Virgilio nella Divina Commedia
Ecco le cinque caratteristiche
decisive per chi educa:
il senso di missione,
il lavoro di squadra,
l’empatia verso gli allievi,
una morale senza moralismo,
la
capacità di lasciare andare.
L’importanza
di trasmettere valori capaci di indirizzare i giovani verso il traguardo
dell’indipendenza.
-
Virgilio
è inviato dal cielo per una missione. Missione è una parola bellissima e
fortissima che, come tutte le parole potenti, suscita dibattito. Si è più volte
discusso, ad esempio, se l’insegnamento sia un lavoro o una missione. C’è chi
afferma che sia un lavoro, che parlare di missione sia fuorviante, da un lato
perché si carica di una idealità eccessiva quello che ha il diritto di restare
un mestiere, dall’altro perché, con la storia della missione, si vorrebbero
evitare altre scomode discussioni legate alla qualità della vita e al livello
salariale dei docenti. Non entro qui in un dibattito complesso, che meriterebbe
ben altro spazio; dico che però sarebbe proprio bello se chiunque, non solo gli
insegnanti e gli educatori, vivessero il loro lavoro come una missione:
l’operatore ecologico, il dirigente pubblico, il banchiere, l’imprenditore, il
muratore, il medico, e chi più ne ha, più ne metta. Tutti, col nostro lavoro,
siamo chiamati alla missione di donarci agli altri e quindi a salvare un pezzo
di mondo. Come Virgilio, che con la sua missione salva Dante. E Dante racconta
di lui, e i versi di Dante arrivano fino a noi e salvano un po’ anche noi.
In
secondo logo, un educatore è qualcuno che gioca in squadra. Non c’è nulla di
più dannoso dell’invidia in una equipe educativa. Non c’è niente di più ferale
della gelosia in un consiglio di classe. Invidia e gelosia portano a sviluppare
ego ipertrofici, a vedere le classi come proprio possesso, gli allievi come
potenziali seguaci, i colleghi come avversari su cui primeggiare. Basta una
critica scorretta a un collega di fronte a una classe di adolescenti per
gettare il seme della zizzania, per diffondere sfiducia, per distruggere ore e
ore di educazione civica in cui si è parlato di rispetto reciproco. Siamo tutti
al servizio di chi ci è affidato. Siamo tutti utili, ma nessuno è
indispensabile. Siamo una squadra: ognuno deve giocare nel suo ruolo, con
umiltà. Virgilio lo sa benissimo e lo dice subito a Dante nel primo canto
dell’Inferno, parlando delle “beate genti”, le anime del Paradiso, che lui non
potrà mostrargli: A le quai poi se tu vorrai salire, anima fia a ciò
più di me degna: con lei ti lascerò nel mio partire.
Sarà
un’altra anima a condurti nel regno dei beati. Sarà Beatrice. Lei è più degna
di me. Io ho il mio compito, lei il suo.
Non
c’è ombra di risentimento in queste nobilissime parole. In terzo luogo,
l’educatore è capace di concreti gesti di cura. Non è un istruttore freddo; è
uno che sente l’altro nel profondo, è una persona empatica. È felice con il suo
allievo, soffre con lui nelle difficoltà. Non si limita a spiegare cosa bisogna
fare, ma si mette in gioco in prima persona; si compromette, si fa carico del
prossimo.
Virgilio
a volte rimprovera Dante aspramente, però gli vuole bene e non lo molla mai
nella difficoltà. All’ingresso dell’Inferno Dante è terrorizzato. Siamo nel
canto III, è il momento di fare il primo passo nel buio della dannazione,
e Virgilio fa un gesto di tenerezza infinita: prende la mano a Dante, gli
mostra un volto lieto, probabilmente gli sorride: E poi che la sua
mano a la mia puose con lieto volto, ond’io mi confortai, mi mise dentro a le
segrete cose.
Da
prof ho sperimentato tante volte che tra un recupero e un
mancato recupero, tra un successo scolastico e un fallimento c’è
una linea molto sottile. Se trovi un insegnante che ti stronca, di
cui percepisci la disistima, che di distrugge a parole, parti
già penalizzato. Se trovi un insegnante che ti incoraggia, che crede in
te, che ti supporta pur senza regalarti niente, magari anche tu finisci per
credere che ce la puoi fare, e magari ce la fai davvero. In quarto luogo,
l’educatore non è un moralista, ma ha una forte etica, che tenta di incarnare
in una coerente condotta morale. L’educatore non può essere uno spietato
censore: deve porsi in ascolto, deve accogliere le fragilità, deve accettare
che il cammino di crescita comporta sia passi avanti che cadute. Crescere è un
cammino imperfetto, ma graduale e progressivo, fatto di condizionamenti
difficili da sconfiggere, ma anche di liberanti salti di qualità. Il moralista
mette al primo posto l’ideale e lo usa come un letto di Procuste per
distruggere le persone. Un educatore, invece, mette la persona al primo posto,
accoglie la sua storia, ha uno sguardo di misericordia.
Con
il vizio che distrugge, però, l’educatore è inflessibile. Nell’VIII canto
dell’Inferno, nella palude Stigia, Dante incontra l’iracondo fiorentino Filippo
Argenti. Costui si chiamava in realtà Filippo Adimari, ma era
soprannominato “Argenti” perché ostentava a tal punto la sua ricchezza da
ferrare con l’argento gli zoccoli del suo cavallo. Avversario politico di
Dante, è l’incarnazione della spietata arroganza della ricchezza che, secondo
il poeta, distrugge la società. Tema attualissimo, peraltro: gli Argenti di
oggi sono quelli che misurano le persone sulla base del conto corrente, della
fama, del numero di like; coloro che ritengono vi siano esseri umani di serie A
e di serie B e che si credono tra i dominatori del mondo. Dante, contro
Argenti, si mostra spietato: lo maledice, infierisce contro di lui a parole. Di
fronte a questo atteggiamento, Virgilio abbraccia Dante, lo bacia, lo loda con
espressioni quasi religiose, dice che la stessa madre di Dante è benedetta per
essere rimasta incinta di lui: Lo collo poi con le braccia mi cinse;
basciommi ’l volto e disse: ‘Alma sdegnosa, benedetta colei che ’n te
s’incinse!
La
reazione sembra esagerata, ma Argenti è qui il simbolo di tutti quegli
atteggiamenti che più profondamente dividono la società, togliendo dignità agli
esseri umani. Atteggiamenti dai quali l’educatore deve mettere in guardia
duramente: se l’io prevale sul noi, tutte le relazioni risultano minate.
Infine, l’educatore è qualcuno che sa che il suo compito ha un inizio e una
fine. Il grande educatore non rende gli altri dipendenti da sé, ma desidera la
loro autonomia. Non pretende di tenere i suoi allievi sempre con sé: il suo
obiettivo è che vadano avanti per loro conto. L’educatore ti vuole così bene da
sapere che il suo successo è completo quando tu sai camminare da solo.
L’educatore vince quando tu sai fare a meno di lui. È ciò che avviene alla fine
dell’ascesa del Purgatorio, nel XXVII canto. Sulla soglia del giardino
dell’Eden, Virgilio saluta per sempre Dante con parole di immensa grandezza, le
sue ultime nella Commedia: Non aspettar mio dir più né mio cenno;
libero, dritto e sano è tuo arbitrio, e fallo fora non fare a suo senno: per
ch’io te sovra te corono e mitrio.
Sei
tu il re di te stesso, hai tu in mano il timone della tua vita. Ora puoi
andare, tocca a te: non ti servono più le mie parole e le mie
indicazioni. Ricordo una strepitosa collega, che regalò questi versi a una
quinta superiore a cui era legatissima, proprio l’ultimo giorno di scuola
insieme. Ci furono pianti e abbracci. Certamente c’era la sensazione di un
tempo passato e irreversibile. C’era il dolore per la fine di una storia
insieme. Ma a prevalere era la gratitudine: ragazze e ragazzi capivano benissimo
che quella prof non li stava abbandonando. Col suo passo indietro, stava
facendo loro il dono più grande: la libertà di essere ciò che desideravano.
Anche
Dante lo capisce e, pur nel dolore, quando si rende conto che Virgilio se n’è
andato, lo chiama “dolcissimo patre”. Perché un padre resta per sempre, anche
quando non c’è più.
È
allo stesso tempo duca, signore e maestro Così la guida di Dante incarna un
modello di educazione che va oltre la semplice trasmissione della conoscenza.
** Marco Erba è nato in provincia di Milano nel 1981. Dopo la maturità classica e la laurea in lettere, ha lavorato per anni come giornalista di cronaca e come addetto stampa. Dal 2007 è insegnante di lettere in un liceo. La sua attività di scrittore nasce tra i banchi di scuola, nella relazione quotidiana con i ragazzi e con le loro vite. I suoi studenti sono stati i suoi primi editor.
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