé e di un’identità reale, fatta di competenze e valori. In questo senso, anche l’istituzione di un servizio civile obbligatorio aiuterebbe i ragazzi a confrontarsi con valori veri e creativi e, indirettamente, restituendo un senso davvero creativo alla loro vita, allontanerebbe le loro fantasie di morte.

*Diego Miscioscia, psicologo, psicoterapeuta, socio fondatore dell'Istituto Minotauro, svolge attività clinica con adolescenti e adulti.

RS SERVIRE

 

lunedì 11 luglio 2022

LIBERTA' e RESPONSABILITA'



-      -   di Claudia Cremonesi

La scelta.

È impegno di ogni istituzione educativa promuovere la crescita di cittadini adulti, autonomi ed in grado di compiere scelte consapevoli, alla luce di un sistema di valori che, per noi cristiani, trova il suo significato ultimo nel Vangelo.

Credo che sia sotto gli occhi di tutti che il contesto nel quale viviamo non promuove la crescita e lo sviluppo delle competenze e del sistema di valori associati all’adultità.

Essere adulti oggi è un concetto annacquato, un tema sul quale non si interroga nessuno, una dimensione dimenticata. Paradosso!

Infatti, se guardiamo la nostra società, colpisce la totale mancanza di adulti capaci di stare in piedi di fronte alle sfide del nostro tempo e porsi quindi come punti di riferimento solidi per i più giovani.

Ci sono età della vita che non vanno più di moda, l’età adulta è decisamente in testa.

Eppure, l’età adulta è anche l’età delle scelte mature, consapevoli, fatte per durare nel tempo e guidare la vita un po’ più in là del prossimo mese.

Scelte che impegnano su un piano personale, ma anche in una dimensione relazionale e comunitaria. Ci si impegna per gli altri e con gli altri.

Scelte che diventano testimonianze.

Quante volte abbiamo incontrato adulti capaci di tali testimonianze! E quanto il loro esempio ha contato nella nostra formazione! Oggi questo processo è decisamente più difficile. Non avviene certo in modo naturale, automatico, all’interno della società.

Bisognerebbe lavorarci, forse forzarlo un po’. Insomma, non abdicare ad un ruolo che, se in passato ha mostrato tutta la sua debolezza nell’autorità, oggi dimostra la sua totale inconsistenza nell’autoriferimento dell’individuo a se stesso.

Già, sono i due estremi del pendolo. Bisognerebbe cercare la famosa via di mezzo.

L’esperienza scout è interessante da questo punto di vista perché non si ferma alla giovinezza.  

Nel cammino educativo la riflessione sulla dimensione vocazionale deve essere predominante e le domande sul perché e il senso delle cose dovrebbero primeggiare sul come e il che cosa.

Una delle poche e rare proposte di lavoro formativo in una dimensione della vita sulla quale non lavora nessuno.

Quanta ricchezza!

Diventare adulti è un percorso che va oggi accompagnato, non si può dare per scontato.

Farlo in una comunità parrebbe quasi rivoluzionario.

Nella società tecnica l’individuo basta a se stesso, non ha bisogno di relazioni, se non di tipo funzionale al suo obiettivo, sempre personale, sempre individuale.

L’uomo diventa il paradigma di riferimento di tutto, perfino dell’intero pianeta.

La sua capacità tecnica aumenta il suo senso di onnipotenza. Tutto si risolve in un riferimento interno, con me stesso.

O meglio, con la mia libertà assoluta.  Questo è forse oggi il più grande male di tutti.

Siamo tutti d’accordo: senza la libertà non si può vivere pienamente.

La libertà

La libertà è il diritto della persona di respirare; senza libertà l’uomo è una sincope.

Qualcuno ha dato la vita per un bene così alto, altri, come noi, l’hanno ereditata e, forse, ne hanno equivocato il senso.

L’altro mi precede, mi dà un nome, il suo amore mi fa scoprire come persona che merita amore. Ed è quindi il noi ad aprire lo spazio dell’io.

L’io non scivola nella prepotenza, nell’arroganza, nella violenza solo quando è preceduto dal noi. È questo un tema assente dallo scenario: il contraltare della libertà.

La tanto antipatica responsabilità.

I due valori devono stare assieme, non possono essere presi come riferimenti assoluti, ma in una dialettica costante tra di loro che li porta a ridefinirsi continuamente, a negoziare lo spazio che uno prende sull’altro. Perché non ce ne sia mai uno che si pone come assoluto.

La libertà è il respiro, lo slancio, l’altezza, la creatività che la responsabilità non ha, mentre la responsabilità è la misura della libertà, è ciò che la dà una disciplina, che le impedisce di prendere tutto e che la mette a misura.

Troppo poco, non va bene.  Troppo, non va bene.

L’uomo che assume la sua libertà come assoluta vive in una vertigine di onnipotenza.

Lo sentiamo nel linguaggio ogni giorno: “puoi fare ciò che vuoi”, “basta che tu lo voglia”, “non c’è limite per una volontà determinata”, ecc...

Lo spazio della mia libertà porta con sé una quota altrettanto ampia di responsabilità.

Verso di me, ma soprattutto verso gli altri.

Ed è esattamente il momento della scelta che esplicita lo stretto rapporto tra queste due dimensioni.

Scelgo liberamente e subito mi assumo la responsabilità della mia scelta.

Le famose conseguenze.

In primis, di non aver scelto altro.  Ho scelto, non posso avere tutto, sono consapevole che una scelta comporta una rinuncia, fin da subito.

La scelta è lo spazio di prova della libertà e della responsabilità nella loro relazione.

Scelte vere, reali porteranno con sé responsabilità vere, reali.

Si può sbagliare, certo. Sono libero di sbagliare e me ne assumo la responsabilità.

La responsabilità è anche il mio impegno di fronte agli altri.

In un mondo in cui valgono solo performance e obiettivi individuali, la responsabilità ci ricorda che siamo responsabili di altri e verso gli altri.

Infatti, ad un certo punto della tua vita, devi uscire dal solipsismo individualistico e comprendere che stai creando delle relazioni, delle dipendenze.

Le libere scelte comportano il tuo esserci e un grado di responsabilità che non riguarda più solo te. Ma anche altri.

Da te dipendono altre scelte, altre vite.

La loro possibilità di libertà e felicità dipende dal tuo grado di responsabilità e di libertà. Quando si sceglie, si lanciano i dadi, non si torna indietro. Ma ciò non significa che la storia sia già scritta, già determinata.

La bellezza e la grandezza della vita ci portano a compiere scelte sempre più impegnative, ma dietro l’angolo c’è l’inatteso imprevisto, la sorpresa di un incontro, la gioia di una relazione che si apre al mondo.

Di scelta in scelta. Nella mia libertà e nella mia responsabilità.

Perché se senza libertà l’uomo è una sincope, senza responsabilità l’uomo è una vertigine.

 

RS-Servire