Bisogna ripartire dalla parola.
Un
Paese si giudica da come tratta la scuola e il nostro la tratta male»
-
«Gli episodi di violenza
sempre più frequenti nella scuola sembrerebbero dare ragione a chi vorrebbe
ripristinare la severità precedente al ’68, ma non è così semplice». Lo
psicoanalista Massimo Recalcati, 64 anni, milanese, interviene al Social
Festival Comunità Educative alle Gallerie d’Italia di Torino definendo «follia
il pensiero nostalgico, perché intanto la scuola e la famiglia prima del ‘68
non funzionavano. Il padre decideva per tutti e la scuola prolungava questo
modello fuori di casa con lo spegnimento di ogni pensiero critico e
fantasia. Il ’68 ha dato diritto di parola alle donne e ai giovani, poi
non siamo ciechi e sappiamo che si è buttato via il bambino con l’acqua sporca per
cui ora si tratta di riequilibrare ma senza idealizzare il passato».
L’autorità
Anche perché, spiega Recalcati, «ripristinare l’autorità è impossibile, ma
bisogna ripensarla. La risposta breve è quella reazionaria invocando Dio,
patria e famiglia come in tutti i fondamentalismi. L’Occidente invece ha il
compito di riempire l’autorità in modo nuovo senza tornare indietro. Ma come
faccio a farmi ascoltare se il mio ruolo simbolico di insegnante non è più
sufficiente? Bisogna ripartire dalla parola, dall’interesse, dalla sfida allo
smartphone per mostrare con la propria azione quotidiana, con una semina di
lungo periodo, che questa vita può essere vissuta con desiderio».
Lo psicoanalista sfida i
profeti del nichilismo: «Non è che se non c’è più l’idea di futuro allora manca
il desiderio. Esattamente il contrario. Quando un figlio viene vaccinato con la
potenza del desiderio, diceva Pasolini, allora gli si apre il futuro.
Altrimenti ci accasciamo tutti in un nichilismo indistinto. Ai giovani,
alla generazione Covid che non esiste, offriamo psicologi, antidepressivi,
viagra, ma invece bisogna dare loro il ricambio generazionale, responsabilità,
non il lamento di Cassandra».
Il Paese e la scuola
Stimolato dalle domande
del vicedirettore de La Stampa Gianni Armand Pilon, che
ricorda l’ex assessore e insegnante Fiorenzo Alfieri, critico sull’abbassamento
del livello scolastico per raggiungere gli strati popolari, Recalcati chiarisce che «un Paese si giudica da come
tratta la scuola e il nostro la tratta male. Ci sono stati tentativi di
riforma, ma di fatto il mestiere dell’insegnante gode di poco prestigio.
Viviamo una proletarizzazione e un disconoscimento di questa professione, come
per gli operatori sanitari. Detto ciò, devo dire che io farei una selezione
meritocratica per allontanare quegli insegnanti indecenti che anche i miei
figli hanno avuto. Bisognerebbe affrontare un certo conservatorismo anche
sindacale. E quando c’era il governo Renzi si perse l’occasione di una riforma
che coinvolgesse gli insegnanti con degli stati generali». Per la stessa
ragione lo psicoanalista si dice favorevole al voto in condotta: «Viene
sostenuto dal ministro Valditara, che non gode di particolare mia stima e
ammirazione, ma è giusto. Il rispetto deve avere un valore. Un pensiero di
destra? No, ovvio. È sufficiente a considerare Valditara illuminato? Neppure.
Un sindaco che si occupa di sicurezza è di destra? Neanche, per esempio a
Milano c’è un problema enorme con Sala che io ho votato e che non si assume
completamente la responsabilità di questo problema. Se si vede l’esercito in
strada è militarizzazione? No, solo sicurezza. Eppure, meritocrazia e sicurezza
sono ancora tabù per parte della sinistra».
Si parla di scuola e non
si può non toccare il tema del bullismo. Secondo Recalcati «abbiamo perso di vista la differenza tra il
senso della legge e il rispetto delle regole. Tutti invochiamo il secondo, ma
senza il primo non funziona. Moltiplichiamo le regole perché non c’è il senso
della legge, e cioè del limite, del non tutto: non si può fare o essere tutto.
Dal passare col rosso in su. Il bullismo si diffonde nonostante le regole
perché non c’è senso della legge nelle famiglie e nelle istituzioni. E anche
qui non serve un bastone per riportarlo, ma un incentivo. La violenza, non
solo per le guerre ma in generale, ha preso il posto della parola. Dove
c’è violenza c’è sempre debolezza della parola, della politica, della
democrazia. La scuola dovrebbe imporre la legge della parola e la rinuncia
della violenza. La democrazia non a caso è il lutto dell’uno, è fatta di
continui passaggi attraverso il discorso degli altri, è fatica».
Il ruolo del maestro
Recalcati ragiona anche sul ruolo del maestro: «Nel
film Parthenope di Sorrentino, che ho amato molto, il professore interpretato
da Silvio Orlando alla domanda su cosa sia l’antropologia risponde con il verbo
“vedere”. Ma per vedere ci vuole la luce. Il presupposto di ogni conoscenza è
la luce, che dimentichiamo quando parliamo di scuola a partire dall’azienda.
L’autorevolezza di un maestro non dipende dall’esercizio di un potere, ma dalla
sua capacità di illuminare. L’altro significato della scuola è accendere il desiderio,
fuochi o il fuoco del desiderio. Non è dispensare nozioni, ma mettere in
movimento la vita, renderla viva. Possiamo fare l’elogio di un maestro quando
la sua azione non si limita a trasmettere sapere, bensì mette in moto la vita».
Ma come fa la vita dei nostri figli, si chiede lo psicoanalista, ad acquisire
una forma, una formazione singolare? «Accade quando il desiderio diventa un
dovere, superando la tradizionale separazione dal piacere. E se provassimo a
pensare che il vero dovere sarebbe vivere coerentemente col nostro desiderio».
Nessun commento:
Posta un commento