Il significato del Giorno della Memoria e l’antisemitismo
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di Giuseppe Savagnone*
Polemiche per il Giorno della Memoria
Il Giorno della Memoria è una ricorrenza internazionale,
celebrata il 27 gennaio di ogni anno, per commemorare le vittime della Shoah. A
istituirla è stata l’Assemblea generale delle Nazioni Unite, con la risoluzione
60/7 del 1 novembre 2005. Con essa si è voluto non soltanto garantire il ricordo del genocidio dei sei milioni di
ebrei sterminati dai nazisti, ma anche – come si dice all’art. 2 della legge
n.211, con cui la giornata è stata introdotta in Italia – assicurarsi «che
simili eventi non possano mai più accadere».
È questo secondo e fondamentale scopo della celebrazione che
quest’anno, segnato dalla guerra di Gaza, l’ha resa oggetto di amare polemiche.
Già in passato, a dire il vero, qualche problema era sorto. Come nel gennaio
2022, quando Moni Ovadia, uno degli artisti ebrei più famosi d’Italia, lanciò
l’iniziativa, a Ferrara, di una “Settimana delle Memorie”, in cui ricordare
tutti i genocidi compiuti nel ‘900, da quello degli armeni ad opera dei turchi
a quello dei tutsi in Ruanda. Un’idea che non era piaciuta al presidente della
Comunità ebraica della stessa città, Fortunato Arbib. «Il rischio», aveva
obiettato Arbib in un comunicato, «è che con il Festival si abbia un effetto di
banalizzazione, di diluizione e di spettacolarizzazione di una tragedia unica
per finalità, dimensione sia numerica che territoriale, modalità e scientifica
ferocia».
Ma più ancora della banalizzazione, ad essere temibile,
secondo Liliana Segre – una delle ultime superstiti viventi di Auschwitz –
sarebbe l’abitudine: «So cosa dice la gente del Giorno della memoria. La gente
già da anni dice, “basta con questi ebrei, che cosa noiosa’”», notava la
senatrice alla vigilia della giornata nel 2023. «Il pericolo dell’oblio c’è
sempre (…). Tra qualche anno sulla Shoah ci sarà una riga tra i libri di storia
e poi più neanche quella».
Per non parlare dello squallido fenomeno del negazionismo,
per cui c’è addirittura che sostiene, contro ogni prova storica, che
l’Olocausto in realtà non è mai avvenuto ed è un’invenzione degli ebrei. Una
presa di posizione che, secondo una sentenza della Corte di Cassazione del
2022, «integra il reato di propaganda di idee fondate sulla superiorità o
sull’odio razziale o etnico».
Non c’è paragone, tuttavia, tra quanto ha potuto turbare il
clima del Giorno della Memoria negli anni scorsi e il clima rovente in cui si
svolge in questo 2024. Ne è un segnale evidente
l’invito, chiaramente provocatorio, rivolto su HuffPost da un noto
giornalista, Pierluigi Battista: «Un consiglio: disertate le manifestazioni
ufficiali del Giorno della Memoria celebrate da chi non dice una parola sulla
caccia all’ebreo che sta funestando il mondo intero dopo il 7 ottobre. Dai
professionisti del “mai più” che fanno finta di non accorgersi che siamo in un
clima fetido da “ancora una volta”. Da chi non ha nulla da obiettare (…) a chi
vuole distruggere lo Stato ebraico».
In questo contesto è scoppiata la polemica per la
manifestazione pro-Palestina indetta a Roma
per il 27 gennaio da Movimento degli studenti palestinesi. Suscitando le
proteste del presidente della Comunità Ebraica, Victor Fadlun: «Sarebbe una
sconfitta per tutti. Non capiamo come sia stato possibile concedere
l’autorizzazione in una ricorrenza che è internazionale e per di più dopo il
massacro antisemita del 7 ottobre. Alle istituzioni, nazionali e locali,
chiediamo di impedire questa vergogna».
Da parte loro, gli organizzatori hanno rivendicato il senso
della loro iniziativa, volta a «smascherare le incoerenze e le ipocrisie di un
sistema che si batte il petto per le vittime di un genocidio già avvenuto,
mentre volta lo sguardo indifferente e complice di un genocidio in corso».
La risposta del ministero degli Interni, Matteo Piantedosi, è
stata una circolare alle questure di tutta Italia in cui ha invitato non a
vietare, ma a rinviare ad altra data i cortei in sostegno alla popolazione
palestinese organizzati per sabato 27 gennaio.
Il punto di vista dell’Unione delle Comunità Ebraiche
Italiane
Per capire e spiegare questi contrasti bisogna risalire alla
diversa – anzi opposta – visione di quanto si sta svolgendo in questi mesi in
Palestina e sul modo in cui la comunità internazionale sta reagendo ad essa.
Per Noemi Di Segni, presidente dell’Unione delle Comunità
Ebraiche Italiane (UCEI), la data fondamentale in cui si riassume tutto ciò che
sta accadendo è il 7 ottobre, il giorno dell’attacco spietato di Hamas.
«Non abbiamo ancora trovato un nome univoco per far
comprendere l’orrore che si è abbattuto su tutto il popolo ebraico, ha scritto
la Di Segni. «Il 7 mattina è cambiato il nostro destino, è cambiato il mondo, e
nulla può tornare come prima».
Questo strazio è accresciuto, secondo lei, «dal silenzio di
chi dovrebbe denunciare l’accaduto: «Silenzio dell’ONU per le sevizie contro
bambini e neonati, violenze e torture sulle donne, rapimento di civili e la
lista è lunga. Silenzio della Croce Rossa che non lamenta o non prova a
visitare ed accertare la situazione degli ostaggi. Silenzio di tutte le Ong di
difesa diritti umani per quanto avvenuto il 7 ottobre e per quanto sta
accadendo in questi giorni in molte nostre comunità in tutto il mondo. In parallelo
al silenzio assordante, ci sono gli slogan urlati da chi difende in modo
superficiale e demagogico il popolo palestinese e attacca gli interventi di
difesa dell’esercito israeliano».
Segue l’invito a «far cessare gli appelli umanitari diretti
unicamente verso Israele, un paese che agisce secondo morale e non si è
sottratto alle norme internazionali». Infine, la conclusione della presidente
dell’UCEI: «L’antisemitismo è tutto questo. Non è mai sopito e si è presentato
in questi trenta giorni con il volto del terrorismo radicale e l’abbraccio
europeo dell’ignoranza e l’ottusità dilagante».
In queste parole è evidente il richiamo al pathos della Shoah
e , legato a questo, l’identificazione della causa dell’ebraismo con quella
dello Stato ebraico. L’antisemitismo sarebbe evidente nelle critiche di chi
«attacca gli interventi di difesa dell’esercito israeliano» e il governo di Tel
Aviv, «che agisce secondo morale e non si è sottratto alle norme
internazionali».
Ma i fatti dicono altro…
Bisogna capire e rispettare lo stato d’animo di chi rivive
nella tragica vicenda del 7 ottobre una
storia del passato che sembra riprodursi nel presente. Ma ci sono dei fatti
incontestabili che contrastano nettamente con la versione che ne dà la Di
Segni.
Primo fra tutti non è vero che l’ONU, la Croce Rossa e le
varie Associazioni internazionali abbiano taciuto. A cominciare dal segretario
generale dell’ONU, Guterres: «Ho condannato in modo inequivocabile gli orribili
e inauditi atti di terrore compiuti da Hamas il 7 ottobre in Israele. Nulla può
giustificare l’uccisione, il ferimento e il rapimento deliberato di civili – o
il lancio di razzi contro obiettivi civili. Tutti gli ostaggi devono essere
trattati umanamente e rilasciati immediatamente e senza condizioni».
Al tempo stesso, però, ha continuato, «è importante
riconoscere che gli attacchi di Hamas non sono venuti fuori dal nulla. Il
popolo palestinese è stato sottoposto a 56 anni di soffocante occupazione».
Certo, ha concluso «le rimostranze del popolo palestinese non possono
giustificare gli spaventosi attacchi di Hamas». Ma, a loro volta, questi
terribili attacchi non possono giustificare la punizione collettiva del popolo
palestinese».
Significativa la reazione furibonda dell’ambasciatore
israeliano all’ONU: «Il segretario generale dell’ONU, che mostra comprensione
per la campagna di sterminio di massa di bambini, donne e anziani, non è adatto
a guidare l’ONU. Lo invito a dimettersi immediatamente». È la linea della Di
Segni.
Chiunque accenni alla storia di violenze – documentate e innegabili – che prima del 7
ottobre hanno esasperato lo scontro fra israeliani e ed arabi – non certo per
giustificare la strage di Hamas, ma per capirne l’origine – , è accusato di
“tacere” sulla gravità di quella strage.
Così come, secondo la presidente dell’UCEI, “tace” chiunque
fa notare che la razione di Israele è stata molto di più che un’operazione “di
difesa” – come a lungo anche la stampa e i governi occidentali hanno sostenuto
– e ha configurato piuttosto un massacro indiscriminato di persone (quasi
26.000 civili, per gran parte donne e bambini, uccisi nei primi tre mesi e
mezzo); una deportazione in massa dal nord al sud e un taglio delle risorse
alimentari, energetiche e sanitarie; una
sistematica distruzione di abitazioni, di scuole, di moschee, di uffici, di
ospedali; una altrettanto sistematica e deliberata devastazione dell’ambiente
(inquinamento delle falde idriche, desertificazione del territorio, che lo ha
reso di fatto inabitabile). Anche dopo questo – non solo per la strage del 7
ottobre – «è cambiato il mondo, e nulla può tornare come prima!
A confermare la gravità di quanto sta accadendo è la sentenza
del Tribunale penale internazionale dell’Aia che, proprio alla vigilia del
Giorno della memoria, ha chiesto a Israele di adottare «le misure necessarie
per evitare un genocidio», riconoscendo così la plausibilità della gravissima
accusa rivolta a Israele dal Sud Africa. Significativa la reazione del ministro
della sicurezza israeliano Itamar Ben Gvirha, che ha definito la Corte dell’Aia
«antisemita».
In realtà, ad essere assordante è stato il silenzio dei
governi occidentali su questo massacro. Anche se ultimamene perfino loro hanno
cominciato a mostrare un certo disagio. Significativo, a questo proposito, lo
sfogo dell’alto rappresentante dell’Unione Europa per gli Affari eteri, Joseph
Borrell: «La situazione umanitaria a Gaza non potrebbe essere peggiore, non c’è
cibo, medicine e le persone sono sotto le bombe (…). Non è il modo di condurre
un’operazione militare, e lo dico nel rispetto delle vittime del 7 ottobre».
Celebrare il Giorno della Memoria non può significare
legittimare la politica e il modo di condurre la guerra dello Stato ebraico. Si
può discutere sui cortei, ma non sul fatto che rimpicciolire questa ricorrenza,
riducendola a una consacrazione delle pretese ragioni di uno Stato che sta
mostrando il suo volto peggiore, significa tradire le stesse vittime della
Shoah, che hanno diritto di essere
ricordate non per un presunto collegamento con quello Stato, ma perché esseri
umani. Come i palestinesi.
*Scrittore ed
Editorialista. Responsabile del sito della Pastorale della Cultura
dell'Arcidiocesi di Palermo.
www.tuttavia.eu
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