sabato 30 novembre 2024

ATTESA e SPERANZA


Risollevatevi  
e alzate il capo»


Prima domenica di Avvento

Ger 33,14-16; Sal 24 (25); 1Ts 3,12-4,2; Lc 21,25-28.34-36

 Commento di Ester Abbattista*

 Con questa domenica inizia il tempo di Avvento e anche un nuovo anno liturgico, l’anno C, in cui sarà il Vangelo di Luca ad accompagnarci nelle riflessioni domenicali.

Come per domenica scorsa, anche il testo di questa domenica non è tra i più semplici, proprio per il suo stile apocalittico a cui non siamo più così abituati. Lo erano di più i primi lettori del testo evangelico, che coglievano in quelle parole un messaggio di speranza e l’annuncio di un imminente ritorno del Signore: l’arrivo glorioso di un re universale, circondato dalle sue schiere angeliche, che, venuto dal cielo, ristabilisce la giustizia e la pace.

L’attesa di questa venuta, inoltre, proprio secondo il testo di Luca, non è qualcosa di passivo, ma implica una partecipazione attiva: «Risollevatevi e alzate il capo». In questo modo ciò che sembra essere catastrofico in realtà si rivela vitale: la speranza può rinascere perché quello che si sta avvicinando non ha più nulla di spaventoso: «Perché la vostra liberazione si avvicina».

 La salvezza attesa

L’idea è che la salvezza attesa, che la prossima venuta realizzerà in pieno, è una liberazione personale e sociale, il rinnovamento del corpo e dell’anima, la fine di ogni iniquità e oppressione, l’instaurazione della giustizia e della pace e, non in ultimo, il capovolgimento di ogni realtà di male e di morte. E a tutto questo bisogna prepararsi fin da ora: «State attenti a voi stessi, che i vostri cuori non si appesantiscano in dissipazioni, ubriachezze e affanni della vita e che quel giorno non vi piombi addosso all’improvviso».

Se tutto questo poteva essere percepito come un futuro immediato subito dopo la morte e risurrezione di Gesù e nei primi anni di vita del suo movimento – che fin dagli inizi aveva assunto un carattere missionario espandendosi in tutto il Mediterraneo –, con il passare dei decenni, dei secoli, finisce con l’essere percepito molto poco o forse per nulla.

Il cosiddetto ritardo della parusia, cioè del ritorno del Messia glorioso e dell’instaurazione definitiva del regno di Dio, ha avuto un effetto di «declino» sulla dimensione dell’attesa/speranza da parte dei credenti, il cui orizzonte non è più proteso verso il compimento, la definitiva venuta, la pienezza, ma verso il prossimo presente, spesso e volentieri appesantito da uno sguardo rivolto verso il basso, incapace di guardare un «oltre» al di là del proprio confine; che si tratti di un confine relativo alla propria persona o alle proprie categorie di giudizio o, addirittura, alle proprie «verità di fede».

Persino l’Avvento, questo tempo liturgico che dovrebbe ricordare al credente la definitiva venuta del Signore e risvegliare così la dimensione dell’attesa e della vigilanza, si è ormai ridotto, nella convinzione di tanti, a un semplice preludio alla festa del Natale. Un Natale visto non più come il segno storico della prima venuta, di cui far memoria proprio perché fondante l’attesa del compimento e della definitiva venuta, ma come un evento in sé, concluso e, purtroppo, ormai sradicato dal suo contesto storico-religioso, ridotto a mero strumento ideologico o ad appuntamento consumistico.

Alzare lo sguardo

In realtà anche oggi, come in ogni momento della storia, abbiamo bisogno di alzare lo sguardo e di recuperare questa dimensione della vigilanza, proprio perché è questo il respiro vitale che può alimentare la nostra fede e allargare i confini dei nostri orizzonti, dei nostri giudizi e delle nostre scelte, ricevendo e accogliendo quel coraggio di cui abbiamo tanto bisogno.

L’Avvento, dunque, come tempo di speranza e di attesa, è un tempo santo, che ci ricorda l’«oltre» di Dio, che spalanca davanti a noi l’ultimo e definitivo orizzonte non solo della nostra vita e della nostra realtà, ma di tutte le vite e della storia dell’umanità, tutta intera.

Come postilla, una riflessione su queste due parole: attesa e speranza. In ebraico attendere e sperare sono uniti insieme da un’unica radice verbale, proprio perché non si può sperare in qualcosa se allo stesso tempo non la si attende, e non si può attende qualcosa se non si spera che avvenga.

 L’Avvento, allora, ci ricorda proprio questo: la fede è uno sperare/attendere che si basa su una certezza: il Messia, il Salvatore del mondo, è venuto e verrà in pienezza.

 *Biblista, Facoltà Teologica del Triveneto

 Il Regno

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