mercoledì 17 gennaio 2024

PARLARE D'AMORE


 Quello che i vostri figli 

non dicono.

Perché si  deve parlare d’amore

 

 

-         di Roberta Vinerba

 I giovani attendono da noi una parola a riguardo. L'amore è Dio, non possiamo restare ai margini. Noi offriamo un'educazione all'amore che si rivolge a tutta la persona, anima e corpo.

 Si può insegnare l’amore? Se per insegnare intendiamo educare, sì. Non solo si può, ma si deve. Educare dal latino educere (tirare fuori) è, in questo caso, rendere comprensibili, ovvero afferrabili, ragionevoli e convenienti per la propria felicità, quei contenuti di coscienza che, dalle inclinazioni naturali si diramano in pulsioni ed emozioni e trovano una prima concretezza normativa nel decalogo. In questo percorso la persona impara che l’amore è esperienza totale, di anima e di corpo nell’unità della persona che non può ritrovarsi se non in dono di sé che, proprio perché dono personale, ha le caratteristiche della esclusività e del per-sempre.

 La mia esperienza di educatrice, da questo punto di vista, si articola su alcuni punti saldi, tutti confermati e consolidati da lunga esperienza sul campo. Prima di tutto, giovani e meno giovani attendono da noi Chiesa, una parola al riguardo. L’amore è Dio: possiamo restare ai margini, possiamo non rispondere a queste aspettative? Possiamo ancora considerare l’educazione all’amore cosa che non ci riguarda, da derubricare ad educazione sessuale, adatta a ben altre agenzie educative? No, non possiamo, abbiamo latitato per troppo tempo.

 Ancora: noi offriamo una educazione all’amore che si rivolge a tutta la persona, corpo ed anima, come una unitotalità: in nessuna esperienza umana il corpo non porta i segni dello spirito, non si capisce perché proprio per quella dell’amore sia acclarata la distinzione tra “fare l’amore” e “fare sesso” come attività ludica che non coinvolge il nucleo spirituale della persona.

 La nostra, prima che morale, è offerta antropologica: abbiamo una visione di uomo, di donna, che è bella, sensata, e che risponde alle istanze che ci inabitano nel profondo: il nostro compito è prima di tutto, presentare la bellezza e la liberante esperienza dell’amore e delle sue esigenze morali, come risposta a ciò che ciascuno attende.

 Nella mia esperienza, nei corsi e negli incontri, ho scoperto che spesso sono proprio i lontani dalla fede che restano sorpresi dalla bellezza della proposta cristiana e non poche volte mi è accaduto di assistere ad un vero e proprio ritorno alla fede da parte di chi, arrivato scettico, magari trascinato, si trova coinvolto in qualcosa che gli fa esclamare: questo io voglio!

 Certo, ci sono argomenti per i quali sarebbe facile presentare una verità raccorciata, offrire una misericordia dolciastra come scappatoia vile: ho sperimentato invece che l’amore è sempre pieno di verità e solo a queste condizioni la misericordia non mortifica, ma realmente libera.

 Non si tratta di censurare alcuni argomenti, non si tratta di offrire la possibilità di percorsi per-chi-non-ce-la-fa (perché è vero quello che affermava Giovanni Paolo II: la legge morale non può mai essere mortificante l’uomo perché è l’esigenza che egli trova in sé), si tratta di accompagnare le persone secondo la legge di gradualità (il bene possibile ora, dice papa Francesco) ma senza mai assumersi la responsabilità di oscurare o di abbassare la meta.

 www.avvenire

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