UNA VOCE CHE GRIDA NEL DESERTO
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di Giuseppe Savagnone
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Un rifiuto folle?
È dei giorni scorsi la notizia, apparsa su tutti i giornali,
che la Leonardo – ex Finmeccanica,
gigante controllato dallo Stato, tra i massimi produttori mondiali di sistema
di difesa militare, di cui il maggiore azionista è il ministero dell’Economia
col 30% delle azioni – prima di Natale aveva proposto all’ospedale pediatrico
«Bambino Gesù» di Roma una donazione di un milione e mezzo di euro, da
destinare all’acquisto di macchinari per curare bambini e bambine affetti da
malattie rare, e che la direzione dell’ospedale l’ha rifiutata.
All’origine di questa decisione, a prima vista stupefacente,
ci sarebbe il “suggerimento” del Vaticano, che è il proprietario del «Bambino
Gesù». Si capisce la ragione. Uno dei punti su cui ha insistito papa Francesco,
in questi ultimi anni, è stato la convinzione che «dietro le guerre c’è il
commercio delle armi». Accettare questa donazione da un gruppo industriale
protagonista di questo business avrebbe svuotato di senso questa denunzia.
Soprattutto in un momento, come quello che viviamo, in cui
guerre sanguinose si combattono sia in Europa che nel Vicino Oriente, con
migliaia di vittime civili – compresi donne e bambini – grazie all’uso
massiccio di armamenti sempre più sofisticati e micidiali.
Da parte della Leonardo si è manifestato stupore per la
decisione del Vaticano: «In tutti i teatri di guerra in corso, a partire
dall’Ucraina e dal Medio Oriente, non c’è nessun sistema offensivo di nostra
produzione (…). Non capiamo questo rifiuto».
Uno stupore che è diventato aspra critica sui social e su
alcuni organi di informazione online, secondo cui è stato assurdo da parte del
«Bambino Gesù» rinunziare a un finanziamento che avrebbe potuto contribuire a
guarire e forse a salvare tanti bambini.
In realtà la vicenda è ancora parzialmente oscura, per via di
una serie di smentite incrociate che le hanno fatto seguito. Intanto, però, le
affermazioni del gruppo industriale sono state smentite da The Weapon Watch,
osservatorio sulle armi nei porti europei e mediterranei, secondo cui – come
rivelano chiaramente dei filmati ufficiali – ai bombardamenti indiscriminati di
Israele sulla Striscia di Gaza hanno partecipato le corvette «Ins Magen» e «Ins
Oz», le unità navali più grandi e più moderne della Marina militare israeliana,
con cannoni navali super rapidi Oto Melara 76/62 Multi-Feeding da 76mm,
costruiti negli stabilimenti Leonardo di La Spezia e consegnati alla Marina
militare israeliana, nella base navale di Haifa, il 13 settembre 2022, con
apposita cerimonia.
Alla luce di queste ulteriori notizie, la decisione del
Vaticano, che suona scandalosa agli occhi di un miope filantropismo, non è solo
indice di coerenza, ma ha un sapore evangelico che raramente traspare dai
comportamenti della Chiesa “ufficiale”. In una società dove tutto si può
comprare – anche una coscienza pulita – e dove tutto è in vendita – anche i
princìpi (naturalmente “a fin di bene”) – avere rinunziato a una somma così
consistente è un gesto davvero profetico.
È vero, con quei soldi si poteva fare tanto bene. Ma a che
prezzo? Accettarli avrebbe significato lasciar intendere che tutti gli appelli
e tutte le denunzie lasciano il tempo che trovano, davanti alla concreta
possibilità di trarre dei vantaggi dal sistema che si critica. Molti bambini
probabilmente sarebbero stati salvati, ma a costo di avallare l’uccisione di
moltissimi altri.
La Chiesa cattolica contro la guerra
E non si tratta solo dei bambini di Gaza. La battaglia morale
di papa Francesco contro la produzione e il commercio di armi ha una portata
che va ben al di là del conflitto palestinese. Essa richiama la nostra
attenzione sul fatto, spesso poco sottolineato, che la Chiesa cattolica è – già
dalla fine del Novecento – la sola voce che si oppone coerentemente e
radicalmente all’uso delle armi per risolvere i conflitti.
«Mai più la guerra!», aveva già detto Paolo VI il 4 ottobre
1965, nella sua prima visita alle Nazioni Unite. E lo stesso grido era stato
ripreso da Giovanni Paolo II, il 16 marzo 2003, alla vigilia del conflitto
scatenato dal presidente americano George Bush jr contro l’Iraq sulla base –
come tutti gli storici oggi riconoscono – di grossolane menzogne (la pretesa
responsabilità del governo di Bagdad negli attentati contro le torri gemelle e
la presunta minaccia di “armi di distruzione di massa”).
Suonano ancor oggi di un terribile realismo le parole allora
pronunziate da papa Wojtyla per cercare di fermare l’intervento delle forze
alleate guidate dagli Stati Uniti, con cui il pontefice ammoniva, già allora,
sulle «tremende conseguenze che un’operazione militare internazionale avrebbe
per le popolazioni dell’Iraq e per l’equilibrio dell’intera regione del Medio
Oriente, già tanto provata, nonché per gli estremismi che potrebbero
derivarne».
Tutto questo si è puntualmente verificato. La fulminante
vittoria militare sul campo, trionfalmente annunciata dagli americani al grido
di «Missione compiuta», è stata in realtà seguita da una totale
destabilizzazione dell’intera area, da massacri di civili, e dall’enorme
potenziamento delle organizzazioni estremiste e terroristiche, come l’Isis,
creando gravissimi problemi anche agli Stati Uniti, incapaci di controllare il
disastro che, con il loro “successo”, avevano
determinato.
Oggi papa Francesco, in un contesto internazionale che vede
lo scatenamento di una «terza guerra mondiale a pezzi», come egli l’ha
definita, continua coraggiosamente sulla linea dei suoi predecessori.
La posizione “alternativa” di papa Francesco
Lo ha già fatto in occasione della guerra tra Russia e
Ucraina. Senza affatto misconoscere le gravissime responsabilità di Putin e i
diritti del paese aggredito, il pontefice non si è però allineato alla
posizione della Nato, volta solo a isolare la Russia e a sconfiggerla
militarmente sul campo. Attirandosi aspre critiche, come quelle rivoltegli
nell’agosto del 2023 dal governo ucraino per un discorso rivolto ai giovani
russi, in cui li invitava a non dimenticare la loro grande eredità culturale e
spiritale.
Parole incompatibili con una linea internazionale che aveva
portato tutto il mondo occidentale a demonizzare il popolo russo in quanto
tale, fino a cancellare dalle programmazioni teatrali le opere di autori russi
ad escludere da tutte le gare sportive internazionali – perfino dalle
paraolimpiadi di Pechino! – non solo le rappresentanze ufficiali di quel paese,
ma gli atleti che anche soltanto fossero nati in Russia.
In realtà, ancora una volta, la convinzione di risolvere il
conflitto con le armi si è rivelata vana, confermando il realismo dell’appello
del papa a cercare altre vie.
E lo stesso sta accadendo nella guerra cominciata dopo il
feroce attacco di Hamas contro Israele e condotta con altrettanta spietatezza
dallo Stato ebraico, nella dichiarata fiducia di poter risolvere i problemi
della propria sicurezza puntando sulla sua enorme superiorità militare. Con
risultati che in realtà sono fallimentari e anzi controproducenti anche
riguardo agli obiettivi dichiarati, – sradicare Hamas e liberare gli ostaggi –
, ma che in realtà saranno ancora più disastrosi a lungo termine, sia per
l’isolamento internazionale in cui Israele si sta confinando, sia per il
prevedibile risentimento dei palestinesi, che alimenterà altre e più atroci violenze nei suoi confronti.
Francesco, in linea con i pontefici prima di lui, anche in
questo caso non si stanca di denunziare questa vanità: «La guerra è una
sconfitta, sempre!», ha ripetuto anche a proposito di quella di Gaza.
Attirandosi, anche stavolta, incomprensioni e accuse, come quelle del Consiglio
dell’Assemblea dei Rabbini d’Italia e dell’American Jewish Commettee – una
delle più antiche organizzazioni ebraiche mondiali – per aver usato il termine
«terrorismo» parlando delle bombe sui civili della Striscia, senza fare alcuna
distinzione – denunciava il comunicato dell’American Jewish Commettee – tra gli
atti di «violenza intenzionale» del 7 ottobre da parte di Hamas e le vittime
involontarie che si verificano purtroppo in una «guerra giusta».
Evidentemente per il papa una guerra che ha già provocato
“involontariamente” 24.000 morti, nella stragrande maggioranza uomini, donne,
bambini innocenti, non può essere «giusta». Un’idea, del resto, che è stata
condivisa da milioni di persone che, in tutto il mondo occidentale, in questi
mesi hanno manifestato contro il sistematico massacro dei civili a Gaza, ma che
non è stata condivisa dalla maggior parte dei rispettivi governi, lasciando
anche questa volta la posizione della Chiesa in un totale isolamento.
Anche se, negli ultimi tempi, perfino il più fedele alleato
di Israele, gli Stati Uniti, non certo sospetto di antisemitismo, ha cominciato
a mostrare le sue crescenti perplessità per i metodi usati dall’esercito
israeliano e a dire chiaramente che non potranno essere le bombe a produrre la
pace. A conferma che la posizione del papa, accusata di essere utopistica e di
favorire i terroristi, è anche in questo caso – come in tanti precedenti –
assai più realistica di quella dei suoi accusatori.
I profeti raramente sono stati ascoltati. E di solito hanno
pagato di persona il loro coraggio nel discostarsi dalle posizioni dei potenti.
Gesù di Nazareth è addirittura finito sulla croce. Non c’è da stupirsi che
qualcosa di simile possa accadere al suo vicario. Forse è proprio questa
solitudine di Francesco – lo si è accusato perfino di antisemitismo! – la migliore garanzia della fedeltà alla sua
missione. La sua voce continuerà probabilmente a risuonare nel deserto. Ma è
questo che la rende annuncio di speranza in un mondo diverso.
* Responsabile del sito
della Pastorale della Cultura dell'Arcidiocesi di Palermo,
Scrittore ed Editorialista.
www.tuttavia.eu
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