mercoledì 18 giugno 2025

LA "'SCONFITTA" DI SINNER

 


IL VALORE SI MOSTRA

 NEL LIMITE



Alessandro D’Avenia

 

David Foster Wallace ha scritto che veder giocare Roger Federer era un'esperienza religiosa, cioè l'esperienza del sacro, che è quando la vita dà e dice se stessa, una densità di realtà capace di farci esistere di più. Il sacro infatti dà fondamento, senso e valore al vivere, perché noi non ci diamo la vita da soli. Essere religiosi non è primariamente aderire alle credenze storiche che strutturano il sacro in miti, riti e regole, ma essere umani, cioè, aver bisogno di una vita significativa e autentica, che resiste alla morte e alla noia. 

Nessuno può vivere senza il sacro, e tutti traduciamo in miti, riti e regole, ciò che riteniamo dia vita: senso, valore e stabilità all'esistenza. Domandare in chi o cosa credi è chiedere chi e cosa ti rende reale. 

Come facevano gli antichi con divinità come Giustizia o Vendetta, ciascuno di noi attribuisce la maiuscola agli dèi per cui è disposto a far «sacrifici»: Lavoro, Bellezza, Potere, Salute, Famiglia, Denaro, Popolo, Successo, Conoscenza... e naturalmente Sport (essere esclusi dai Mondiali è un «sacrilegio» che ha richiesto il «sacrificio» di un uomo). 

Wallace lo sa e intitola Roger Federer come esperienza religiosa le pagine da inviato del New York Times a Wimbledon 2006: il tennis dell'atleta svizzero manifestava un altro mondo. 

Dopo la recente finale del Roland Garros, vinta in quasi sei ore da Alcaraz, vado oltre: «Jannik Sinner come esperienza di salvezza». Perché? Proprio perché è il numero uno ad aver perso. 

La perfezione

Wallace identificava l'estasi religiosa nella perfezione del gesto tennistico di Federer al culmine della sua carriera. Un'eredità greca: il divino si mostra in Terra come armonia che vince il tempo, canone di perfezione che non conosce tramonto, come il Discobolo o il Partenone. 

Ma nella sconfitta di Sinner, che ai punti resta il numero uno, c'è qualcosa di diverso. Sconfitto significa etimologicamente «incompiuto» non «perdente». Di cosa è allora esperienza la sconfitta? Del limite e quindi di ciò che è veramente reale: de-finire è porre i «fines», i confini, quelli che traccereste se vi chiedessi di disegnare l'Italia e che citavamo alle elementari per definirla (confina a nord con...). 

Dove finisci è chi sei e con chi sei. L'umano è come le funzioni in matematica: il valore si mostra nel limite. Ettore sa che morirà, ma affronta lo stesso Achille: è lui l'eroe dell'Iliade perché è uomo, l'altro, non fosse per il segreto del tallone, sarebbe un dio. Nella nostra cultura la perfezione è diventata una regola sacra con miti e riti: è reale solo chi è perfetto, chi raggiunge certi standard, chi non fallisce, chi nasconde il tallone d'Achille... 

Una religione severa basata sul successo, in cui solo il «divo» (divino) esiste veramente, la sua vita ha valore, e stargli vicino, in foto o in community, rende reale anche me, che altrimenti sono solo apparenza. Per questa religione la sconfitta è irreale (scandalosa, da nascondere) e il «loser» una categoria bandita. 

Ma se la perfezione è estasi, l'imperfezione è salvezza. Guardate i corpi. La vittoria fa levare le mani al cielo, in applausi, in abbracci. La sconfitta mostra corpi contratti, isolati, disfatti. Eppure, ha un potere di verità maggiore, perché ha bisogno dell'altro. Ciò che è perfetto è completo, non manca di niente, si può solo ammirare, per questo gli dèi stanno in alto, distanti, invece se sei finito in un buco o stai annegando soltanto la mano altrui può salvarti. 

Fateci caso. Dopo un fallimento restano le amicizie vere e l'amore autentico, chi rimane non lo fa perché gli siamo utili ma perché ci vuole al mondo a prescindere dalla classifica, ama il nostro essere «finiti», limitati. Solo dopo la sconfitta ci liberiamo dell'illusione di essere padroni della vita, e cominciamo a essere grati, e la riconoscenza è la misura della felicità. 

Solo la sconfitta fa scoprire il potere del silenzio e la libertà dal consenso, impossibile per chi deve essere virale. Solo la sconfitta regala la verità, perché essere umani è mettersi alla prova con la vita e quindi sbagliare di continuo, solo chi ne fa esperienza comprende sé e gli altri, i perfetti invece sono rigidi e implacabili con gli errori. Solo dalla sconfitta nasce la creatività e nuove soluzioni, perché è come la potatura che concentra la linfa e quindi i frutti proprio sulla ferita. 

La sconfitta educa il coraggio

Solo la sconfitta educa il coraggio, perché ci porta a chiedere aiuto, superando la vergogna di non essere all'altezza. Solo nella sconfitta scopro che non mi basto, che il fondamento del mio vivere è altrove. 

Solo la sconfitta insegna il buon umore, perché la smettiamo di prenderci troppo sul serio: comunque ci aspetta una lapide. Tutto questo è vietato dal primo comandamento dei perfetti che massacra i giovani o li fa impazzire: «non avrai altro dio all'infuori di te», sii il numero uno, il solo. E solo. Aristotele, riferendosi alla vita in società, diceva infatti che chi è del tutto autosufficiente o è un dio o una bestia. 

Invece l'umano è limitato, quindi in relazione: quando il re Priamo va a chiedere il corpo straziato del figlio Ettore, Achille intuisce da quel padre prostrato che l'amore più del trionfo rende eroi. Tutte le religioni donano salvezza. La perfezione «salva» perché rende inarrivabili, il limite invece perché lega ad altro. 

La seconda via è più vera perché la vita non ce la diamo da soli, accade in noi come trama, puzzle: sono i limiti a permettere l'incastro e la tenuta (la stretta di mano, l'abbraccio, la carezza...), mentre il perfetto non ha irregolarità, non lega e non si lega, non tocca e non è toccato, è «di un altro pianeta». Non è la morale dei vinti, né l'elogio del partecipare per digerire la disfatta, ma amore per la vita com'è: un intreccio di legami orizzontali e verticali che regge perché ciascuno sostiene ed è sostenuto. 

Federer, Maradona, Jordan ci ricordano che gli dèi possono fugacemente manifestarsi sulla Terra, e li chiamiamo «miti». La loro presenza ci stupisce, ci rallegra, ci dà energia, ci ispira, ma non ci basta. A noi serve sapere se si può perdere senza perdersi, fallire senza morire, non essere all'altezza senza sprofondare, perché è nel limite che troviamo «altro», l'altro: i legami che salvano. 

Forse per questo Sinner ha detto che sarebbe tornato nel suo paesino: «per staccare». O per riagganciarsi? La vittoria ci rende regali, la sconfitta reali.

 

Alzogliocchiversoilcielo

martedì 17 giugno 2025

L'EDUCATORE GENERA VITA

 


L’educatore 

genera vita, 

non timbra il cartellino


Il cardinale Tolentino de Mendonça 

nella prefazione al libro di Affinati: 

educare coincide con la vita, quindi supera i confini. 

E si educa con mani, cuore e testa

Anticipiamo la prefazione scritta dal cardinale José Tolentino de Mendonça - prefetto del Dicastero per la cultura e l’educazione - al libro dello scrittore Eraldo Affinati, "Testa, cuore e mani. Grandi educatori a Roma" in libreria da oggi per la Lev (pagine 192, euro 17,00). Scrittore e insegnante con una passione viva per l’educazione, Affinati percorre l’Urbe alla ricerca di grandi educatori d’un tempo e del recente passato: da san Paolo a san Filippo Neri, da sant’Ignazio di Loyola a Maria Montessori, da sant’Agostino ad Alberto Manzi. Una singolare mappa della Città eterna nella quale si dipana la storia di uomini e donne che hanno sentito una vocazione impellente: «Ogni epoca – scrive Affinati – ha bisogno di alcune persone che si assumono il compito di facilitare il passaggio generazionale».

A un certo punto di questo libro, che racconta quanto la missione educativa possa essere una passione, Eraldo Affinati pone la domanda che tutti dovremmo farci, o esserci fatti, almeno una volta nella vita: «Come si diventa umani?». Il quesito è centrale, per tutti e per ciascuno. La risposta va componendosi, nell’avventura qui documentata, come un puzzle, pagina dopo pagina, personaggio dopo personaggio. Ciascuno dei grandi formatori e formatrici tratteggiati da Affinati ha dato a quel “come” una propria risposta, fattiva, storica e personale, non contraddittoria con quella degli altri formatori, bensì complementare. La cui sintesi potrebbe trovare compimento nel titolo del presente volume: Testa, cuore e mani. Questa espressione di Papa Francesco sintetizza bene l’integralità dell’azione educativa, che per il Pontefice interessa la globalità della persona e non ha a che fare con le compartimentazioni che impoveriscono le società moderne, ad esempio nel campo dei saperi e delle professioni: «Questo è il segreto dell’educazione: che si pensi quello che si sente e si fa, che si senta quello che si pensa e si fa, che si faccia quello che si sente e si pensa» (“Saluto al Presidente e al Board of Trustee della University of Notre Dame”, 1° febbraio 2024).

Proprio gli educatori di cui scrive in questo libro Affinati hanno incarnato, ciascuno a modo proprio, un’educazione con e della testa, un’educazione con e del cuore, un’educazione con e delle mani: pensiero, affetti, azioni. Messi in moto anzitutto da se stessi, giocando e rischiando in prima persona. L’educatore degno di questo nome è un maestro del rischio. Tutto l’educatore può fare, eccetto balconear, per usare un neologismo di Francesco, ovvero stare alla finestra, fermo affacciato al balcone della vita, ad assistere allo scorrere insensato del tempo, proprio e altrui. Soltanto l’assumere la responsabilità generativa ci permette di diventare credibili messaggeri della vita. «L’educatore non timbra il cartellino, nel senso che non smette mai di pensare ai propri allievi. La sua opera coincide con la vita, quindi non può finire, supera i confini», scrive Affinati parlandoci di don Luigi Orione, personalità che l’autore ci racconta attraverso gli occhi di un suo scolaro d’eccezione, Ignazio Silone. La testa dell’educatore non va in vacanza: il pensiero si rivolge sempre a chi la vita, o il Signore per chi crede, gli ha affidato con il compito di farlo diventare persona completa. Formare la testa non significa ovviamente indottrinamento o ideologizzazione, bensì formare persone con spirito critico, capacità di parola, intraprendenza argomentativa. Mi ha sempre colpito, nei racconti dei missionari che hanno testimoniato il Vangelo in terre lontane, un dettaglio singolare: che spesso, ben prima della costruzione della chiesa della missione, il primo edificio cui si sono dedicati fosse una scuola. Un luogo per formare il pensiero, allenare il cuore e impratichire le mani. Perché l’intelligenza è un dono grande di Dio e come tale va coltivata e messa in circolo.

Quando descrive l’opera di Luigia Tincani (Chieti 1889 – Roma 1976), che diede inizio all’Unione di Santa Caterina da Siena delle Missionarie della Scuola, Affinati sottolinea: «Nel momento in cui ti presenti di fronte a un giovane non puoi far conto su un apparato scisso dalla tua persona. Se davvero vuoi conquistarlo e farti conquistare, devi abbassare gli scudi mostrandoti per ciò che sei». L’educatore deve mettere a nudo il proprio cuore, inteso come il nucleo della persona: deve presentarsi ai suoi ragazzi così com’è, senza infingimenti, senza maschere. E qui vengono in mente le meravigliose parole di Lorenzo Milani, prete ed educatore cui Affinati segretamente (ma neppure tanto) si rifà nel libro che avete tra le mani: «Ho voluto più bene a voi che a Dio. Ma ho speranza che lui non stia attento a queste sottigliezze e abbia scritto tutto al suo conto», scrisse ai fratelli Gesualdi, tra i suoi primi scolari. L’amore è così: non è generico ma concreto, si rivolge a Michele e Francuccio – i due ragazzi di Barbiana cui il Priore scriveva – e parte dal particolare per sconfinare nell’universale. Non ci può essere un educatore che educa “in generale”, ogni educatore ricorderà quel ragazzo o quella adolescente, quel giovane o quel bimbetto. Di loro ricorderà un aneddoto, un episodio, una parola, una mascalzonata (eh già!). Ma perché c’era un legame, un affetto, un cuore che non era rimasto inerte ma si era speso, giocato, commosso. Mani: prendiamo Giuseppe Calasanzio, che ha educato “con le mani”, inventandosi la prima scuola popolare gratuita d’Europa, rincorrendo – letteralmente – i suoi scolari discoli, i più scapestrati tra i ragazzetti del popolo romano: «Li andò a prendere uno per uno e se li portò in classe», annota Affinati. In questa ricerca fattiva, affettiva, concretissima vediamo la fatica bella dell’educatore, colui che non lascia indietro nessuno, colui che procede al passo di chi è più in difficoltà perché (recita un proverbio africano) «se vuoi andare veloce, vai da solo; se vuoi andare lontano, vai insieme».

Dobbiamo essere grati a Eraldo Affinati per queste pagine appassionate e che appassionano. Pagine che ci avvicinano a una Roma nascosta, forse sottotraccia, ma attualissima nella folgore della proposta educativa, cui Affinati ha ridato forma e ne ha rivelato lo spessore. Riverberano le parole di Papa Francesco: «Noi abbiamo ereditato dall’epoca dell’illuminismo un concetto di educazione che più o meno era riempire la testa di idee e niente di più, e questo non è educazione. L’educazione è confrontarsi con i problemi della vita; e certo anche avere delle idee in testa, studiare le cose teoriche, ma confrontarsi sempre – è una parola importante – con i veri problemi della vita [...]. È una grande opportunità, una scuola dove si affrontano le domande sul senso della vita» (Incontro con gli studenti del Collegio Barbarigo di Padova nel 100° anno di fondazione, 23 marzo 2019). Per la Chiesa l’educazione, a Roma come in ogni luogo, è questione centrale: «Andate e insegnate» (Mt 28,19) ci ha detto Uno che si qualificava come Maestro. E che ha educato, e amato, con tutta la sua testa, con tutto il suo cuore e con tutte le sue mani.

www.avvenire.it

 

GAZA, UN SILENZIO SOFFOCANTE


 Gaza è in silenzio ora. Non per pace, ma per annientamento. 
Non un silenzio di quiete, ma di soffocamento. 

Hanno tranciato l’ultimo cavo. Nessun messaggio esce, nessuna immagine entra.

 Anche il lutto è stato vietato. 

-      



   di 𝙀𝙯𝙯𝙞𝙙𝙚𝙚𝙣 𝙎𝙝𝙚𝙝𝙖𝙗*

 

"Non c’è internet, nessun segnale, nessun suono. Nessun mondo fuori da questa gabbia.

Ho camminato 30 minuti tra le macerie e la polvere. Non in cerca di una fuga, ma per un frammento di segnale, giusto per sussurrare: “siamo ancora vivi”.

Non perché qualcuno stia ascoltando, ma perché morire inascoltati è la morte finale.

Gaza è in silenzio ora. Non per pace, ma per annientamento. Non un silenzio di quiete, ma di soffocamento. Hanno tranciato l’ultimo cavo. Nessun messaggio esce, nessuna immagine entra. Anche il lutto è stato vietato. Ho sorpassato cadaveri di edifici, di case, di uomini. Qualcuno respirava, qualcuno no.

Tutti cancellati dalla stessa mano che ha cancellato le nostre voci. Questo non è semplicemente un assedio di bombe, è un assedio della memoria. Una guerra contro la nostra capacità di dire “siamo qui”.

I bombardamenti non si sono mai fermati, soprattutto a Jabalia. Hanno bombardato le strade dove i bambini supplicavano per del cibo. Hanno bombardato le file dove le mamme aspettavano la farina. Hanno bombardato la fame stessa. Niente cibo. Niente acqua. Niente via di fuga. E quelli che ci provano, quelli che raggiungono gli aiuti, vengono abbattuti. La gente muore qui, e nessuno lo sa. Non perché le uccisioni si sono fermate, ma perché l’uccisione della connessione ha avuto successo.

Internet era il nostro ultimo respiro. Non era un lusso, era l’ultima prova della nostra umanità. E ora è andata. E nel buio, massacrano senza conseguenze.

Ho trovato questo tenue segnale con la eSIM come un uomo morente trova un bagliore di luce.

Sto sotto questo cielo spezzato, rischiando la morte non per salvarmi, ma per mandare questo messaggio. Un singolo messaggio, un’ultima resistenza.

Se state leggendo questo, ricordatelo: abbiamo camminato in messo al fuoco per dirlo. Non siamo stati in silenzio. Non siamo stati silenziati. 

E quando la connessione sarà ristabilita, la verità sanguinerà attraverso i cavi, e il mondo saprà quello che ha deciso di non vedere."

*𝙀𝙯𝙯𝙞𝙙𝙚𝙚𝙣 𝙎𝙝𝙚𝙝𝙖𝙗, 𝘨𝘪𝘰𝘷𝘢𝘯𝘦 𝘮𝘦𝘥𝘪𝘤𝘰 𝘥𝘪 𝘎𝘢𝘻𝘢 𝘦 𝘴𝘤𝘳𝘪𝘵𝘵𝘰𝘳𝘦, 𝘤𝘩𝘦 𝘩𝘢 𝘢𝘧𝘧𝘪𝘥𝘢𝘵𝘰 𝘢 𝘵𝘸𝘪𝘵𝘵𝘦𝘳 (@ezzingaza)

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lunedì 16 giugno 2025

INDICAZIONI NAZIONALI - LE NOVITA'


Indicazioni Nazionali

 per il curricolo -

 Scuola dell’infanzia e Scuole del Primo ciclo di istruzione

Pubblicata la bozza delle "Indicazioni Nazionali per il curricolo - Scuola dell’infanzia e Scuole del Primo ciclo di istruzione" che è stata trasmessa al Consiglio Superiore della Pubblica Istruzione per il prescritto parere.


"Una riforma pensata per i nostri giovani, per abituarli ad esprimersi correttamente, ad essere chiari, a saper ragionare, a sviluppare creatività e sensibilità. Per imparare meglio la matematica. Per conoscere la nostra storia e, dunque, avere un’identità. Per conoscere la geografia e il mondo in cui vivono”, ha dichiarato il Ministro dell’Istruzione e del Merito Giuseppe Valditara.


Le principali novità dalle Nuove Indicazioni Nazionali Scuola dell’infanzia, scuola primaria e scuola secondaria di I grado


ACCESSIBILITÀ E LEGGIBILITÀ DEL TESTO

Il nuovo testo è meno ‘tecnico’, più breve, chiaro e fruibile da parte di un pubblico allargato che potrà cogliere con esplicitezza i capisaldi culturali delineati nel progetto delle Nuove Indicazioni Nazionali.


SONO STATI PRECISATI GLI OBIETTIVI GENERALI DEL PROCESSO FORMATIVO, GIÀ PREVISTI DAL DPR 275/1999.

Essi costituiscono una declinazione operativa importantissima delle competenze indicate nel Profilo dello studente al termine del primo ciclo. Organizzati per aree di competenza e articolati per ciascun grado scolastico, essi faciliteranno la progettazione didattica collegiale del curricolo.


FOCUS SU EDUCAZIONE ALL’EMPATIA E AL RISPETTO DELLA DONNA

Si è rafforzato il concetto di scuola che educa alle relazioni educative e ai sentimenti. Il lavoro cui sarà chiamata la scuola nei prossimi anni è infatti preventivo e servirà a ridurre e, auspicabilmente, a debellare il triste fenomeno del femminicidio. Con le Nuove Indicazioni Nazionali si investirà su due fronti di lavoro didattico potenziando quanto già previsto dalle Linee guida per l’insegnamento dell’educazione civica: l’educazione al rispetto della donna e l’educazione ai positivi sentimenti, in particolare all’empatia.


INSEGNANTE COME MAGISTER

Le Nuove Indicazioni Nazionali restituiscono centralità e incisività al ruolo dell’insegnante. Non più solo professionista dell’istruzione ma guida culturale ed educativa, capace di accendere la motivazione e di sostenere la crescita degli studenti con carisma e ispirazione. Una figura che opera in sinergia con famiglie e personale scolastico per rispondere ai nuovi bisogni formativi degli studenti.


POTENZIAMENTO DELLA DIDATTICA DELLA SCRITTURA

Si è potenziato il ruolo e la funzione formativa della scrittura in corsivo, della calligrafia.
Si è precisato che per gli alunni con disturbi specifici di apprendimento, l’uso del corsivo tiene conto di quanto riportato dalle Linee guida per il diritto allo studio degli alunni e degli studenti con disturbi specifici dell’apprendimento, MIUR, 2011. La scrittura è molto più che una tecnica: è saper strutturare il pensiero con logica rappresentando quindi un potente strumento di avviamento al pensiero riflessivo e alla introspezione.


CENTRALITÀ ALL’ESERCIZIO DEL RIASSUNTO

Le Nuove Indicazioni attribuiscono un ruolo chiave all’esercizio del riassunto che insegna a essere chiari, logici nella individuazione delle parti essenziali di un testo, brevi nella comunicazione. Apprendere a riassumere è una conquista fondamentale per apprendere a pensare.

TORNANO LE POESIE A MEMORIA

Con le Nuove Indicazioni torna l’apprendimento delle poesie a memoria che, come attestato da numerosi studi neuroscientifici, rafforza la memoria a breve e a lungo termine, l’attenzione e la concentrazione, arricchisce il linguaggio nel confronto con la lingua colta e stimola la sensibilità. Già Calvino ed Eco, nell’epoca della diffusione della rete e quindi anche dei rischi della dispersività da essa indotti, suggerivano la riscoperta di questo importantissimo esercizio che torna ad avere una sua centralità nel documento ministeriale.


INCLUSIONE E INTERCULTURA

Sono state meglio esplicitate le misure sistemiche e le prassi specifiche per l'accoglienza e l'integrazione di studenti provenienti da contesti migratori e per l'esercizio del diritto allo studio degli alunni adottati. Sono stati esplicitati i quadri teorici - come le neuroscienze - e i modelli operativi - ICF (International Classification of Functioning) e l'UDL (Universal Design for Learning) - utili per progettare interventi personalizzati.


SENZA CONOSCENZA NON C’È COMPETENZA

Le Nuove Indicazioni Nazionali reintegrano pienamente la dimensione delle conoscenze nel curricolo scolastico e offrono agli insegnanti un chiaro quadro di riferimento di obiettivi e competenze per la progettazione del curricolo verticale. Senza conoscenze non possono essere sviluppate le competenze. Non una scuola del nozionismo, ma un’istruzione che punta all’essenziale, al profondo, al duraturo. Un messaggio chiaro agli insegnanti: selezionare, approfondire, far pensare, costruire percorsi che abbiano senso e significato, che sviluppino pensiero critico e connessioni tra i saperi.


STEM
Le Nuove Indicazioni Nazionali promuovono un'istruzione matematico-scientifico-tecnologica (STEM) integrata e interdisciplinare. L’informatica sarà introdotta sin dalla scuola primaria. L'obiettivo primario è formare cittadini capaci di navigare nella complessità del mondo contemporaneo e di progettare il futuro. In coerenza con le Linee guida per le discipline STEM del 2023, si sottolinea la necessità di partire dalla realtà e dall’esperienza dell’alunno per giungere alla teoria. Questo approccio, basato sull’osservazione del mondo circostante e sull’interazione concreta con esso, permette di appassionare lo studente allo studio delle materie scientifiche, e in particolare della matematica. Le STEM diventano un vero e proprio "laboratorio di idee" dove gli studenti sperimentano la conoscenza in modo concreto e attivo: formulano congetture, progettano, discutono, argomentano. L’approccio laboratoriale non solo incoraggia un apprendimento profondo e significativo, ma favorisce anche lo sviluppo di un atteggiamento positivo nei confronti delle discipline STEM. Sono previsti raccordi interdisciplinari che mirano a stimolare il pensiero critico e creativo


Diverse sono le innovazioni introdotte:

·         Una particolare attenzione è dedicata anche alla prospettiva storica delle discipline. Questo approccio permette di comprendere come il sapere si sia evoluto, riconoscendo il ruolo del pensiero critico e dell'errore come elementi centrali del progresso.

·         Si rafforza il legame con l'educazione civica e le tematiche di sostenibilità. Attraverso lo studio delle scienze e della matematica, gli alunni acquisiscono la capacità di valutare criticamente problematiche ambientali e sociali, diventando cittadini attivi e consapevoli.

·         Scienze: lo studio delle scienze è un pilastro per il progresso sociale, basato sull'osservazione, l'astrazione, la formulazione di ipotesi e la sperimentazione. Si mira a sviluppare una mentalità aperta, curiosa e orientata alla ricerca continua.

·         Tecnologia: la tecnologia è l'applicazione dei risultati scientifici per scopi utili. L'insegnamento mira a sviluppare un atteggiamento critico e consapevole verso le tecnologie, chiarendo la loro natura di mezzi e non di scopi a sé stanti e promuovendo la comprensione del loro impatto sociale.

·          

ITALIANO (LINGUA E LETTERATURA)

Le Nuove Indicazioni Nazionali per Italiano segnano una svolta significativa riaffermando il ruolo centrale della lingua e della letteratura nella formazione dei giovani cittadini. Si tratta di un cambio di paradigma che mira a superare lo spontaneismo linguistico per un'educazione linguistica e letteraria solida e consapevole.

Al centro di questa nuova visione vi è il ritorno al valore della ‘regola’ grammaticale e all’importanza della sintassi, superando una concezione che, negli ultimi decenni, ha troppo spesso privilegiato l'idea di una lingua come fenomeno spontaneo. L'italiano è presentato come strumento primario di comunicazione e accesso alla conoscenza, fondamentale per l'organizzazione del pensiero e la riflessione sul sapere tramandato. Le Nuove indicazioni enfatizzano l'importanza di un'ortografia sicura e della scrittura in corsivo, e l'esercizio del riassumere come chiave per l'organizzazione logica delle informazioni. Particolare rilievo è dato anche all'apprendimento delle poesie a memoria, riconosciuto come strumento per rafforzare memoria, attenzione e sensibilità. L'educazione linguistica, inoltre, è un compito trasversale di tutti i docenti, cruciale per il successo scolastico e l'integrazione degli alunni di origine straniera.

Per quanto riguarda la Letteratura, l'obiettivo principale è far prendere gusto alla lettura affinché gli studenti ricavino dai testi strumenti per capire sé stessi e il mondo. La letteratura è vista come un mezzo potente per conoscersi, trovare un'umanità comune e imparare a relazionarsi con consapevolezza nel mondo. Si promuove la lettura integrale di classici e testi di buona qualità, scoraggiando la frammentazione antologica, e incoraggiando la discussione e il confronto tra diversi punti di vista.

Lo studio della lingua e della letteratura italiana diventa un veicolo per competenze trasversali essenziali per la cittadinanza. Gli studenti impareranno ad affrontare consapevolmente anche i testi non letterari – come articoli di giornale o discorsi politici – per sviluppare una cittadinanza matura. Le Indicazioni pongono enfasi sull'importanza di imparare a studiare, acquisendo tecniche per prendere appunti e organizzare esposizioni orali, e di discernere l'attendibilità delle fonti, sia cartacee (attraverso l'uso delle biblioteche) che digitali. L'uso intelligente della rete e la familiarizzazione con giornali (anche stranieri) e risorse multimediali sono visti come elementi chiave per una formazione completa e critica.

STORIA
Nelle Nuove Indicazioni la storia accompagna gli studenti, sin dalla scuola dell’infanzia, a capire chi sono, da dove vengono, per quale futuro si preparano, quale contributo possono dare alla società. Per questo la storia dell’Occidente, dipanatasi fra Atene, Roma e Gerusalemme, acquista una sua centralità. Le Indicazioni per il curricolo del primo ciclo aprono la storia a una dimensione europea e fin dove appare possibile e sensato anche a un ambito mondiale, mantenendo comunque ben fermo, specie per il primo ciclo, l’innegabile rilevanza della dimensione italiana, non solo come la più vicina all’esperienza dell’alunno ma anche quella così fortemente connessa al contesto mediterraneo dove si svolge la vicenda greco-romana. La disciplina è pensata per accompagnare i giovani nell’acquisizione di competenze fondamentali per comprendere i fenomeni che hanno modellato le nostre società, per riconoscerne la complessità, apprezzandone altresì le differenze rispetto ai contesti geo-storici diversi dal nostro, dei quali si dovranno pure apprendere i caratteri peculiari.


GEOGRAFIA
Non si può essere cittadini italiani se non si sa localizzare il Po o distinguere le Alpi dagli Appennini, o in quali regioni si trovino Bari, Salerno o Verona o Bergamo. Le nuove Indicazioni Nazionali per la Geografia segnano un netto rilancio della Geografia fisica e politica, elevando la disciplina a pilastro fondamentale per la formazione di un cittadino autonomo e consapevole, capace di profonda comprensione delle relazioni tra esseri umani, territorio e ambiente, a tutte le scale, dal locale al globale.

Una delle novità più significative è la centralità data alla formazione del "pensiero spaziale" e all’apprendimento del codice della geo-graficità. La geografia non si limita a localizzare, ma insegna a produrre, approfondire e sistematizzare conoscenze relative al complesso delle relazioni materiali e immateriali sul territorio. Ciò avviene attraverso l'uso di un linguaggio cartografico ampliato che include non solo mappe e globi, ma anche rappresentazioni digitali come immagini satellitari e Sistemi Informativi Geografici (GIS), affiancate da fotografie, audiovisivi, dati statistici e persino il testo letterario o opere d'arte. Questa ricchezza di strumenti mira a favorire un confronto continuo tra la propria realtà e quelle lontane.


LATINO PER L’EDUCAZIONE LINGUISTICA (LEL)

Il grande ritorno del Latino per conoscere e imparare meglio la lingua italiana e le sue regole. Le Nuove Indicazioni Nazionali reintroducono il Latino curricolare e opzionale a partire dalla seconda media, elevandolo a strumento vitale per la conoscenza profonda della lingua e della cultura italiana e per la comprensione del rapporto tra la cultura italiana e quelle europee.
Apprendere il latino favorirà lo sviluppo della logica, del ragionamento, della concretezza. La disciplina insegnerà inoltre i grandi valori che sono a fondamento della nostra civiltà.
Questi gli elementi più innovativi:

·         rafforzamento linguistico e logico: lo studio del Latino contribuisce significativamente alla qualità linguistica dell'espressione degli studenti, abitua alla logica e al ragionamento e affina la conoscenza delle fondamenta grammaticali e del significato delle parole della lingua italiana.... Si mira a una piena consapevolezza nella lettura e nella scrittura dell'italiano.

·         dialogo con il contemporaneo e interdisciplinarità: le indicazioni sottolineano l'importanza di un esame comparativo del lessico latino con l'italiano e le lingue straniere moderne, sia per i termini intellettuali che quotidiani. Cruciale è la richiesta di accogliere le sollecitazioni tecnologiche, attuare un dialogo costante con le discipline STEM e porre al centro l'attenzione ai valori della Costituzione appresi tramite l'educazione civica. Questo è un cambio di paradigma che collega il Latino a campi di studio moderni e alla cittadinanza attiva.

·         consapevolezza dell'eredità Europea: il "Latino per l'educazione linguistica" (LEL) mira a far percepire il rapporto di continuità e alterità che lega il presente al passato e a rafforzare la consapevolezza che il Latino è un'eredità condivisa e un elemento di continuità tra le diverse culture europee, plasmando la sostanziale unità della civiltà europea.

·         competenza pratica e strumentale: non si tratta solo di teoria. Si punta a far riconoscere l'origine latina di parole italiane (anche quelle ad alta frequenza e i latinismi di uso comune, inclusi termini presenti in documenti fondamentali come la Costituzione e a utilizzare applicativi informatici come vocabolari digitali per approfondire i rapporti etimologici. Gli studenti dovranno anche essere in grado di comprendere il senso globale di frasi e testi latini semplici in contesti laboratoriali.

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INGLESE
Lo studio della lingua inglese e della seconda lingua comunitaria è acquisizione di strumenti essenziali per la comunicazione globale e la comprensione reciproca tra i popoli. Le Nuove indicazioni ne rafforzano ruolo e funzioni utili alla formazione di individui capaci di navigare un mondo complesso e interconnesso. L'obiettivo generale per il primo ciclo è l'alfabetizzazione linguistica e lo sviluppo delle competenze comunicative, mirando a livelli A1 (scuola primaria) e A2 (scuola secondaria di primo grado) secondo il QCER. L'approccio è graduale e comunicativo, con la scuola primaria che introduce la lingua in modo naturale attraverso attività ludiche e routine quotidiane. Viene fortemente incoraggiato un approccio immersivo, con l'insegnante che "entra in aula parlando in inglese e stimolando negli studenti l’espressione in inglese", per acquisire sicurezza nell'uso e apprezzarne l'importanza nella vita quotidiana.


MUSICA
L'Italia vanta un patrimonio musicale di inestimabile valore, con compositori e interpreti che hanno segnato la storia. Le più recenti ricerche neuroscientifiche confermano che l'ascolto, la comprensione e la pratica musicali attivano simultaneamente diverse aree cerebrali coinvolte nella cognizione, nelle emozioni, nel movimento e nelle interazioni sociali, sottolineando il suo profondo impatto sullo sviluppo neurologico e sul benessere. Investire nell'educazione musicale di base – non specialistica – fin dalla scuola dell'infanzia è essenziale per formare generazioni capaci di ascoltare, comprendere, esprimere e apprezzare.


Principale novità:

·         L'Esperienza al centro: Si pone un'attenzione mirata all'"esperienza con e attraverso la musica". Questo include la pratica vocale, corale e strumentale, la comprensione dell’ecosistema sonoro (attraverso "passeggiate e paesaggi sonori"), l'ascolto attivo e guidato, e l'interazione con musicisti, la partecipazione a concerti e attività laboratoriali.

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ARTE E IMMAGINE

L’insegnamento di Arte e Immagine con le Nuove Indicazioni acquista piena centralità perché persegue finalità essenziali: stimolare le potenzialità espressive e creative attraverso il gioco simbolico e il racconto visivo; sviluppare competenze tecniche per educare il gesto artistico; alfabetizzare ai saperi estetici tramite opere che arricchiscono l’immaginario; promuovere la crescita cognitiva ed emozionale con simboli e metafore; illustrare la storia dell’arte per sensibilizzare al valore del patrimonio culturale, con focus su quello locale; formare una cittadinanza attiva, consapevole del ruolo delle arti nella tutela e nel dialogo culturale.
Arte e Immagine si distinguerà nelle Nuove Indicazioni per una caratteristica preziosa: offrire un linguaggio universale per esplorare in classe emozioni, idee e culture attraverso lo sviluppo della creatività basato sull’apprendimento della tecnica. Si farà inclusione attraverso Arte e Immagine e Musica.


EDUCAZIONE MOTORIA

Nelle Nuove Indicazioni la disciplina favorisce la conoscenza del proprio corpo, si occupa dello sviluppo e della maturazione di competenze motorie come consapevolezza del proprio rapporto con l’ambiente di apprendimento e con gli altri, concorre all’educazione integrale della persona attraverso il movimento e contribuisce alla formazione della personalità dell’alunno attraverso la strutturazione della propria identità corporea. Il benessere e la cura della persona attraverso il movimento divengono così parte di una cultura personale che tenderà a prevenire la sedentarietà, l’abbandono precoce delle pratiche motorie e sportive e l’errata alimentazione contribuendo da un lato ad arricchire le possibilità di esperienza e apprendimento e, dall’altro, a limitare il fenomeno del sovrappeso o dell’obesità.

 Documenti Allegati

  • Indicazioni nazionali 2025.pdf

  • Sondaggio_MIM.pdf

MINISTERO ISTRUZIONE E MERITO


IL NEMICO


 “Nel tempo della paura e delle guerre,

l'altro non è mai il nemico”


- di Mauro Magatti

Il periodo storico successivo alle tragedie della prima parte del XX secolo ci aveva fatto credere che l’umanità si fosse finalmente emancipata dalla necessità di ricercare nel volto dell’altro un nemico da combattere.
Che il pluralismo fosse ormai un fatto acquisito.
Che chi è diverso – per cultura, genere, lingua, religione, posizione sociale, visione del mondo – potesse essere parte, a pieno titolo, della vita comune.
I fatti di questi ultimi anni e giorni (dopo l’Ucraina e Gaza, l’escalation Israele-Iran, quello che sta accadendo in California e in Irlanda) ci costringono a prendere atto che le cose sono più complicate.
Non stiamo andando verso un mondo più capace di inclusione, comprensione e coesistenza.
Al contrario, si assiste a un lento arretramento del riconoscimento dell’altro.
L’alterità, lungi dall’essere accolta, viene sempre più percepita come una minaccia.
I segnali sono così numerosi e diffusi che non è più possibile ignorarli.
La partner che delude le aspettative si trasforma nell’ostacolo alla nostra autorealizzazione.
Fino al punto in alcuni casi di essere uccisa.
Lo straniero che cerca rifugio è trattato come un invasore.
Il diverso è percepito come un errore da correggere.
Il Paese limitrofo diventa terreno di conquista.
Al di là della scala, la dinamica è sempre la stessa: prima l’altro è allontanato, poi opacizzato, infine privato del volto e della parola.
Ridotto a oggetto da classificare, a pericolo da sradicare.
E, infine, a nemico da combattere.
In una società sempre più frammentata, ad aumentare è l’intolleranza.
Nella sfera pubblica, le posizioni si polarizzano, il linguaggio si fa bellico, le categorie si irrigidiscono.
Le differenze non sono più occasione di confronto ma trincee da difendere.
E a peggiorare le cose ci sono anche le piattaforme digitali che favoriscono nuove forme di tribalismo e chiusura.
Viviamo in un paradigma culturale che ci induce a difendere a ogni costo la nostra/mia zolla di benessere, potere o identità.
Ogni cambiamento, ogni segnale di trasformazione, ogni imprevisto viene percepito come una minaccia.
Al punto che si vanno perdendo persino le competenze necessarie per gestire la relazione complessa con l’altro concreto.
Stiamo scivolando lungo un piano inclinato, con un esito incerto.
Tuttavia, non è troppo tardi per invertire la rotta, a condizione di prendere coscienza della situazione prima che peggiori ulteriormente, prima che la diffidenza e l’autoassoluzione rendano irreversibile il nostro isolamento.
Uscire da questa deriva richiede di riconoscere che l’altro non rappresenta un ostacolo al nostro benessere, ma una condizione imprescindibile della nostra umanità.
«Nessuno dovrebbe mai minacciare l’esistenza dell’altro», ha detto ieri papa Leone al termine dell’udienza giubilare.
Nessuno cresce, si realizza o diventa pienamente se stesso senza l’incontro, talvolta faticoso ma sempre trasformativo, con ciò che è diverso da sé.
Nessuna società è possibile senza l’esercizio, difficile ma entusiasmante, del dialogo e dell’incontro, che rigenera il tessuto sociale e culturale.
Fissati su un principio rigido di identità, perdiamo la bellezza della vita che deriva dall’incontrare, dall’ascoltare, dall’accogliere.
E non certo dall’erigere barriere per difendersi dal mondo intero.
«Torniamo a costruire ponti – ancora il Papa, ieri – dove oggi ci sono muri.
Apriamo porte, colleghiamo mondi e ci sarà speranza».
Indubbiamente, la relazione con l’altro comporta sempre un rischio.
La relazione è intrinsecamente esposta alla possibilità di ferita.
Pensare di poter sterilizzare questo rischio, significa impoverire la nostra stessa vita.
Che, ripiegandosi su di sé, finisce per appassire.
È pertanto necessario impegnarsi attivamente per promuovere una nuova cultura della coesistenza.
Non si tratta di una semplice tolleranza, che preserva lo status quo mantenendo le distanze, bensì di un’ospitalità reciproca, capace di generare legami, progetti condivisi e nuove narrazioni.
Questo principio si applica tanto alle comunità locali quanto alle istituzioni globali, alle famiglie, alle scuole, alle imprese, alla politica e alle religioni.
In una società in cui l’alterità diventa un problema, la cura inizia con il disarmo delle pretese assolute.
È fondamentale riconoscere che il mondo non ci appartiene, ma ci è stato affidato in comune, che la nostra identità è intrinsecamente relazionale e che la libertà non consiste nel fare ciò che si vuole, ma nel saper condividere spazi, tempi, risorse e aspirazioni con gli altri.
In definitiva, si tratta di scegliere che tipo di mondo vogliamo abitare: se rimanere intrappolati nella logica della zolla, ciascuno arroccato nel proprio recinto, facendo piazza pulita di tutto ciò che è fuori dai suoi schemi o se siamo disposti a costruire una nuova ecologia relazionale.
Solo riconoscendo il volto dell’altro possiamo ritrovare anche il nostro.


sabato 14 giugno 2025

UNO e TRINO

 


*Domenica 15 giugno*


Solennità 

della SS Trinità


Gv 16,12-15

 

Meditazione Di S.B. Card. Pizzaballa

 Nel brano di Vangelo di oggi (Gv 16,12-15) ascoltiamo che Gesù, parlando dello Spirito Santo, ripete per due volte un’espressione un po’ particolare. Dice infatti che lo Spirito “prenderà da quel che è mio e ve lo annuncerà” (Gv 16,14.15).

Per provare a comprendere ciò che Gesù vuole dirci con quest’espressione, facciamo un passo indietro e arriviamo ad un brano dell’Antico Testamento in cui vediamo una situazione opposta rispetto a ciò di cui Gesù sta parlando.

Il brano in questione è Genesi 3,1-12. Dio aveva appena creato l’uomo ed era entrato in dialogo con lui. Il brano è noto: Dio consegna all’uomo tutta la creazione bella che era appena uscita dalle sue mani e, attraverso il comando riguardo all’albero della conoscenza del bene e del male, gli chiede però di rimanere in un atteggiamento mite, l’atteggiamento di chi non possiede nulla, ma tutto accoglie come dono. L’atteggiamento filiale di chi sa di non essere il padrone di tutto.

Ad un cero punto, però, compare il serpente e anch’esso entra in dialogo con la donna. Riprende le parole di Dio, ma non lo fa rispettando il pensiero di Dio. Ci aggiunge parole sue: piccole parole, insidiose, che bastano a generare nella donna il sospetto che Dio sia diverso da come si era manifestato nel giardino.

Dio aveva detto che l’uomo poteva mangiare di tutti gli alberi del giardino, tranne uno (“Tu potrai mangiare di tutti gli alberi del giardino” - Gn 2,16-17); il serpente chiede se è vero che non devono mangiare di nessun albero del giardino (“È vero che Dio ha detto: “Non dovete mangiare di alcun albero del giardino?” - Gn 3,1). Le parole cambiano di poco, ma il senso cambia completamente.

Il serpente vuole separare l’umanità dal suo creatore, e lo fa dicendo parole che generano nel cuore dell’uomo una menzogna, un’immagine distorta di Dio. Ma non si tratta solo di un’immagine distorta di Dio. Ad essa, infatti, corrisponde un’immagine distorta dell’uomo, che cessa di essere una creatura amata, e vive nel senso di colpa, nell’inganno di chi deve riconquistare la benevolenza di Dio.

Quest’immagine rimane impressa nel profondo della memoria umana, e dilaga velocemente, come solo la menzogna sa fare. Per cui l’uomo diventa incapace di portare il peso della verità (“Molte cose ho ancora da dirvi, ma per il momento non siete capaci di portarne il peso” - Gv 16,12) e diventa schiavo di una menzogna, dalla quale da solo non riesce a liberarsi.

Cosa può portare di nuovo l’uomo alla verità di sé, alla verità di Dio? È ciò che Gesù descrive nel Vangelo di oggi.

Lo Spirito non fa come il serpente: non aggiunge nulla alle parole di Gesù e non toglie nulla. Non ci mette del suo, perché vive nella stessa realtà di Gesù, perché sa che sono parole vere, che bastano alla salvezza dell’uomo. Quelle parole sono anche sue.

Allora può prenderle, perché nella Trinità tutto è in comune, e ci si dona reciprocamente gloria prendendo l’uno dall’altro, senza timore. Se tutto è in comune, posso prendere ciò che è dell’altro e non gli tolgo nulla, anzi: così facendo, confermo la verità della comunione che ci unisce.

Per l’uomo questo modo di vivere è un peso, una fatica: se qualcuno ci toglie qualcosa ci sentiamo mancanti, defraudati.

Nella Trinità è il contrario. Allora l’opera di Dio è portarci pian piano dentro questo nuovo modo di vivere e di pensare, quello della comunione.

L’umanità che ascolta le parole menzognere del serpente si trova alla fine isolata, povera e dispersa.

L’umanità che accoglie le parole di Gesù, quelle che lo Spirito prende e fa vivere in noi, ritrova la verità di sé e la verità di Dio. La verità della comunione e dell’amore reciproco, che rende l’umanità ricca di bene, di relazioni, di vita.

Questa è la “cosa futura” di cui parla Gesù (“lo Spirito della verità, vi guiderà a tutta la verità, perché non parlerà da se stesso, ma dirà tutto ciò che avrà udito e vi annuncerà le cose future” - Gv 16,13): ci è data, ma va accolta ogni giorno, sta davanti a noi come l’unica cosa che non passa, che rimane anche quando tutto il resto viene meno.

 

+ Pierbattista

Patriarcato Latino di Gerusalemme