Genitori fate mea
culpa
- - - di Laura Badaracchi
L’errata gestione e le modalità di innesco della rabbia
possono essere alla radice dei comportamenti violenti della Generazione Z e non
solo? È il tema approfondito nel seminario “La semeiotica della rabbia: alla
radice dei comportamenti violenti della Generazione Z”, tenutosi nei giorni
scorsi a Roma e promosso dal Centro di ricerca e studi sulla salute procreativa
dell’Università Cattolica, diretto da Maria Luisa Di Pietro. Si è trattato solo
di un primo appuntamento sulle cause scatenanti di questa emozione così
cruciale e sui possibili strumenti educativi o approcci per prevenirla, ha
anticipato Di Pietro, professoressa associata di Medicina legale alla Facoltà
di Medicina e chirurgia: «Sono in programma successivi seminari su presa in
carico, follow up, responsabilità dei medici». Sollecitati anche da «noti
episodi di cronaca», i relatori hanno messo in evidenza i possibili nessi «fra
rabbia, aggressività e violenza» che provocano comportamenti violenti «sia nei
confronti degli altri sia di se stessi, come infliggersi tagli e bruciature,
dipendenze, disturbi del comportamento alimentare, tentativi di suicidio. Oltre
a quella fisica, parliamo anche di violenza verbale, sociale, economica,
religiosa».
Per il vescovo Claudio Giuliodori, assistente ecclesiastico
generale dell’Università Cattolica del Sacro Cuore e dell’Azione Cattolica
italiana, la rabbia è un argomento «di stringente attualità con una grande
rilevanza anche nella lettura e comprensione del nostro tempo. Il nostro Ateneo
è una delle realtà accademiche che più si è dedicata all’analisi della
Generazione Z, con ricerche attente all’evoluzione del mondo giovanile. Alcuni
episodi violenti che vediamo in Italia e negli Stati Uniti, con giovani che
imbracciano le armi, sono fenomeni non solo da studiare, capire e curare: la
rabbia è un’emozione che fa parte dei processi che accompagnano la nostra
crescita, soprattutto dove alcune situazioni ci feriscono in ambito
relazionale; riceviamo più morsi che carezze. Diceva don Bosco: “Si può educare
solo con il cuore”».
È possibile individuare comportamenti di rabbia nel bambino e
nell’adolescenza, ha chiarito Gabriele Sani, professore di Psichiatria
all’Università Cattolica e direttore del Dipartimento di Psichiatria clinica e
d’urgenza del Policlinico Gemelli: «La rabbia è sempre collegata alla violenza,
che può essere evidente o comunicata con comportamenti diversamente violenti.
Noi adulti non stiamo regalando ai ragazzi un mondo bello, la rabbia viene
innescata anche da noi e abbiamo contribuito a crearla, ma non sempre è da
nascondere e da condannare: a volte è comprensibile e fisiologica». Ma per
capire gli adolescenti «non bastano i nostri livelli di pensiero: bisogna
provare a fare pensieri nuovi, mai fatti, quindi sentirsi impreparati. Funziona
più un genitore che si sforza a comprendere il figlio ma non ce la fa: non è il
risultato che conta, i figli vogliono vedere che facciamo fatica per loro.
Esiste quindi una rabbia manifesta, correlata a una serie di psicopatologie, ma
anche una rabbia nascosta che è molto più subdola, che deriva da esperienze di
deprivazione e ingiustizia; nessun bambino nasce arrabbiato», ha chiarito
Federico Tonioni, psichiatra e psicoterapeuta, ricercatore dell’Istituto di
psichiatria e psicologia nella Facoltà di medicina dell'Università Cattolica,
fondatore e direttore del Laboratorio sulle dipendenze da internet. «I genitori
si cercano nei figli dalla mattina alla sera, ma la ricerca del figlio ideale
può diventare schiacciante, una prima violenza che può generare rabbia:
riempire in continuazione i bambini di aspettative è un comportamento tossico»,
ha osservato, aggiungendo: «Il sintomo di ritiro sociale in adolescenza è
estremamente grave perché innaturale. Non diamo la colpa ai social. È una
rabbia che non si vede. Non è il controllo ad aiutarli, ma la fiducia e non
l’assenza: è la giusta distanza. Tuttavia la rabbia non si può gestire: o
emerge o resta nascosta e si somatizza. Alcuni esempi? Bambini che si ammalano
prima delle occasioni di massima socialità: il sistema immunitario è quello che
meglio collega l’inconscio con il corpo. L’energia trattenuta che non diventa
esperienza si somatizza, oppure può andare nell’apparato cognitivo e i bambini
diventano iper razionali o saggi, o sviluppano un disturbo oppositivo
provocatorio che esprime identità dicendo di no e le bugie. Se invece la rabbia
si usa in senso costruttivo, diventa un sedimento meraviglioso, una risorsa
formidabile».
Concorde la professoressa Daniela Chieffo, neuropsicologa e
psicoterapeuta, responsabile dell’unità operativa di Psicologia clinica del
Policlinico Gemelli, impegnata nella prevenzione della salute mentale dei
giovani e bambini: «Come racconta anche il film “Enea” di Pietro Castellitto,
che parla della rabbia come diritto da poter esprimere, la rabbia è una benzina
necessaria che fa dissotterrare emozioni e frustrazioni. Rabbia non è solo
urlare e insultare, ma anche imporre il silenzio, mettere in un angolo. C’è una
escalation nei conflitti di coppia: chi la esprime e chi non lo fa. Può essere
scatenata anche paura e ansia, da un lutto o da una forma di abuso subito: nei
disturbi di stress post traumatico la situazione tossica provoca una
neurodegenerazione».
Ma la rabbia «è anche il principale sistema di difesa
reattiva anche dal pericolo, dal disagio; è una finestra psicologica
sull’intimità della persona: quando vengono toccate le nostre aspettative, per
difenderci mettiamo in atto una reazione tesa a riaffermare i nostri diritti.
Il problema è che dobbiamo stare attenti a non calpestare le aspettative e i
diritti altrui. In un certo senso il sentimento della rabbia è una sorta di
sentinella della nostra identità. Dovremmo imparare a riconoscerne i segnali più
lievi e impercettibili così da dare a questo sentimento una forma verbale
appropriata, quando ancora si presenta come un’esigenza di cui è lecito
chiedere il rispetto. Quindi possiamo significarla ed esprimerla,
slatentizzarla, con chi abbiamo relazioni di fiducia».
Ma qual è il ruolo del pediatra e nel medico di medicina
generale nell’individuare i primi segni della rabbia? La pediatra Laura Reali
ha presentato un caso, precisando che «il pediatra prende in carico tutta la
famiglia con il bambino» e si avvale di collaborazioni con psicologi. Claudia
Felici, medico di Medicina generale che lavora nello stesso studio e segue
circa 345 assistiti della Generazione Z: «Nella quasi totalità dei casi i
disturbi emotivi e le difficoltà relazionali sono riferiti dai genitori, molto
spesso unicamente dalle mamme. L’espressione di disagio emotivo rappresentata
dalla rabbia non è così facilmente ammessa e rimane spesso nascosta. Nel mio
contesto non è infrequente che la famiglia si rivolga a uno psicoterapeuta
precocemente, per decisione autonoma o eventualmente sollecitata dagli
insegnanti. Spesso però è al medico di famiglia che la famiglia chiede aiuto e
non abbiamo una formazione specifica in questo campo».
Secondo lo psichiatra e psicanalista Emanuele Caroppo, «la
rabbia ci aiuta a trasformare una situazione scomoda in opportunità, il
cambiamento in occasione; diventa dannosa quando c’è un accumulo negativo. Come
evitarlo? Con la consapevolezza dei meccanismi negativi che ci fanno
arrabbiare, dando nome e parola alle emozioni. Se non la gestisci, la rabbia ti
tira in fondo e non la controlli più. Occorre una comunicazione assertiva, né
aggressiva né passiva, che riesca a dire all’altro quello che si sente senza
offenderlo e senza sentirsi frustrati».
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