- di Maria Torrisi*
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Alla
luce del numero di casi di violenze e femminicidio, si parla di quota 100
raggiunta nel 2024, urge ripensare il rapporto tra donne e uomini, smontando
etichette e classificazioni di mestieri e professioni, modi di vestire, di
pensare, di esprimersi, affrancarsi da certi cliché e
liberare i talenti e i desideri da quelle gabbie culturali in cui sono
costrette a stare, nello specifico, le donne.
E
così, purtroppo, nel 2024 bisogna ancora rimarcare questi concetti per
un’educazione che, a partire dalla famiglia insieme alla scuola, agli altri
enti, associazioni e alla politica, miri ad una rivoluzione culturale intesa ad
escludere una utopia in termini negativi e ad operare un cambiamento reale
della società atto a debellare le disuguaglianze esistenti e le tendenze
discriminatorie che minacciano l’autostima delle bambine e delle ragazze.
Mobilitare
il potenziale educativo delle famiglie, della scuola, di enti, associazioni,
parrocchie, è innanzitutto un’azione di giustizia sociale e ciò è possibile
attraverso una fattiva collaborazione tra le varie forze della comunità
educante, che si pone l’obiettivo di rispondere ai reali bisogni di sviluppo
dei ragazzi, nel rispetto dei diritti dei bambini enunciati nella Convenzione
Internazionale dei Diritti dell’Infanzia del 1989, assolvendo al dovere di
garantire un contesto atto a promuovere
il loro benessere.
Ciò
vale, a maggior ragione, per le donne che vivono nei paesi in via di sviluppo
alle quali viene negata quella qualità della vita di cui parlano Amarthya Sen e
Marta Nussbaum nel loro “approccio centrato sulle capacità umane”. La Nussbaum,
insiste particolarmente sul principio della capacità individuale e sul
principio della persona intesa come fine, per cui ogni persona,
indipendentemente dal sesso, dal contesto di appartenenza, dalla religione,
deve poter realizzare la propria vita in modo veramente umano. Pertanto, ogni
vita sarà degna di essere vissuta in relazione a ciò «che gli individui sono di
fatto capaci di essere e di fare».
Solo
promuovendo la connessione tra i propri vissuti, quelli personali e quelli
degli altri si giunge a una vita
consapevole e partecipata, che trova fondamento nell’umanità dell’uomo. Sono
queste le sfide con le quali, la scuola deve oggi misurarsi, insieme alle
famiglie e alle altre agenzie del territorio.
Sono
sfide che riguardano la quotidianità e che sono tutte attinenti all’educazione
civica, il cui vero senso è quello della cittadinanza attiva. Perché l’educazione civica, al pari delle
altre discipline, non può essere confinata entro un curricolo con i suoi
contenuti astratti, ma deve configurarsi come prassi da esercitare nella vita
di tutti i giorni.
In
questo senso deve essere percepita la necessità al dialogo e alla reciprocità,
perché una chiusura verso l'altro determinerebbe un progressivo annichilirsi
della vita stessa.
«Se
al di là delle norme giuridiche manca un senso più profondo del rispetto e del
servizio altrui, anche l’uguaglianza davanti alla legge potrà servire da alibi
a evidenti discriminazioni, a sfruttamenti continuati, a disprezzi effettivi»
Sono queste le parole di Paolo VI, che dopo il Concilio Vaticano II, fu il primo a insistere sulla necessità di
nuova civiltà dell’amore, in cui la giustizia fosse integrata e sublimata dalla
carità.
Il
comportamento della persona è pienamente umano quando nasce dall'amore e
manifesta l'amore. Questa verità annunciata dal Vangelo vale anche in ambito
sociale: l'amore deve essere presente e penetrare tutti i rapporti sociali, per
proporre i principi e i valori che possono sorreggere una società degna
dell'uomo. In questo senso gli obiettivi di giustizia sociale non entrano in
conflitto con gli obiettivi dettati dall’imperativo della carità cristiana,
ma vanno a confluire nella solidarietà
politica, economica e sociale che è allo stesso tempo religiosa e laica.
Impegnarsi
con un superiore punto di vista etico, con una responsabilità che si prende
cura degli altri, sensibilizzando i ragazzi ai valori della solidarietà,
dell’empatia, dell’inclusione, assume i connotati di pedagogia della salvezza.
Come
affermato da Papa Francesco: “La strada cattolica è quella dell’unità nelle
differenze. Non c’è altra strada, non c’è altro cammino per unirci, se non lo
spirito cristiano”.
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