Pubblichiamo
un estratto (pag. 135-137) del libro “La luce e l’onda. Cosa significa
insegnare” (Einaudi, 2025) di Massimo
Recalcati, per gentile concessione dell’autore e dell’Editore.
Nella
vita della Scuola la pluralità delle lingue non è solo tutelata dal lavoro
degli insegnanti, ma informa anche il suo istituirsi come una comunità. È
quello che è mancato di più ai nostri figli nel tempo della sua chiusura
imposto dall’emergenza sanitaria: la possibilità dell’incontro con i propri
pari, la vita insieme, la Scuola come soggetto collettivo.
La vita
del gruppo costituisce un tempo essenziale nella separazione
necessaria della vita del figlio dalla vita della famiglia. Nella comunità
della Scuola l’attivazione del codice fraterno o di sorellanza che
integra il discorso del maestro come discorso che apre la vita alla esperienza
del Due è una esperienza decisiva. Se, infatti, la vita del figlio resta
imbozzolata nell’ordine della lingua della propria famiglia di origine, non c’è
formazione, non c’è incontro possibile con la pluralità aperta delle altre
lingue.
La vita
in gruppo e di gruppo, la vita viva della comunità della Scuola, sostiene
in modo decisivo questo processo di apertura rendendo possibile il passaggio
dal codice privato della lingua materna a quello pubblico di tutte le altre
lingue del mondo. Se per un verso l’esperienza traumatica del Covid aveva
rafforzato i legami famigliari sottraendo ai nostri figli l’ossigeno a loro
indispensabile della vita al di fuori dalla famiglia, la riapertura della
Scuola ridona alla vita del figlio uno spazio aperto. Ancora una volta possiamo
misurare la parzialità della visione foucaultiana della Scuola come
dispositivo unicamente disciplinare o di controllo sociale.
La Scuola
non ha come finalità quella di normalizzare la vita dei nostri figli attraverso
una tecnica di dominio e di sorveglianza, ma quella di favorire l’apertura
della loro vita all’orizzonte illimitato della vita. Un maestro non è un
istruttore, né un governatore, non è un moralizzatore né un sorvegliante, ma la
grazia di un incontro che apre la vita a mondi nuovi. Dunque, non agisce per
imprimere la sua volontà sui suoi allievi, non impone un sapere già
fatto.
Come
abbiamo visto, assomiglia piuttosto a una luce che allarga la visione,
a un respiro che allarga la vita o a un’onda che ci costringe a soggettivare il
sapere che abbiamo acquisito, a farlo diventare davvero nostro. Quando invece
la sua presenza scivola via e al suo posto si impongono insegnanti distruttori
sadici o burocrati senza desiderio o, ancora, soggetti frustrati che vivono
solo per il loro stipendio, la vita scolastica diviene oppressiva e toglie il
respiro. Non è un caso che un sintomo come quello degli attacchi di panico, che
ha nella sensazione di mancanza d’aria una delle sue manifestazioni piú
eloquenti, appaia come un sintomo ricorrente ed emblematico in molti giovani.
Per questa ragione alcuni di loro hanno fatto fatica a ritornare a Scuola.
Ma andare a Scuola non significa entrare in un tunnel senza luce quanto entrare in una comunità aperta. Ed è proprio questa apertura a sottrarre alla vita dei nostri figli i suoi confini familisti costringendoli ad abbandonare il già saputo, ad aprirsi a un mare aperto.
La Scuola, scriveva Freud, non solo non spinge
i suoi allievi al suicidio ma ha il compito di «creare in loro il piacere di
vivere e offrire appoggio e sostegno in un periodo della loro esistenza in cui
sono necessitati dalle condizioni del proprio sviluppo ad allentare i loro
legami con la casa paterna e la famiglia».
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