della cristianità
oltre il Dio
dei muri
e delle divisioni
e la società
che si è sempre più
incattivita
Estratto dell'intervista di Paolo Rodari
Dopo mesi non facili, Enzo Bianchi è tornato anche alla scrittura, dando alle stampe un nuovo lavoro per Einaudi intitolato “Fraternità”. Elemento più trascurato dei tre coniati dalla rivoluzione francese, la fraternità è per Francesco - che del volume firma la prefazione - «resistenza alla crudeltà del mondo». Perché, dice, «da quando c’è l’umanità Polemos, il demone della guerra, è presente e si manifesta nella rivalità che giunge alla negazione, all’uccisione dell’altro come rivela il fratricidio di Abele da parte di Caino».
«Purtroppo,
pensiamo che la fraternità sia un dato di fatto naturale, perché si nasce
fratelli, perché qualcuno viene al mondo e ha un fratello, una sorella, prima
di lui o dopo di lui. Ma in realtà tutta la storia ci mostra che questa
fraternità naturale facilmente accede alla rivalità, alla concorrenza e quindi
alla violenza, fino all’uccisione del fratello, come raccontano i miti di tutte
le culture. Non solo nella Bibbia - Caino e Abele - ma anche nella cultura
romana - Romolo e Remo -, in quella greca, in quella babilonese c’è sempre il
fratricidio. Si arriva proprio da fratelli, tra fratelli e sorelle, alla
violenza, all’uccisione, alla negazione dell’altro, perché l’altro è colui che
è venuto a chiedere di decentrarsi, è venuto a prendere parte del nostro posto,
che era un posto unico, tutto nostro, è venuto a prendere parte dei nostri
affetti. Affetti della madre e affetti del padre, che erano tutti per noi. E
sentiamo ciò come privazione. Ci sentiamo defraudati da quest’altro intruso,
sconosciuto, che arriva, che è fratello perché nato dallo stesso grembo della
madre come dicevano i greci, ma che in qualche misura ci ha detronizzato. E
allora ecco la rivalità. Rivalità che a volte cova tutta una vita e arriva alla
fine quando c’è la divisione dell’eredità della famiglia, del padre e della
madre. Allora noi comprendiamo come la fraternità non sia un dato di fatto che
sta dietro di noi nella vita, ma una vocazione. È un appello. È un esercizio
che dobbiamo assumere. È qualcosa che dobbiamo tenere come assolutamente
necessario per arrivare alla relazione, ai rapporti e ai rapporti innanzitutto
di famiglia. Ma i rapporti poi anche di una comunità, ai rapporti di una
società. La fraternità s’impara, non si riceve, s’impara a fatica e s’impara a
caro prezzo».
«Dobbiamo
essere molto seri con noi stessi e guardare in profondità, ciascuno di noi e
guardare le relazioni che ci sono nella società. Negli ultimi anni, negli
ultimi due decenni, c’è stato un forte imbarbarimento. È cresciuto il rancore,
è cresciuta la rabbia, come dicono sovente anche le indagini che vengono fatte
a livello italiano da istituti che sono più che autorevoli. E poi è cresciuta
la sfiducia degli uni verso gli altri. Certamente, c’è stata anche la pandemia,
ma io non maggiorerei mai questo evento che ci ha tenuti lontani, ci ha
separati e ha creato quel bisogno di immunitas che allontana e rende diffidenti
gli uni dagli altri. No, siamo diventati più cattivi. E qui la violenza cova
più facilmente, a partire dalla famiglia, a partire dai rapporti più intimi,
dove vediamo che si manifesta il parricidio, il matricidio, il femminicidio. Ci
sono sempre stati, ma oggi c’è una frequenza che non è adeguata alla crescita
che si ha all’interno della società di alcuni valori che pur anch’essi sono cresciuti:
il rispetto degli altri, l’affermazione della dignità di ciascuno. Il che ci
dice come è diventato davvero molto forte, molto efficace, questo desiderio di
violenza verso gli altri fino al desiderio dell’annientamento e dell’omicidio.
E quindi oggi abbiamo un’epifania di ciò che c’è sempre stato, ma che ha delle
cause ben precise in questa evoluzione ultima all’interno della società e della
nostra cultura, che è una cultura che non ascolta, che ama lo scontro, che ama
assolutamente contrapporsi all’altro senza mai avere la possibilità di uno
scambio, di un dialogo. Lo vediamo addirittura nei mass media come si ama lo
scontro, la polemica e non il dialogo, non l’ascolto reciproco. Addirittura,
dobbiamo confessarlo con vergogna, è lo scontro che fa audience, è lo scontro
che richiama spettatori. Sembra che il dialogo, l’ascolto reciproco, non riesca
più ad attirare l’attenzione dei telespettatori».
«Io
mi rivolgo da sempre a credenti e non credenti, perché ciò che per me è
importante è veramente l’umanità. Ciò che per me non è estraneo è l’umano. E
quindi se io dico una parola, la posso solo dire nello spazio dell’umano. Però
attenzione, non si tratta con questo di annullare la differenza cristiana sulla
quale ho sostato più volte e che faccio emergere sempre. C’è una differenza
cristiana. Certo, la salvezza, la buona notizia riguarda tutti. Non ci sono
muri, non ci sono certamente delle enclave per i credenti. Non ci sono
posizioni di privilegio nei confronti di una vita umana, se vale o non vale.
Tutti saremo giudicati sulla capacità di rapporti con gli altri, nell’amore,
nella cura degli altri, nella responsabilità per gli altri alla stessa maniera.
Ma se c’è una speranza cristiana, che non è solo per i cristiani, che è quella
che la vita vinca la morte, l’amore vinca la morte a causa della resurrezione
di Cristo, di questo non mi vergogno, lo dico e penso che possa essere
l’annuncio anche per i non credenti. La accolgano o no, la mettano davanti a
loro come interrogativo o no…, però la devo dire».
«Innanzitutto
lei deve pensare che la Chiesa ha sedici secoli dietro le spalle in cui ha
amato l’uniformità, ha amato essere una sola voce, ha amato soprattutto avere
una voce contro gli altri. Tutti gli altri che non erano dentro lo spazio della
Chiesa, erano nemici. Sono cambiati, sono stati i saraceni, sono stati a un
certo punto gli eretici, sono stati gli ebrei: nella Chiesa è stato davvero
quasi un piacere poter espellere, poter innalzare muri e dire che qualcuno
stava fuori. A me ha sempre impressionato come al mio paese, quando c’era un
suicida lo si seppelliva fuori del muro del cimitero. Neanche coi morti lo si
metteva. Perché c’era questa volontà di esclusione. Si spiavano i peccati degli
altri. Se spiava il pensiero degli altri se era eretico, e lo si rigettava.
Ecco, dal Concilio Vaticano II in poi sembra che la Chiesa abbia imboccato
un’altra via, che è una via dell’inclusione. E soprattutto è Papa Francesco che ha capito che l’orizzonte per un
futuro è quello dell’umanità, non è quello delle confessioni religiose, se pure
hanno un significato, ma è l’umanità. E allora lui parla a nome di tutta
l’umanità, e anche se dà a volte il messaggio ai cristiani, chi lo sa leggere
bene vede che lui con gli occhi guarda all’umanità non cristiana, vede i
confini del mondo. Tutta un’umanità deve essere salvata, tutta un’umanità è
degna di una vita migliore. Questo mi sembra anche il fondamento della sua
“Fratelli tutti” che ha voluto indirizzare a tutti gli uomini. Questo è
l’orizzonte cristiano. Ma la Chiesa fa fatica. I cristiani sovente sono gretti.
Sono persone molto devote, molto religiose, ma che hanno poca fede. Non hanno
una fede stabile, salda, di non temere l’altro. Hanno la religione con cui con
l’altro si va solo in concorrenza».
«Francesco è un uomo conservatore. Ha un’età che può essere solo conservatore. Non potrebbe essere diversamente. E in questo è fedelissimo alla tradizione. E direi che è addirittura pauroso di uscire dalla grande tradizione. E molte sue dichiarazioni portano questo segno, la volontà di non uscire, la volontà di riaffermarla, e qualche volta lo fa con accenti che possono anche essere spiacevoli. L’abbiamo sentito più volte anche contestato per questo. Però è anche vero che lui ha portato una ventata nuova là dove, al di là di queste dichiarazioni, ha saputo aprire alla misericordia, alla compassione della Chiesa. Insomma, io voglio dire con una frase che so da molti non è accettata e non è amata, che Francesco ha evangelizzato Dio. Dio aveva sovente un volto perverso, un volto di giudice severo e cattivo, un volto che non era quello narratoci da Gesù Cristo. Francesco lo riporta là, evangelizza Dio, e il Dio misericordioso che anche di fronte ai nostri peccati li cancella, li dilegua, perché noi possiamo entrare tra le braccia di Cristo per un amore che non va mai meritato.
Questo è Francesco».
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