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domenica 9 febbraio 2025

LASCIARONO LE RETI E LO SEGUIRONO

LA PESCA MIRACOLOSA




-Luigi, Comunità Kairòs

La liturgia presenta per questa domenica il brano della cosiddetta “pesca miracolosa”, ma l’eccezionalità di tale evento, una pesca in pieno giorno alla fine di una notte andata a vuoto, non è però il vero nucleo narrativo del brano evangelico.

Il centro della narrazione non è pertanto la vicenda di un miracolo, ma l’esperienza dell’incontro con il Signore, di come un uomo possa cambiare profondamente la propria vita mettendo in gioco sé stesso, il proprio tempo, le proprie certezze e i propri averi “sulla parola” di Gesù di Nazareth.

Più che il racconto straordinario della potenza divina, si tratta della storia semplice di Simon Pietro, ovvero della chiamata di un uomo che insieme ad altri compagni di viaggio si imbatte un giorno in Gesù che gli chiede di salire sulla barca della sua vita e di prendere il largo verso acque profonde.

Faceva ressa

Il brano si apre con la folla che “faceva ressa” attorno a Gesù per ascoltare la parola di Dio (v.1). Tra la gente c’è una grande sete di senso, ciò che le persone desiderano è la parola di Dio, un incontro con il Dio vivente che interpella, trasforma l’esistenza, impegna all’avventura della sequela nel cammino della vita. L’attitudine all’ascolto nell’opera dell’evangelista Luca costituisce il punto di partenza del cammino di fede. Di fronte alla folla, Gesù vede due barche da cui erano scesi i pescatori per lavare le reti, sale sulla barca che era di Simone e gli chiede di scostarsi un pò da terra: lì, stando seduto, “insegnava alle folle” (v.3). La prima richiesta del Signore è di essere accolto. Simone che finora è apparso solo intento alle sue attività lavorative e disinteressato ai discorsi di Gesù alle folle, si trova inaspettatamente faccia a faccia con Gesù stesso. Il suo primo “sì” al Signore avviene così, quasi per caso, senza troppa convinzione, senza poter minimamente prevedere il seguito. La barca, luogo del fallimento per la mancata pesca durante la notte, diviene ora il luogo da cui Gesù attrae persone all’ascolto della parola di Dio. I pescatori stanno riponendo gli arnesi di lavoro per la notte successiva, è di notte, infatti, il tempo propizio per pescare. La richiesta che Gesù fa a Simone di prendere il largo e di calare le reti per la pesca rappresenta pertanto una follia, un’assurdità dal punto di vista umano. Simone oppone a questa richiesta la sua esperienza di pescatore: “Abbiamo faticato tutta la notte e non abbiamo preso nulla” (v.5).

Getterò le reti

Ma proprio qui interviene il salto della fede: “ma sulla tua parola, getterò le reti” e Simone accetta la contraddizione che smentisce le sue competenze, facendo affidamento sulla parola del Maestro. Su questa parola si espone al rischio di mettere in discussione tutto quello in cui ha creduto fino ad ora per entrare nella sfera dell’impossibile per l’uomo e del non certo. E così entra nella sfera di quel Dio che lo ha chiamato proprio nel giorno del fallimento e nel momento di maggiore difficoltà. Questo faticoso lavoro di apertura al Signore diverrà però un’occasione di fecondità. Dopo che la rete gettata sulla parola di Gesù risale dai fondali stracolma di pesci al punto che 1 l’altra barca è chiamata a partecipare di questa grazia sovrabbondante, “e presero una grande moltitudine di pesci e le loro reti quasi si rompevano” (v.6), Simone riconosce il suo Signore. E così assistiamo al vero “miracolo”: Simone riconosce Dio in Gesù e diviene un altro. Quando Simon Pietro avverte questa vicinanza, cade alle ginocchia di Gesù chiedendogli di allontanarsi, di farsi nuovamente distante da lui che si riconosce ora peccatore: “Signore, allontanati da me, perché sono un peccatore” (v.8). Simone, pur avendo già una conoscenza di Gesù e della potenza della sua parola, non l’ha ancora conosciuto del tutto e, soprattutto, non ha ancora conosciuto se stesso alla luce del Signore.

L’incontro diviene sconvolgimento esistenziale.

 La conoscenza del Signore è il percorso di una vita, è un cammino in divenire, e questo, per ciascun credente come per Simon Pietro, avviene spesso grazie a una crisi. Egli, che conosceva Gesù nella sua forza, ora arriva alla conoscenza di sè stesso nella propria debolezza. La risposta autentica alla chiamata è innanzitutto un andare in profondità nella conoscenza di sé e del Signore. Simon Pietro viene scelto proprio nel suo peccato e lo svelamento della sua condizione lo ha reso ancora più vicino a Gesù. Analogamente accade al profeta Isaia, colto di sorpresa da una teofania, dove l’incontro col Signore aveva provocato una medesima comprensione della propria debolezza e del proprio peccato, “uomo dalle labbra impure io sono” (Is 6,5), ma nonostante tutto Isaia aveva accettato la missione, “eccomi, manda me!” (Is 6, 7), come leggiamo nel testo della prima lettura. E succederà anche all’apostolo Paolo: “Io non sono degno di essere chiamato apostolo…per grazia di Dio, però, sono quello che sono” (I Cor, 15,9-10), dal brano della seconda lettura.

Non temere

L’invito finale di Gesù a non temere, rivolto a Simon Pietro, accorcia nuovamente le distanze, d’ora in poi sarebbe divenuto “pescatore di uomini” (v.10), impegnato nella missione dell’annuncio della Parola per salvare dal mare del non senso e dalla disperazione quanti rischiano di annegare. A quelle parole, Simon Pietro e gli altri “lasciarono tutto e lo seguirono” (v.11), segno di radicalità ed essenzialità di vita a cui si è chiamati alla sequela di Gesù di Nazareth. Un lasciare tutto e una perdita che risulterà però un guadagno: “Chiunque avrà lasciato case, o fratelli, o sorelle, o padre, o madre, o figli, o campi per il mio nome, riceverà cento volte tanto e avrà in eredità la vita eterna” (Mt 19,29). Il ministero degli apostoli non potrà che essere in continuità con ciò che faceva Gesù: annunciare la Parola di Dio. La comunità cristiana nasce attorno all’ascolto della Parola di Dio, criterio che fonderà tutte le nuove relazioni con Gesù. Egli stesso infatti definisce qual è la sua nuova famiglia: “Mia madre e i miei fratelli sono coloro che ascoltano la Parola di Dio e la mettono in pratica” (Lc 8, 21). A Gesù adesso guardano Simon Pietro e i compagni con sguardo rinnovato dalla fede all’inizio del cammino che sta per cominciare e che ripartirà sempre nuovo al termine di ogni fallimento, di ogni nottata andata a vuoto.

 Così, come Pietro, ciascun uomo e ciascuna donna sta di fronte a Dio con le sue reti vuote in attesa di prendere il largo sulla sua Parola, verso una salvezza inattesa e una fecondità di vita che si rivelerà ben più grande delle nostre aspettative.

 

Comunità Kairos

giovedì 21 dicembre 2023

L'ARTE DELL'ASCOLTO


 “ … Carissimi, abbiamo bisogno di ascoltare l’annuncio del Dio che viene, di discernere i segni della Sua presenza e di deciderci per la Sua Parola camminando dietro a Lui. Ascoltare, discernere, camminare: tre verbi per il nostro itinerario di fede e per il servizio che svolgiamo qui nella Curia. Vorrei consegnarveli attraverso alcuni dei personaggi principali del Santo Natale.

ASCOLTARE CON IL CUORE

Anzitutto Maria, che ci ricorda l’ascoltare. La fanciulla di Nazaret, che stringe fra le braccia Colui che è venuto ad abbracciare il mondo, è la Vergine dell’ascolto perché ha prestato l’orecchio all’annuncio dell’Angelo e ha aperto il cuore al progetto di Dio. Ella ci ricorda che il primo grande comandamento è «Ascolta Israele» (Dt 6,4), perché prima di ogni precetto è importante entrare in relazione con Dio, accogliendo il dono del suo amore che ci viene incontro. Ascoltare, infatti, è un verbo biblico che non si riferisce soltanto all’udito, ma implica il coinvolgimento del cuore e quindi della vita stessa. San Benedetto inizia così la sua Regola: «Ascolta attentamente, o figlio» (Regola, Prologo, 1). Ascoltare con il cuore è molto più che udire un messaggio o scambiarsi delle informazioni; si tratta di un ascolto interiore capace di intercettare i desideri e i bisogni dell’altro, di una relazione che ci invita a superare gli schemi e a vincere i pregiudizi in cui a volte incaselliamo la vita di chi ci sta accanto. Ascoltare è sempre l’inizio di un cammino. Il Signore chiede al suo popolo questo ascolto del cuore, una relazione con Lui, che è il Dio vivente.

 ESSERE DISPONIBILI

E questo è l’ascolto della Vergine Maria, che riceve l’annuncio dell’Angelo con apertura, totale apertura, e proprio per questo non nasconde il turbamento e le domande che esso suscita in lei; ma si coinvolge con disponibilità nella relazione con Dio che l’ha scelta, accogliendo il suo progetto. C’è un dialogo e c’è un’obbedienza. Maria capisce di essere destinataria di un dono inestimabile e, “in ginocchio”, cioè con umiltà e stupore, si mette in ascolto. Ascoltare “in ginocchio” è il modo migliore per ascoltare davvero, perché significa che non stiamo davanti all’altro nella posizione di chi pensa di sapere già tutto, di chi ha già interpretato le cose prima ancora di ascoltare, di chi guarda dall’alto in basso ma, al contrario, ci si apre al mistero dell’altro, pronti a ricevere con umiltà quanto vorrà consegnarci. Non dimentichiamo che soltanto in una occasione è lecito guardare una persona dall’alto in basso: soltanto per aiutarla a sollevarsi. È l’unica occasione in cui è lecito guardare una persona dall’alto in basso.

ASCOLTARE IN SILENZIO

A volte, anche nella comunicazione tra di noi, rischiamo di essere come dei lupi rapaci: cerchiamo subito di divorare le parole dell’altro, senza ascoltarle davvero, e immediatamente gli rovesciamo addosso le nostre impressioni e i nostri giudizi. Invece, per ascoltarsi c’è bisogno di silenzio interiore, ma anche di uno spazio di silenzio tra l’ascolto e la risposta. Non è un “ping pong”. Prima si ascolta, poi nel silenzio si accoglie, si riflette, si interpreta e, soltanto dopo, possiamo dare una risposta. Tutto questo lo si impara nella preghiera, perché essa allarga il cuore, fa scendere dal piedistallo il nostro egocentrismo, ci educa all’ascolto dell’altro e genera in noi il silenzio della contemplazione. Impariamo la contemplazione nella preghiera, stando in ginocchio davanti al Signore, ma non solo con le gambe, stando in ginocchio con il cuore! Anche nel nostro lavoro di Curia, «abbiamo bisogno di implorare ogni giorno, di chiedere la sua grazia perché apra il nostro cuore freddo e scuota la nostra vita tiepida e superficiale. […] È urgente ricuperare uno spirito contemplativo, che ci permetta di riscoprire ogni giorno che siamo depositari di un bene che umanizza, che aiuta a condurre una vita nuova. Non c’è niente di meglio da trasmettere agli altri» (Evangelii gaudium, 264).

Fratelli e sorelle, anche nella Curia c’è bisogno di imparare l’arte dell’ascolto. Prima dei nostri doveri quotidiani e delle nostre attività, soprattutto prima dei ruoli che rivestiamo, occorre riscoprire il valore delle relazioni, e cercare di spogliarle dai formalismi, di animarle di spirito evangelico, anzitutto ascoltandoci a vicenda. Con il cuore e in ginocchio. Ascoltiamoci di più, senza pregiudizi, con apertura e sincerità; con il cuore in ginocchio. Ascoltiamoci, cercando di capire bene cosa dice il fratello, di cogliere i suoi bisogni e in qualche modo la sua stessa vita, che si nasconde dietro quelle parole, senza giudicare. Come saggiamente consiglia Sant’Ignazio: «È da presupporre che un buon cristiano deve essere propenso a difendere piuttosto che a condannare l’affermazione di un altro. Se non può difenderla, cerchi di chiarire in che senso l’altro la intende; se la intende in modo erroneo, lo corregga benevolmente; se questo non basta, impieghi tutti i mezzi opportuni perché la intenda correttamente, e così possa salvarsi» (Esercizi Spirituali, 22). È tutto un lavoro per capire bene l’altro. E lo ripeto: ascoltare è diverso da udire. Camminando per le strade delle nostre città possiamo udire molte voci e molti rumori, eppure generalmente non li ascoltiamo, non li interiorizziamo e non ci restano dentro. Una cosa è semplicemente udire, un’altra cosa è mettersi in ascolto, che significa anche “accogliere dentro”.

ASCOLTARSI RECIPROCAMENTE

L’ascolto reciproco ci aiuta a vivere il discernimento come metodo del nostro agire. E qui possiamo fare riferimento a Giovanni il Battista. Prima la Madonna che ascolta, adesso Giovanni che discerne. Noi conosciamo la grandezza di questo profeta, l’austerità e la veemenza della sua predicazione. Eppure, quando Gesù arriva e inizia il suo ministero, Giovanni attraversa una drammatica crisi di fede; egli aveva annunciato l’imminente venuta del Signore come quella di un Dio potente, che finalmente avrebbe giudicato i peccatori gettando nel fuoco ogni albero che non porta frutto e bruciando la paglia con un fuoco inestinguibile (cfr Mt 3,10-12). Ma questa immagine del Messia si frantuma dinanzi ai gesti, alle parole e allo stile di Gesù, dinanzi alla compassione e alla misericordia che Egli usa verso tutti. Allora il Battista sente di dover fare discernimento per ricevere occhi nuovi. Il Vangelo ci dice infatti: «Giovanni, che era in carcere, avendo sentito parlare delle opere del Cristo, per mezzo dei suoi discepoli mandò a dirgli: Sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettare un altro?» (Mt 11,2-3). Insomma, Gesù non era come se lo aspettava e, perciò anche il Precursore deve convertirsi alla novità del Regno, deve avere l’umiltà e il coraggio di fare discernimento.

SAPER DISCERNERE

Ecco, per tutti noi è importante il discernimento, questa arte della vita spirituale che ci spoglia della pretesa di sapere già tutto, dal rischio di pensare che basta applicare le regole, dalla tentazione di procedere, anche nella vita della Curia, semplicemente ripetendo degli schemi, senza considerare che il Mistero di Dio ci supera sempre e che la vita delle persone e la realtà che ci circonda sono e restano sempre superiori alle idee e alle teorie. La vita è superiore alle idee, sempre. Abbiamo bisogno di praticare il discernimento spirituale, di scrutare la volontà di Dio, di interrogare le mozioni interiori del nostro cuore, per poi valutare le decisioni da prendere e le scelte da compiere. Scriveva il Cardinal Martini: «Il discernimento è ben altro dalla puntigliosità meticolosa di chi vive nell’appiattimento legalistico o con la pretesa di perfezionismo. È uno slancio d’amore che pone la distinzione tra buono e migliore, tra utile in sé e utile adesso, tra ciò che in generale può andar bene e ciò che invece ora bisogna promuovere». E aggiungeva: «La mancata tensione per discernere il meglio rende spesso la vita pastorale monotona, ripetitiva: si moltiplicano azioni religiose, si ripetono gesti tradizionali senza vederne bene il senso» (Il Vangelo di Maria, Milano 2008, 21). Il discernimento deve aiutarci, anche nel lavoro della Curia, ad essere docili allo Spirito Santo, per poter scegliere gli orientamenti e prendere le decisioni non in base a criteri mondani, o semplicemente applicando dei regolamenti, ma secondo il Vangelo”.

Papa Francesco, 20 nov.2023

domenica 5 dicembre 2021

IL VOLONTARIATO, UNA GRANDE RISORSA


Carta dei Valori 

del Volontariato 

Rispondendo ad una esigenza ampiamente diffusa e variamente formulata, la Fondazione Italiana per il Volontariato e il Gruppo Abele hanno elaborato una proposta di Carta dei valori del volontariato italiano. La carta è ora proposta a tutti i volontari e alle loro organizzazioni, perché ne discutano e diano il loro contributo alla redazione di un testo definitivo, che possa essere punto di riferimento comune per tutto il mondo del volontariato e per tutti coloro che attorno ad esso ruotano.

Rispondendo ad una esigenza ampiamente diffusa e variamente formulata, la Fondazione Italiana per il Volontariato e il Gruppo Abele hanno elaborato una proposta di Carta dei valori del volontariato italiano. La carta è ora proposta a tutti i volontari e alle loro organizzazioni, perché ne discutano e diano il loro contributo alla redazione di un testo definitivo, che possa essere punto di riferimento comune per tutto il mondo del volontariato e per tutti coloro che attorno ad esso ruotano.

 Principi Fondanti

 Volontario è la persona che, adempiuti i doveri di ogni cittadino, mette a disposizione il proprio tempo e le proprie capacità per gli altri, per la comunità di appartenenza o per l’umanità intera. Egli opera in modo libero e gratuito promuovendo risposte creative ed efficaci ai bisogni dei destinatari della propria azione o contribuendo alla realizzazione dei beni comuni.

I volontari esplicano la loro azione in forma individuale, in aggregazioni informali, in organizzazioni strutturate; pur attingendo, quanto a motivazioni, a radici culturali e/o religiose diverse, essi hanno in comune la passione per la causa degli esseri umani e per la costruzione di un mondo migliore.

Il volontariato è azione gratuita. La gratuità è l’elemento distintivo dell’agire volontario e lo rende originale rispetto ad altre componenti del terzo settore e ad altre forme di impegno civile. Ciò comporta assenza di guadagno economico, libertà da ogni forma di potere e rinuncia ai vantaggi diretti e indiretti. In questo modo diviene testimonianza credibile di libertà rispetto alle logiche dell’individualismo, dell’utilitarismo economico e rifiuta i modelli di società centrati esclusivamente sull’"avere" e sul consumismo.
I volontari traggono dalla propria esperienza di dono motivi di arricchimento sul piano interiore e sul piano delle abilità relazionali.

Il volontariato è, in tutte le sue forme e manifestazioni, espressione del valore della relazione e della condivisione con l’altro. Al centro del suo agire ci sono le persone considerate nella loro dignità umana, nella loro integrità e nel contesto delle relazioni familiari, sociali e culturali in cui vivono. Pertanto considera ogni persona titolare di diritti di cittadinanza, promuove la conoscenza degli stessi e ne tutela l’esercizio concreto e consapevole, favorendo la partecipazione di tutti allo sviluppo civile della società.

Il volontariato è scuola di solidarietà in quanto concorre alla formazione dell’uomo solidale e di cittadini responsabili. Propone a tutti di farsi carico, ciascuno per le proprie competenze, tanto dei problemi locali quanto di quelli globali e, attraverso la partecipazione, di portare un contributo al cambiamento sociale. In tal modo il volontariato produce legami, beni relazionali, rapporti fiduciari e cooperazione tra soggetti e organizzazioni concorrendo ad accrescere e valorizzare il capitale sociale del contesto in cui opera.

Il volontariato è esperienza di solidarietà e pratica di sussidiarietà: opera per la crescita della comunità locale, nazionale e internazionale, per il sostegno dei suoi membri più deboli o in stato di disagio e per il superamento delle situazioni di degrado. Solidale è ogni azione che consente la fruizione dei diritti, la qualità della vita per tutti, il superamento di comportamenti discriminatori e di svantaggi di tipo economico e sociale, la valorizzazione delle culture, dell’ambiente e del territorio. Nel volontariato la solidarietà si fonda sulla giustizia.

Il volontariato è responsabile partecipazione e pratica di cittadinanza solidale in quanto si impegna per rimuovere le cause delle diseguaglianze economiche, culturali, sociali, religiose e politiche e concorre all’allargamento, tutela e fruizione dei beni comuni. Non si ferma all’opera di denuncia ma avanza proposte e progetti coinvolgendo quanto più possibile la popolazione nella costruzione di una società più vivibile.

Il volontariato ha una funzione culturale ponendosi come coscienza critica e punto di diffusione dei valori della pace, della non violenza, della libertà, della legalità, della tolleranza e facendosi promotore, innanzitutto con la propria testimonianza, di stili di vita caratterizzati dal senso della responsabilità, dell’accoglienza, della solidarietà e della giustizia sociale. Si impegna perché tali valori diventino patrimonio comune di tutti e delle istituzioni.

Il volontariato svolge un ruolo politico: partecipa attivamente ai processi della vita sociale favorendo la crescita del sistema democratico; soprattutto con le sue organizzazioni sollecita la conoscenza ed il rispetto dei diritti, rileva i bisogni e i fattori di emarginazione e degrado, propone idee e progetti, individua e sperimenta soluzioni e servizi, concorre a programmare e a valutare le politiche sociali in pari dignità con le istituzioni pubbliche cui spetta la responsabilità primaria della risposta ai diritti delle persone.

 Atteggiamenti e Ruoli

  a) I volontari

I volontari sono chiamati a vivere la propria esperienza in modo coerente con i valori e i principi che fondano l’agire volontario. La dimensione dell’essere è per il volontario ancora più importante di quella del fare.

I volontari nell’esercitare il diritto-dovere di cittadinanza costituiscono un patrimonio da promuovere e da valorizzare, sia da parte delle istituzioni che delle organizzazioni che li impegnano. Pertanto, esse devono rispettarne lo spirito, le modalità operative, l’autonomia organizzativa e la creatività.

I volontari sono tenuti a conoscere fini, obiettivi, struttura e programmi dell’organismo in cui operano e partecipano, secondo le loro possibilità, alla vita e alla gestione di questo nel pieno rispetto delle regole stabilite e delle responsabilità.

I volontari svolgono i loro compiti con competenza, responsabilità, valorizzazione del lavoro di équipe e accettazione della verifica costante del proprio operato. Essi garantiscono, nei limiti della propria disponibilità, continuità di impegno e portano a compimento le azioni intraprese.

I volontari si impegnano a formarsi con costanza e serietà, consapevoli delle responsabilità che si assumono soprattutto nei confronti dei destinatari diretti dei loro interventi. Essi ricevono dall’organizzazione in cui operano il sostegno e la formazione necessari per la loro crescita e per l’attuazione dei compiti di cui sono responsabili.

I volontari riconoscono, rispettano e difendono la dignità delle persone che incontrano e si impegnano a mantenere una totale riservatezza rispetto alle informazioni ed alle situazioni di cui vengono a conoscenza. Nella relazione di aiuto essi attuano un accompagnamento riservato e discreto, non impositivo, reciprocamente arricchente, disponibile ad affiancare l’altro senza volerlo condizionare o sostituirvisi. I volontari valorizzano la capacità di ciascuno di essere attivo e responsabile protagonista della propria storia.

I volontari impegnati nei servizi pubblici e in organizzazioni di terzo settore, costituiscono una presenza preziosa se testimoniano un "camminare insieme" con altre competenze e profili professionali in un rapporto di complementarietà e di mutua collaborazione. Essi costituiscono una risorsa valoriale nella misura in cui rafforzano le motivazioni ideali, le capacità relazionali e il legame al territorio dell’organizzazione in cui operano.

I volontari ricevono dall’organismo di appartenenza o dall’Ente in cui prestano servizio copertura assicurativa per i danni che subiscono e per quelli economici e morali che potrebbero causare a terzi nello svolgimento della loro attività di volontariato. Per il principio della gratuità i volontari possono richiedere e ottenere esclusivamente il rimborso delle spese realmente sostenute per l’attività di volontariato svolta.

 b) Le organizzazioni di volontariato

Le organizzazioni di volontariato si ispirano ai principi della partecipazione democratica promuovendo e valorizzando il contributo ideale e operativo di ogni aderente. È compito dell’organizzazione riconoscere e alimentare la motivazione dei volontari attraverso un lavoro di inserimento, affiancamento e una costante attività di sostegno e supervisione.

Le organizzazioni di volontariato perseguono l’innovazione socio-culturale a partire dalle condizioni e dai problemi esistenti. Pertanto propongono idee e progetti, rischiando e sperimentando interventi per conto della comunità in cui operano. Evitano in ogni caso di produrre percorsi separati o segreganti e operano per il miglioramento dei servizi per tutti.

Le organizzazioni di volontariato collaborano con le realtà e le istituzioni locali, nazionali e internazionali, mettendo in comune le risorse, valorizzando le competenze e condividendo gli obiettivi. Promuovono connessioni e alleanze con altri organismi e partecipano a coordinamenti e consulte per elaborare strategie, linee di intervento e proposte socio-culturali. Evitano altresì di farsi carico della gestione stabile di servizi che altri soggetti possono realizzare meglio.

Le organizzazioni di volontariato svolgono un preciso ruolo politico e di impegno civico anche partecipando alla programmazione e alla valutazione delle politiche sociali e del territorio. Nel rapporto con le istituzioni pubbliche le organizzazioni di volontariato rifiutano un ruolo di supplenza e non rinunciano alla propria autonomia in cambio di sostegno economico e politico. Non si prestano ad una delega passiva che chieda di nascondere o di allontanare marginalità e devianze che esigono risposte anche politiche e non solo interventi assistenziali e di primo aiuto.

Le organizzazioni di volontariato devono principalmente il loro sviluppo e la qualità del loro intervento alla capacità di coinvolgere e formare nuove presenze, comprese quelle di alto profilo professionale. La formazione accompagna l’intero percorso dei volontari e ne sostiene costantemente l’azione, aiutandoli a maturare le proprie motivazioni, fornendo strumenti per la conoscenza delle cause dell’ingiustizia sociale e dei problemi del territorio, attrezzandoli di competenze specifiche per il lavoro e la valutazione dei risultati.

Le organizzazioni di volontariato sono tenute a fare propria una cultura della comunicazione intesa come strumento di relazione, di promozione culturale e di cambiamento, attraverso cui sensibilizzano l’opinione pubblica e favoriscono la costruzione di rapporti e sinergie a tutti i livelli. Coltivano e diffondono la comunicazione con ogni strumento privilegiando - dove è possibile - la rete informatica per migliorare l’accesso alle informazioni, ai diritti dei cittadini, alle risorse disponibili. Le organizzazioni di volontariato interagiscono con il mondo dei mass media e dei suoi operatori perché informino in modo corretto ed esaustivo sui temi sociali e culturali di cui si occupano.

Le organizzazioni di volontariato ritengono essenziale la legalità e la trasparenza in tutta la loro attività e particolarmente nella raccolta e nell’uso corretto dei fondi e nella formazione dei bilanci. Sono disponibili a sottoporsi a verifica e controllo, anche in relazione all’organizzazione interna. Per esse trasparenza significa apertura all’esterno e disponibilità alla verifica della coerenza tra l’agire quotidiano e i principi enunciati.

CARTA DEI VALORI

DICHIARAZIONE DEL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA





venerdì 25 dicembre 2020

NATALE. CINQUE PAROLE PER FAR FESTA

Giorni in cui nascere di nuovo e vivere un autentico Natale

 -         di ERNESTO OLIVERO

       

Stiamo vivendo tutti un momento molto complicato. Ci sentiamo più fragili, più vulnerabili. Siamo in un tempo sospeso, ma guai se lo considerassimo tempo perso. In queste ultime settimane mi è capitato di pensare ad altri momenti difficili che abbiamo attraversato. La mente è tornata agli anni 70, alla paura vera che provocava il terrorismo. In una città come Torino ogni giorno qualcuno veniva colpito. Quanto dolore, quante famiglie spezzate, quanto sangue! Vivevamo un senso profondo di incertezza, ci chiedevamo quando tutto sarebbe finito. In quegli anni complicati sentii che non potevamo permetterci di rinunciare alla speranza. Ci inventammo così degli incontri pubblici, di solito nelle piazze, chiedendo alla gente di venire, di rompere il cerchio della paura, di gridare con il loro silenzio, di pregare con noi. Li chiamammo 'Pomeriggi di speranza' e non era una proposta consolatoria. Io vedevo il terrorismo già finito, sentivo che dovevamo raccogliere le energie migliori per ricostruire il dopo, per rimarginare certe ferite. La profezia di un arsenale di guerra trasformato in Arsenale della Pace in fondo è stata uno dei frutti di quella stagione.

Oggi siamo in una situazione diversa, è sbagliato fare confronti. Eppure, come allora, sento che dobbiamo cominciare a pensare al mondo che verrà. Nessuno si senta escluso! Ognuno faccia ricorso ai propri ideali, alla propria creatività, alle migliori risorse interiori e si chieda concretamente che cosa è disposto a fare. Riscoprire per esempio la nostra responsabilità pubblica, rilanciare il nostro impegno per il bene comune. A livello mondiale, riflettere di più sulle persone a cui affidiamo responsabilità, sulle scelte in tema di ecologia, di immigrazione, di sviluppo, di pace. Avere il coraggio di rilanciare la lotta contro le ingiustizie, contro la fame, contro le disuguaglianze. Chiedere un intervento serio in tema di cambiamenti climatici. Il mondo ci appartiene, è la nostra casa non ne abbiamo un’altra. Il cortocircuito del Covid può essere una lezione che bussa alla nostra porta, per ritrovare l’essenza del nostro vivere.

Credo che in questo tempo più che mai abbiamo bisogno di riscoprire e vivere cinque parole che, se accolte, possono cambiarci, maturaci, renderci migliori: trasparenza, gratuità, disponibilità, passione, fraternità.

Trasparenza: in ogni ambito della nostra vita personale e comunitaria, che significa onestà, mai più ruberie, autenticità, integrità della nostra persona...

Gratuità: uno spazio, un tempo e qualcosa di noi stessi da condividere, perché tutto abbiamo ricevuto da Dio e tutto può essere diviso.

Disponibilità: perché la gente ha bisogno di trovare un porto sicuro, persone pronte all’ascolto, a non guardare l’orologio, a farsi interpellare da 'imprevisti' che possono diventare appuntamenti con noi stessi, con la storia, con Dio.

Passione: la scintilla che non ci farà essere tiepidi e indifferenti, ma pronti a metterci in gioco veramente, pagando di persona se necessario, con un fuoco sempre acceso dentro, alimentato da grandi ideali.

Fraternità: il modello di vita dei primi cristiani, un esempio attualissimo in un tempo in cui ci siamo riscoperti tutti interconnessi. Un mondo fraterno dipende solo da noi.

Se cominceremo a vivere tutto questo, camminando scopriremo sempre di più anche la presenza di Dio: la sintesi di una vita intera. Il Natale ce la mostra con una sfumatura particolare. Dio è con noi, ma sceglie di nascere in povertà, è indifeso, fragile, manca di tutto, ha bisogno di noi. Noi possiamo amarlo e prenderci cura di Lui, desiderando con tutte le forze di cambiare vita, ora, subito per mostrare che è possibile volersi bene, è possibile perdonarsi, è possibile trovare il buono e il bello nell’altro che irrompe nella mia esistenza, perché ogni cosa che accade è una ricchezza possibile. Se fossimo saggi, faremmo a gara per nascere di nuovo e finalmente vivere il nostro autentico Natale.

 

www.avvenire.it

 

 

sabato 14 luglio 2018

INVIATI A FARE DEL BENE

“In quel tempo, Gesù chiamò a sé i Dodici e prese a mandarli a due a due e dava loro potere sugli spiriti impuri. E ordinò loro di non prendere per il viaggio nient'altro che un bastone: né pane, né sacca, né denaro nella cintura; ma di calzare sandali e di non portare due tuniche. E diceva loro: «Dovunque entriate in una casa, rimanetevi finché non sarete partiti di lì.
 Se in qualche luogo non vi accogliessero e non vi ascoltassero, andatevene e scuotete la polvere sotto i vostri piedi come testimonianza per loro». Ed essi, partiti, proclamarono che la gente si convertisse, scacciavano molti demoni, ungevano con olio molti infermi e li guarivano”.

Commento di p. Alberto Maggi.
 L'insuccesso nella sinagoga di Nazareth dove Gesù non è stato creduto e ha potuto compiere solo pochi gesti non solo non scoraggia Gesù, ma lo porta ad intensificare la sua attività con modalità differenti. È il capitolo sesto dal versetto 7 al 13, ma c'è un breve versetto che è stato omesso dalla versione liturgica che è importante. Scrive l'evangelista che Gesù percorreva i villaggi insegnando, cosa significa questo? Gesù non mette più piede in una sinagoga. Ormai si è reso conto che i luoghi di culto, i luoghi religiosi sono refrattari all'azione dello Spirito.
               Allora è inutile perdere tempo in quegli ambienti, ma va nei villaggi, cioè nei luoghi dell'emarginazione, nei luoghi della povertà. E questa volta chiamò a sé i Dodici, il dodici rappresenta il numero dei discepoli che in sé raffigura il nuovo Israele e prese a mandarli, dal verbo greco mandare viene la parola apostolo, che non indica un titolo, ma un'attività, è quella di essere inviati, a due a due, non li manda da soli, ma a due, devono essere una comunità che esprime un messaggio, e dava loro potere, cioè autorità, sugli spiriti impuri.
               Lo spirito impuro è già apparso in questo vangelo quando Gesù per la prima volta proprio in una sinagoga ha provato ad annunziare il suo messaggio. Lo Spirito è una forza, quando viene da Dio si chiama Santo, non soltanto per la sua qualità eccelsa, ma per la sua attività di separare le persone dal male; quando viene da realtà contrarie a Dio si chiama impuro.
               Allora Gesù dà loro potere sugli spiriti impuri, questa espressione ha un duplice significato, sia quello ovvio di liberare le persone da questi spiriti, cioè da queste ideologie nazionaliste, religiose, che impediscono di accogliere la buona notizia di Gesù, ma sia di lavorare su se stessi perché per liberare bisogna essere pienamente liberi.
E ordinò, è l'unica volta che Gesù ordina qualcosa ai discepoli, quindi significa che trova resistenza di non prendere per il viaggio nient'altro che un bastone e i sandali, cioè quello che serve per il camminare Gesù chiede i discepoli che lo prendano. Ma poi Gesù dice di non portare né pane né sacca, era la sacca, la bisaccia tipica del mendicante, né denaro nella cintura, cosa significa? Devono essere persone pienamente libere, devono essere dei signori, devono pienamente fidarsi della ricchezza del messaggio che vanno a portare, signori liberi, ma non ricchi.
               Per questo Gesù dice non portare due tuniche, due tuniche era l'abbigliamento dei ricchi. Quello che sei non deve smentire il messaggio che annuncia. Gesù non indica quello che devono dire, ma come devono essere: portatori della buona notizia. E questa libertà deve essere anche interiore. E Gesù continua affermando dovunque entrate in una casa rimanetevi.
               Gli ebrei quando erano in viaggio chiedevano di essere ospitati soltanto a casa di altri ebrei, possibilmente osservanti, per essere sicuri delle regole rituali del puro e dell’impuro. Gesù chiede di essere liberi da tutto questo, di andare nelle case così come sono e li rimanere perché per liberare devono essere pienamente liberi di questi tabù, di queste superstizioni. Finché non sarete partiti da lì.
Ma, avverte Gesù, se in qualche luogo non vi accogliessero e non vi ascoltassero andatavene e scuotete la polvere sotto i vostri piedi come testimonianza per loro o meglio contro di loro. Era tipico degli ebrei, quando andavano in terra pagana, rientrare in terra d'Israele di scuotere la polvere dai loro sandali per non portare nulla di impuro nella loro terra.
               Allora cosa sta dicendo Gesù? Sta cambiando l'idea del pagano. Chi è il pagano? Per la religione il pagano è colui che crede in altre divinità, per Gesù il pagano è colui che è incapace di accogliere, è colui che incapace di ospitare. Ebbene, la conclusione, che questi discepoli partiti proclamarono che, s’intende la gente anche se non c'è nel testo, si convertisse, quindi il cambiamento di vita, scacciavano molti demoni, liberavano da tutte queste ideologie che rendevano le persone refrattarie all'accoglienza della buona notizia di Gesù.
               E l'ultimo particolare è importante perché non si curano soltanto della parte spirituale, ma di tutta la persona, l'integrità di tutto l'essere umano. Gesù ha a cuore questo, e ungevano con olio molti infermi e li guarivano. Questo è il primo ritratto dell'attività dei discepoli. Vedremo poi la prossima volta se Gesù è stato contento o no di questa loro attività.


(tratto da www.ildialogo.org)