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di Italo Fiorin
Si va a
scuola non semplicemente per ‘apprendere’, ma per apprendere insieme agli
altri. La dimensione sociale è nella natura stessa dell’istituzione scolastica.
Quindi,
si va a scuola per imparare in un contesto di relazioni.
La
dimensione relazionale non è, però, solo il contesto nel quale si apprende, ma
è essa stessa oggetto di apprendimento.
Un clima competitivo incide in maniera molto diversa da un clima cooperativo,
questo è evidente.
Considerare buona la condotta di chi non disturba e, non sia mai, non contesta e’ molto diverso dal promuovere comportamenti pro-sociali e incoraggiare a ragionare con la propria testa.
Privilegiare comportamenti individualistici e competitivi non
è la stessa cosa che insegnare ad apprendere cooperando e aiutandosi
reciprocamente. Ritenere che studenti con situazioni per vari motivi
penalizzanti (disabilità, background migratorio …) costituiscano un ostacolo
per i loro compagni più dotati, propone un’idea di scuola selettiva e
difensiva, nella quale i più fortunati non siano rallentati nel loro percorso
scolastico.
Ma è
proprio così? E’ questo il modo migliore per prepararli a ‘stare al mondo’? Che
cosa perde un alunno che non è invitato a relazionarsi positivamente con gli
altri, ad aiutarli e farsi aiutare, ad apprendere modalità cooperative di
studio, di ricerca, di soluzione di problemi?
Che cosa
perde la scuola che non sa rendersi ospitale della diversità, che
inevitabilmente la abita?
La bella vignetta di Biani ci interroga. A che cosa serve la scuola? Quale è il senso dell’apprendimento?
Che rapporto ha con la realtà?
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