In quel tempo 38 Gesù
diceva nel suo insegnamento: «Guardatevi dagli scribi, che amano passeggiare in
lunghe vesti, ricevere saluti nelle piazze, 39avere i primi
seggi nelle sinagoghe e i primi posti nei banchetti. 40Divorano
le case delle vedove e pregano a lungo per farsi vedere. Essi riceveranno una
condanna più severa». 41Seduto di fronte al tesoro, osservava
come la folla vi gettava monete. Tanti ricchi ne gettavano molte. 42Ma,
venuta una vedova povera, vi gettò due monetine, che fanno un soldo. 43Allora,
chiamati a sé i suoi discepoli, disse loro: «In verità io vi dico: questa
vedova, così povera, ha gettato nel tesoro più di tutti gli altri. 44Tutti
infatti hanno gettato parte del loro superfluo. Lei invece, nella sua miseria,
vi ha gettato tutto quello che aveva, tutto quanto aveva per vivere».
Il brano evangelico di
questa domenica si compone di due brevi racconti che narrano scene molto
diverse tra loro. Un elemento di aggancio, suggerito da alcuni esegeti, è
puramente formale: la menzione delle vedove derubate dagli scribi (v. 40) e di
una vedova che Gesù loda perché capace del vero dono (v. 44).
Ma collocati l’uno
accanto all’altro questi due episodi sono proposti per un confronto, per
coglierne gli opposti atteggiamenti che denotano. Nella prima scena degli
scribi dai quali Gesù chiede ai discepoli di guardarsi (v. 38); nella seconda,
una vedova povera che invece il Maestro indica loro come esempio (v. 43). Si
tratta dunque di guardarsi dai primi e di imitare l’ultima.
Diversamente dagli altri
vangeli, Marco non si dilunga in critiche nei confronti degli scribi. Nel
secondo vangelo non abbiamo le articolate requisitorie presenti negli altri due
vangeli Sinottici (Mt 23,1-36 e Lc 11,37-52; 20,45-47). Tuttavia, nella sua
essenzialità, anche il Gesù raccontato da Marco coglie e mette in guardia da
quella che considera una tentazione frequente nell’uomo religioso di ogni
tempo, latitudine e credo: occupare il centro e servirsi anziché servire.
Esattamente l’opposto di quello che la vedova farà, secondo quanto narrato nel
seguito del racconto.
Degli scribi, che pure
sono gli esperti della Torah, Gesù sottolinea come con il loro atteggiamento
tradiscono quanto insegnano. Mette in luce innanzitutto il loro bisogno di
visibilità, che si esprime in atteggiamenti che egli enumera: “passeggiare in lunghe
vesti”; “ricevere i saluti nelle piazze” (v. 38); “avere i primi seggi nelle
sinagoghe e i primi posti nei banchetti” (v. 39). E poi la loro avidità di
beni: “Divorano le case delle vedove”; e di prestigio religioso: “Pregano a
lungo per farsi vedere” (v. 40).
Queste osservazioni
giungono, non a caso, a conclusione di una serie di incontri di Gesù con le
autorità, che Marco ha appena narrato, dove si è consumata una incomunicabilità
quasi totale. Solo di uno di loro, infatti, Gesù ha potuto apprezzare la sincerità,
dichiarandone la vicinanza al Regno di Dio (12,28-34). Ora è come se
evidenziasse le cause profonde di quella irriducibile distanza, di cui danno
conto gli atteggiamenti esteriori qui elencati, segno di quello che essi
cercano in verità: appariscenza, onori, ricchezze, prestigio spirituale. Ecco
ciò che li porta a tradire la loro missione.
Queste parole sono
pronunciate da Gesù presumibilmente mentre si trova nel tempio, e proprio lì a
un certo punto scorge qualcos’altro: “Seduto di fronte al tesoro, osservava
come la folla vi gettava monete. Tanti ricchi ne gettavano molte: ma venuta una
vedova povera…” (v. 41-42). Siamo ancora nel tempio animato dalle attività
usuali: qui le offerte e i tanti che danno molto, “del loro superfluo”, come
Gesù dirà più avanti (v. 44).
Ma proprio lì Gesù si
accorge anche del gesto di qualcuno di cui il racconto sottolinea l’irrilevanza
sociale, la fragilità e la povertà. Si tratta di una donna, vedova dunque
appartenente a una delle categorie più fragili, e povera cioè indigente, tratto
ribadito per tre volte (v. 42, 43 e 44).
Gesù vede quel gesto ed è
come se il suo sguardo lo salvasse dall’oblio. Nessuno sembra vederlo né
apprezzarlo, lui sì, e ne parla ai suoi discepoli, con un’introduzione solenne:
“In verità io vi dico…” (v. 43).
Li invita così a un’arte
difficile e preziosa: leggere oltre l’apparenza. Dice infatti: “Questa vedova,
così povera, ha gettato nel tesoro più di tutti gli altri” (v. 43). Chiede ai
discepoli di non fermarsi all’esteriorità, ma a comprendere il valore dalle
cose a partire da ciò da cui nascono. Il riferimento agli scribi appena
criticati è evidente: loro sono visti e credono di valere per la loro
visibilità; la vedova non è notata da nessuno all’infuori di Gesù, ma il valore
del suo gesto è dato proprio da ciò che non si vede, dal fatto che coinvolge la
sua stessa vita. Gesù infatti dirà: “Tutti hanno gettato nel tesoro del loro
superfluo. Lei invece, nella sua miseria (o anche: “nella sua mancanza”), vi ha
gettato tutto quello che aveva, tutto quanto aveva per vivere (o anche: “tutta
la sua vita”)” (v. 44).
La differenza è tutta qui
e il valore di un’esistenza è in questo: mettersi in gioco con la propria vita,
fino a metterla a repentaglio come fa la vedova, oppure limitarsi
all’apparenza, senza lasciarsi scalfire nel profondo, fermarsi al superfluo,
cioè a quello che vi sia o non vi sia cambia poco.
La vedova del tempio
insegna anche che le cose non valgono perché viste ma perché vissute. Lei non
ha udito quello che Gesù ha detto di lei. Ha fatto il suo gesto nell’anonimato
e in estrema semplicità. Forse anche di nascosto e con un senso di vergogna,
per non poter dare quanto i ricchi. Non si dice neppure che sia diventata
discepola di Gesù. Ma importante è il valore che Gesù riconosce al suo gesto.
Il valore di un piccolo atto di cui il Signore custodisce la grandezza.
Inoltre è interessante
notare che questa scena di luce sia ambientata nel tempio. Quel luogo dal quale
Gesù era uscito, “essendo l’ora ormai tarda” (11,11); quel luogo che aveva
trovato affollato di venditori, di cambiavalute e di gente che lo usava come
scorciatoia e che lui purifica (11,15-19); quel luogo in cui aveva affrontato i
capi che lo sfidavano per metterlo in difficoltà e poi i farisei e gli erodiani
e ancora i sadducei (11,27-12,27); proprio in quel luogo ostile e ormai
contaminato e votato alla distruzione, c’è anche questo segno di speranza, a
ricordare che anche ciò che sembra irrimediabilmente compromesso può ospitare
la luce e il bene, e soprattutto che non vi sono situazioni in cui nulla ha più
valore.
Il piccolo gesto di una
povera vedova è per Gesù non solo segno di un bene che non è completamente
venuto meno, di un’autenticità che la vanità tracotante dei capi non ha
travolto e impedito, ma diventa anche per lui, per la sua persona, un’immagine
che lo conforta e lo incoraggia in quello che sta per vivere: il dono della sua
vita, in un contesto distratto e ostile.
La vedova è infatti per
Marco immagine del discepolo e della comunità credente, ma qui è anche e
soprattutto immagine del Povero che sta per deporre “tutta la sua vita”,
nell’indifferenza più totale di coloro per la cui salvezza egli si offre.
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