UNA PROPOSTA INDECENTE
Il piano di Gaza
città del futuro?
- di Marina Corradi
-
Invece
pare facciano sul serio.
Il
Washington Post ha pubblicato parte di un documento riservato di 38 pagine,
intitolato GREAT, Gaza Reconstitution, Economic Acceleration and
Transformation.
Great,
Grande, come tutto ciò che piace a Trump.
Una
faccenda da 100 miliardi di dollari.
Gli
ideatori farebbero capo alla stessa società che da mesi gestisce la
distribuzione degli aiuti a Gaza.
Con
i risultati, e il numero di morti, che leggiamo ogni giorno.
Ma
il nuovo progetto va audacemente oltre il presente. Immagina una Gaza già
sgomberata da due milioni di palestinesi.
E
dove dovrebbero andare?
In
Paesi del Terzo mondo già disastrati da guerre o fame.
Bella
idea.
Quella
resa nota dal Washington Post e, pare, già presa in considerazione da Trump, è
però ancora migliore.
Una
città del futuro, un ibrido fra la City di Londra e i palazzi di Dubai.
Una
città naturalmente “intelligente”, irta di grattacieli obliqui, storti, o
puntuti di guglie – insomma, design da archistar.
E
metropolitane, e hotel a sette stelle, e un’isola artificiale, e un porto – per
gli yacht naturalmente – e, dietro la spiaggia candida, tanto verde.
Perché
è molto green, Gaza Beach.
E
certo tutto funzionerà a energia solare, pulita, pulitissima.
Insomma,
tutto “sostenibile” - qualsiasi cosa voglia dire questa parola ormai
infinitamente ripetuta, come un mantra.
La
cosa insostenibile di Great, è il passo prima: la deportazione di massa degli
abitanti di Gaza, incentivati con una buonuscita di 5.000 dollari a testa e una
manciata di altri “benefit”.
Difficile
dire se l’idea è più indecente, o assurda.
Assurda
certo, quella cittadella di ori installata con la forza su una terra di guerra
e carestia.
Ma,
più ancora, Great è una proposta indecente.
Umanamente
indecente: le ruspe che andassero a scavare le fondamenta dei grattacieli
affonderebbero le benne in una terra piena di morti, cadaveri ancora
abbracciati nelle macerie delle case.
Una
città eretta sui morti insepolti: quasi una sfida alla pietà.
O
forse, nemmeno questo: semplicemente, indifferenza.
Gaza
è distrutta al 90 per cento, quindi il grosso del lavoro è già fatto.
Nel
progetto si dice di volersi ispirare alla Parigi di Hausmann, cioè la Parigi
dei grandi boulevard. Per costruire quei sontuosi viali vennero spianati interi
quartieri.
A
Gaza, invece, ridotta a una tavola di rovine, questo è già stato fatto.
Già
si potrebbero aprire i cantieri.
Non
lo faranno, è impossibile lo facciano davvero, ti dici.
Eppure
che se ne parli, e quei disegni di palazzi, viali, e i preventivi, sono
qualcosa che turba.
La
guerra è guerra, e da sempre feroce e spregiante la vita.
Ma
tirar su una città non è guerra. Questa città però reca in sé il marchio di una
guerra estrema: vorrebbe installarsi sui dimenticati insepolti, sul vuoto
lasciato da un popolo cacciato.
Torri
di cristalli e marmi, come un tempio a un dio pagano: il dio dei soldi.
Nell’assoluta
indifferenza.
C’erano
uomini qui, e bambini?
Non
importa.
Negli
ascensori silenziosi e velocissimi verso i roof garden, all’ora dell’aperitivo,
non verrebbe in mente agli abitanti di Great.
Con
quel tramonto sul mare davanti agli occhi, poi.
Mojito
e Campari, il tinnio del ghiaccio nei bicchieri, i sorrisi delle signore.
La
vita perfetta, sopra alla morte.
Io
non ci credo, che lo faranno veramente.
Ma
forse noi uomini e donne del Novecento fatichiamo ad aggiornarci.
I
lager almeno sono rimasti uguali, e ci mandiamo le scolaresche, per non
dimenticare.
Dopo
la ferocia, almeno la memoria.
Il
Terzo Millennio invece sembra davvero un Mondo Nuovo, straniato e straniero,
come lo immaginava Huxley.
Si
progettano skyline di archistar sul luogo di una carneficina, spensieratamente.
La memoria? Di cosa?
Ha un prezzo la memoria? Allora, non serve.
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