Alcune questioni cruciali
Segretario per gli Affari europei del Jesuit European Social Centre di Bruxelles.
Le
elezioni europee del 2024 si svolgeranno da giovedì 6 a domenica 9 giugno,
giorni in cui i cittadini degli Stati membri dell’Ue saranno chiamati a
eleggere i propri rappresentanti al Parlamento europeo. In un anno
caratterizzato da elezioni in molti Paesi chiave – Stati Uniti, Brasile, India,
Indonesia, Pakistan, per citarne solo alcuni –, le elezioni europee
rappresentano forse un’eccezione, non essendo a carattere nazionale, ma non
sono certamente le meno importanti. Infatti, hanno diritto di voto quasi 400
milioni di cittadini europei. Ciò rende tali elezioni seconde a livello
mondiale solo a quelle federali indiane, in termini di democrazia
rappresentativa. Nella misura in cui influenzano le politiche dell’Ue, il loro
impatto è globale: sebbene l’Unione europea non sia più la potenza economica di
un tempo, essa appartiene ancora, insieme agli Stati Uniti e alla Cina, a un
gruppo molto selezionato di attori che definiscono la politica mondiale.
Le
elezioni europee sono anche un caso unico, in quanto coinvolgono Paesi diversi,
con storia, tradizioni e lingue molto differenti. Mobilitano decine, se non
centinaia, di partiti politici a livello nazionale, che offrono il loro punto
di vista sulle questioni attuali. Riguardano un sistema sovranazionale che
collega gli Stati-nazione in una rete di istituzioni e obblighi comuni, per
comporre un assetto che è ancora pressoché unico nel suo genere.
Non
si pretende qui di offrire una visione esaustiva di tutta la posta in gioco
nelle elezioni europee del 2024. Ovviamente poche pagine non basterebbero. Lo
scopo è piuttosto quello di presentare alcune delle sfide che tali elezioni si
trovano ad affrontare, di evidenziarne le potenziali ripercussioni e di
identificare alcune questioni essenziali per l’Europa di oggi, in una
prospettiva cattolica.
Per
che cosa votano gli europei, di preciso?
Innanzitutto,
che cosa possono decidere gli elettori europei con il loro voto? È una domanda
importante, dal momento che le conseguenze del voto dei cittadini variano molto
a seconda del sistema democratico in cui lo si esprime. L’architettura europea
è sostanzialmente basata su un sistema di tre attori. Il primo, il Consiglio
europeo, riunisce i rappresentanti degli Stati membri (ministri o capi di
governo, a seconda dei casi). È allo stesso tempo una istituzione che opera, in
un certo senso, analogamente a un presidente dotato di poteri – fissa
orientamenti, trova compromessi ecc. – e a una Camera alta, che condivide
equamente il potere legislativo con il Parlamento. Questa è l’istituzione meno
toccata dalle elezioni europee. La sua legittimità proviene dalle elezioni
nazionali, non da quelle comunitarie, e il suo equilibrio politico può essere
molto diverso da quello parlamentare. In effetti, il Partito popolare europeo –
che attualmente è il gruppo più numeroso in Parlamento – non ha molto potere a
livello nazionale, soprattutto nei grandi Paesi. Per il Consiglio, le elezioni
europee sono, tutt’al più, un indicatore dello stato d’animo della popolazione,
percepito attraverso una prospettiva nazionale.
Possiamo
intendere la Commissione europea come l’organo amministrativo dell’Ue, sebbene
sia dotata di competenze solitamente riservate a un governo in un contesto
nazionale. La Commissione prepara proposte legislative, aiuta a negoziarne
l’adozione da parte del Consiglio e del Parlamento, e poi le attua, anche
emanando sotto delega la legislazione secondaria. Dovrebbe essere un attore
indipendente e garante dei trattati. Questa neutralità non si ottiene facendola
gestire interamente da figure apolitiche, ma piuttosto selezionando figure
politiche diverse – in termini di origini nazionali e politiche –, che vengono
messe a capo dei settori politici della Commissione, attraverso un processo che
coinvolge gli Stati membri, il futuro capo della Commissione e il Consiglio.
La
Commissione risente in misura limitata delle elezioni europee. Una volta
selezionati, i potenziali commissari vengono esaminati dal Parlamento, che poi
vota per accettare la Commissione che è stata composta. Ciò dà in pratica al
Parlamento la possibilità di respingere i candidati, negandone l’approvazione.
Si tratta di una scelta che è ben lungi dal costituire una selezione diretta
dei commissari attraverso il voto popolare, ma in compenso garantisce un
equilibrio tra la legittimità del Consiglio e quella del Parlamento riguardo
alla costituzione della Commissione.
Quanto
al presidente della Commissione, le cose vanno in maniera leggermente diversa.
In vista delle elezioni del 2014, era invalsa l’idea di dare più peso
democratico a tale carica, secondo il sistema dello spitzenkandidat. Di che si
tratta? I partiti politici europei presentano un candidato a capo della loro
campagna e, a suo tempo, il Consiglio individua come presidente della
Commissione il candidato del partito che ha ottenuto più seggi. Così è accaduto
ai tempi della Commissione Juncker, nel 2014. Tuttavia, in seguito gli Stati
membri, poco convinti del tenore democratico di quella modalità e ancor meno
convinti circa Manfred Weber, allora candidato del Partito popolare europeo
(Ppe), nel 2019 hanno accantonato questa pratica, per scegliere invece Ursula von
der Leyen (connazionale e dello stesso partito di Weber).
In
teoria, il sistema dello spitzenkandidat è stato ripreso per il 2024, ma in
modo poco convinto. Nessuna formazione politica può realisticamente sperare di
detronizzare il Ppe come primo partito in Parlamento. A sua volta, il Ppe,
sapendo di non avere punti di riferimento nelle capitali nazionali, ha scelto
di nuovo von der Leyen come candidata, con una votazione piuttosto deludente,
non tanto perché ella incarni l’attuale linea del partito, ma piuttosto perché
è ritenuta accettabile dagli Stati membri.
Il
terzo e ultimo attore principale dell’Ue è il Parlamento. Esso ovviamente è il
più legato alle elezioni, che ne determinano in modo diretto la composizione.
Negli ultimi decenni, soprattutto dopo il Trattato di Lisbona, esso si è
rivelato un vero e proprio contrappeso del Consiglio. Nell’ambito della
procedura legislativa ordinaria, che oggi costituisce la forma più comune di
adozione delle leggi europee, i testi vengono proposti dalla Commissione. Dopo
un periodo di negoziati tra Commissione, Consiglio e Parlamento, noto come
«trilogo», i progetti, previa approvazione, vengono adottati sia dal Parlamento
sia dal Consiglio. Poiché per lo più i testi vengono ratificati anche da
maggioranze qualificate in seno al Consiglio, il Parlamento ha più margine di
manovra nei negoziati, non dovendo affrontare il compito, spesso impossibile,
di accontentare ogni singolo Paese. Oltre al ruolo legislativo, esso ha voce in
capitolo sul bilancio dell’Ue e controlla il lavoro della Commissione. Funge
anche come luogo d’influenza, dove gli eurodeputati – i membri del Parlamento
europeo –, attraverso mozioni e dichiarazioni, cercano di attirare l’attenzione
sia del pubblico in generale sia dei responsabili politici su varie questioni.
Recenti
sondaggi danno un’idea della direzione che prenderà il Parlamento nel 2024. I
cristiano-democratici (Partito popolare europeo) dovrebbero più o meno
mantenere i loro seggi e rimanere il primo gruppo del Parlamento. I socialisti
(Alleanza progressista dei socialisti e dei democratici, S&D) potrebbero
subire un lieve calo, che tuttavia non impedirà loro di mantenere la loro
posizione come seconda forza. I centristi-liberali (Renew Europe) probabilmente
andranno incontro a un calo più sensibile, passando dal terzo al quarto posto.
Un destino analogo potrebbe toccare ai due gruppi più piccoli: gli ecologisti
(Verdi – Alleanza libera europea) e la formazione della sinistra radicale (La
Sinistra). Nel frattempo, i conservatori euroscettici (Conservatori e
riformisti europei, Ecr) e gli euroscettici di estrema destra (Identità e
democrazia, Id), sono destinati ad aumentare in modo rilevante, al punto da
ottenere il terzo posto, sottraendolo a Renew.
Queste
evoluzioni potrebbero comportare un significativo spostamento a destra del
Parlamento. Finora la coalizione centrista (Ppe+S&D+Renew) è stata compatta
riguardo a molte questioni fondamentali, come il bilancio, gli affari economici
e monetari, quelli esteri o il mercato interno. A volte è stata superata da una
coalizione di centrosinistra (Sinistra+Verdi+S&D+Renew), soprattutto per
quanto concerne le libertà civili, le questioni sociali o l’ambiente. Esisteva
anche una possibile coalizione di centrodestra (Renew+Ppe+Ecr+qualche Id),
soprattutto su agricoltura, politica industriale e commercio. Ovviamente si
tratta di un quadro molto semplificato, perché la disciplina di gruppo non è
rigida come nelle assemblee nazionali e non tiene conto dei partiti non allineati
[1].
Il
grande cambiamento avverrà nel segno dell’impossibilità numerica di una
coalizione di centrosinistra. Questo darà al Ppe un grande potere d’influenza
sul passaggio a norme ambientali meno vincolanti o a politiche migratorie più
rigide. Il Ppe avrà la possibilità di pretendere testi di suo gradimento nel
quadro di una coalizione centrista, oppure di spingere tali questioni verso una
coalizione di centrodestra. Quanto ai partiti populisti e di estrema destra,
essi eserciteranno un’attrazione ben maggiore al momento di convincere il Ppe a
formare una coalizione.
Concezioni
divergenti del progetto europeo
Veniamo
ora alle questioni chiave in gioco nelle elezioni del 2024. Una prima linea di
frattura c’è tra i partiti che sostengono il perseguimento di una più stretta
integrazione europea e quelli convinti che l’integrazione sia già andata troppo
oltre e debba essere arginata, se non ridotta – o addirittura azzerata –, per
preservare la sovranità degli Stati.
La
Commissione delle Conferenze episcopali della Comunità europea (Comece) ha reso
noto il suo punto di vista su questo argomento. Riflettendo sulle origini del
progetto dell’integrazione europea, i vescovi della Comece affermano, in
termini inequivocabili, di credere «che per noi europei questo progetto
iniziato più di settant’anni fa debba essere sostenuto e portato avanti»[2].
Essi invitano inoltre i cristiani a votare per «persone e partiti che
chiaramente sostengano il progetto europeo e che riteniamo ragionevolmente
vorranno promuovere i nostri valori e la nostra idea di Europa, come il
rispetto e la promozione della dignità di ogni persona umana, la solidarietà,
l’uguaglianza, la famiglia e la sacralità della vita, la democrazia, la
libertà, la sussidiarietà, la salvaguardia della nostra “casa comune”».
La
dichiarazione della Comece si basa sulla convinzione che il progetto di
integrazione europea stia effettivamente portando pace, libertà e prosperità
nel nostro continente e promuova ancora gli ideali della comunità e della
dignità della persona umana che hanno ispirato i suoi padri fondatori, molti
dei quali erano cristiani. Sebbene non sia perfetta, l’Ue riesce comunque a
riunire attorno a un tavolo molti Paesi, che altrimenti potrebbero considerarsi
concorrenti tra loro. Qualsiasi tentativo di indebolire i meccanismi che
vincolano insieme gli Stati europei potrebbe spingerli verso una dinamica
centrifuga. Una visione lucida della storia europea e della situazione attuale
dimostra che la buona volontà, da sola, non è sufficiente.
Inoltre,
si può sostenere che l’integrazione europea rientri a pieno titolo in una
migliore comprensione del principio di sussidiarietà. Nell’insegnamento sociale
cattolico, la sussidiarietà non è soltanto un principio legalistico riguardante
l’attribuzione dei poteri, ma costituisce un’ingiunzione positiva, e valida a
qualsiasi livello del potere politico, a responsabilizzare attivamente tutti
gli attori a esso affidati: famiglie, organizzazioni della società civile,
entità economiche e politiche o territori. Non si tratta di preservare il
potere di qualcuno, ma piuttosto di condividerlo, al servizio del bene comune.
Aprendo le sue frontiere, l’Ue ha anche dischiuso opportunità di cooperazione
transfrontaliera e ha dato la possibilità a molti cittadini, organizzazioni e
imprese di creare reti o di cogliere opportunità che fino ad allora il proprio
ordinamento nazionale aveva tenuto fuori dalla loro portata.
Neanche
la sovranità dello Stato è un idolo. Pur riconoscendo l’importanza di
preservare il patrimonio culturale e spirituale delle nazioni e sottolineando
la necessità di uno Stato ben ordinato che sappia tutelare il benessere dei
suoi cittadini, l’insegnamento sociale cattolico non esita a trasferire i
poteri a entità sovranazionali, quando se ne presenta la necessità, soprattutto
quando i Paesi vi si sono liberamente vincolati. L’esortazione apostolica
Laudate Deum offre un esempio recente di questa visione, perché chiede
esplicitamente la creazione di meccanismi applicativi, comprese le sanzioni,
per salvaguardare l’efficacia degli impegni internazionali sul clima. E ciò
vale ancora di più quando il livello sovranazionale si dota di proprie
strutture democratiche.
Rapporto
con i valori cristiani
Anche
l’atteggiamento che i partiti presentano rispetto al retaggio cristiano
dell’Europa è una questione impegnativa, che invita gli elettori alla prudenza
di giudizio. Da un lato, alcuni partiti hanno elevato l’identità cristiana a
vessillo di battaglia. Bisogna valutare, tramite un esame attento, se tali
riferimenti vengano esibiti con sincerità e con rette intenzioni. È opportuno
verificare, in particolare, se i valori cristiani vengano promossi prestando
attenzione alla più ampia cornice della dottrina sociale cattolica, compresi i
valori della compassione e dell’attenzione ai più vulnerabili, o se vengano
sostenuti in modo selettivo, solo nella misura in cui contribuiscono a
propugnare un sistema nazionale identitario, a creare divisione tra gruppi o a
far sì che elementi sensibili sotto il profilo culturale vengano sfruttati per
ottenere vantaggi politici. Se così fosse, ci si potrebbe chiedere se il
partito che fa tali riferimenti stia effettivamente cercando il bene comune o
se non stia semplicemente strumentalizzando il cristianesimo per i suoi
interessi particolari.
Per
questo motivo un comunicato redatto dalla Comece, insieme con le istituzioni
rappresentative europee protestanti e ortodosse[3], ha osservato che «la paura
motiva alcuni [elettori] a cercare soluzioni e sostegno spirituale in una
versione oggettificata e strumentalizzata della tradizione, a volte mascherata
da un appello ai “valori tradizionali”. In questi casi, i concetti di “patria”
e “religione” vengono usati come armi». Di conseguenza, la dichiarazione invita
a «lottare contro la strumentalizzazione dei valori cristiani per interessi
politici e nella prospettiva delle narrazioni etno-razziali».
Allo
stesso tempo, «l’Unione europea non è perfetta e […] molte delle sue proposte
politiche e legislative non sono in linea con i valori cristiani e con le
aspettative di molti dei suoi cittadini», riconosce il comunicato Comece. Nella
dichiarazione congiunta delle Chiese si sottolinea inoltre che «gran parte dei
cittadini che guardano con fiducia al futuro europeo attraverso il prisma dei
valori cristiani […] si sentono ora emarginati, in quanto non hanno la
possibilità di esprimere le proprie posizioni e opinioni in modo autonomo e
distinto. Notiamo inoltre l’esclusione di qualsiasi riferimento adeguato ai
valori cristiani in testi rilevanti dell’Ue». In effetti, molti partiti e
uomini politici sono cauti riguardo all’essere associati a istituzioni religiose.
Anche negli ambienti europei si è spesso visti con sospetto, quando si ha a che
fare con istituzioni basate sulla fede, soprattutto per quanto riguarda
l’evoluzione delle norme sociali nel campo della sessualità, dell’etica e
dell’uguaglianza di genere.
A
questo punto, però, la soluzione non può venire dall’ingaggiare una guerra
culturale. Probabilmente questo sarebbe uno sforzo inutile e distruttivo. I
rappresentanti delle maggiori confessioni cristiane in Europa auspicano il
dialogo, non la guerra. Ciò richiede che i politici europei riconoscano
l’importanza della loro eredità cristiana. Occorre anche trasformare il modo in
cui viene condotto il dialogo tra Chiese, istituzioni e partiti politici, in
modo che le prospettive cristiane possano essere ascoltate e considerate
equamente, come previsto dall’articolo 17 del Trattato Ue. I politici di cui
l’Europa ha più urgente bisogno non sono quelli che si proclamano strenui
difensori della tradizione: sono piuttosto quelli disposti a entrare in buona
fede e con buona volontà nel dialogo con le Chiese e con la società civile,
alla ricerca di soluzioni politiche che siano nella linea del maggior bene
comune.
Ecologia
e cambiamento climatico
La
tutela dell’ambiente e la mitigazione del cambiamento climatico sono
probabilmente due delle questioni più controverse di questa campagna
elettorale. Negli ultimi mesi si è assistito a uno sgretolamento, o addirittura
a un’inversione, delle politiche del Green Deal (che mira a preparare l’Europa
alla transizione climatica) e della Farm to Fork Strategy (indirizzata a
introdurre l’agricoltura in una prospettiva più sostenibile). Progetti di legge
che un tempo sembravano avere discrete possibilità di essere approvati sono
stati pesantemente ridimensionati, quando non furtivamente accantonati. Nei
discorsi politici si sono fatte strada narrazioni tossiche, in primo luogo
quella che i partiti populisti sfruttano in tutta Europa, ossia l’ondata di
reazioni popolari contro le politiche «verdi» e la contrarietà delle
popolazioni a tutto ciò che comporta costi aggiuntivi, tenta di imporre
comportamenti particolari o semplicemente sembra «punitivo».
Un’altra
narrazione si oppone alla tutela dell’ambiente e alla capacità di finanziare la
transizione verso le energie verdi. Secondo questa visione, l’eccessiva
regolamentazione in materia ambientale sovraccarica l’economia, rendendo le
imprese europee incapaci di competere con quelle americane e cinesi. E se
l’economia è debole, le risorse fiscali saranno insufficienti per finanziare il
passaggio alle energie verdi. Una narrazione simile dice che gli agricoltori
europei sono sovraccarichi di obblighi ecologici e quindi impossibilitati a
coprire i costi e a competere sul mercato mondiale. Un’altra ancora è che
l’iperprotezione ambientale contrasta con la necessità di estrarre più minerali
per alimentare la transizione verso le zero emissioni di carbonio.
Sebbene
al centro di ciascuna di queste narrazioni ci siano questioni reali, il modo in
cui esse vengono inquadrate tende a condurre alle stesse conclusioni errate:
gli obiettivi o gli impegni ecologici devono essere ridimensionati, in quanto
indesiderati e controproducenti. Invece, il buon comportamento dovrebbe essere
incoraggiato con incentivi finanziari, iniziative private e innovazione
tecnologica. In effetti, il monito di papa Francesco nella Laudate Deum suona
più che mai attuale: «Corriamo il rischio di rimanere bloccati nella logica di
rattoppare, rammendare, legare col filo, mentre sotto sotto va avanti un
processo di deterioramento che continuiamo ad alimentare. Supporre che ogni
problema futuro possa essere risolto con nuovi interventi tecnici è un
pragmatismo fatale, destinato a provocare un effetto-valanga»[4].
Alla
luce dell’ecologia integrale promossa dal Magistero recente e in linea con i
moniti scientifici, gli elettori dovrebbero considerare quanto seriamente i
diversi partiti politici si prendano cura della nostra casa comune. Considerata
l’urgenza di contrastare il degrado del nostro Pianeta, non è sufficiente che
come soluzione per uscire dalla crisi si dia priorità alla crescita economica.
Come minimo, i partiti politici devono presentare alternative credibili alle
leggi e alle politiche che denunciano.
In
contrapposizione alle narrazioni sopra ricordate, andrebbero poste le seguenti
domande: se le politiche volte a cambiare lo stile di vita insostenibile della
maggior parte degli europei sono impopolari, in che modo è possibile concepirle
meglio e ripartirne meglio i costi? La transizione verso l’energia verde è un
cambiamento esclusivamente tecnico della nostra produzione di energia, o
piuttosto ci dà l’opportunità di mettere in discussione quanto produciamo e
consumiamo? L’agricoltura europea potrà effettivamente essere salvata
eliminando alcuni vincoli ambientali, o è necessario un ripensamento più
globale, affinché essa possa resistere ai cambiamenti climatici futuri?
Traiettoria
economica e coesione sociale
Secondo
un sondaggio Ipsos svolto per Euronews[5], quattro priorità su cinque indicate
dai cittadini europei sono di natura economica: reperimento di soluzioni
adeguate contro l’aumento dei prezzi; riduzione delle disuguaglianze sociali;
sostegno alla crescita economica; contrasto della disoccupazione. La quinta è
la lotta all’immigrazione clandestina.
Le
opere d’arte possono rappresentare ancora uno stimolo per una riflessione sulle
tematiche di oggi? Un viaggio in 10 episodi tra le opere di alcuni dei più
grandi artisti della storia passata e contemporanea.
Negli
ambienti europei si è diffuso un sentimento di autogratificazione per come l’Ue
ha affrontato la ripresa dalla pandemia e per la rapidità con cui ha domato la
crisi energetica seguita all’invasione dell’Ucraina. In effetti sono state
adottate soluzioni precedentemente inimmaginabili, incluso il fondo
NextGenerationEu, che ha visto la Commissione prendere a prestito direttamente
dai mercati quanto serviva per finanziare progetti di ripresa dalla pandemia
negli Stati membri dell’Ue. Sebbene la maniera in cui l’Unione finanzierà in
pratica quel debito resti ancora una questione aperta, quella solidarietà nel
debito, che fino allora era un tabù, è stata riconosciuta come un simbolo di
unità europea. Questa visione positiva dell’azione dell’Ue si è riflessa
fortemente nel discorso sullo stato dell’Unione tenuto dalla presidente von der
Leyen nel settembre 2023, che ha evidenziato i risultati della Commissione
senza riconoscere la persistente crisi del costo della vita.
Gli
ultimi mesi hanno visto l’umore guastarsi, perché i politici hanno messo in
rilievo la discrepanza che c’è tra quel discorso e i sentimenti popolari. Sono
cresciuti gli appunti sul ritardo dell’Ue rispetto agli Stati Uniti in termini
di innovazione, sull’incapacità di competere e sulla concorrenza sleale che
minaccia la prosperità dell’Europa. È emersa la consapevolezza che l’Europa
potrebbe non trarre alcun vantaggio dalla transizione pulita, visto che il
mercato dei pannelli solari e delle auto elettriche è minacciato dalla
produzione cinese. L’eccessiva regolamentazione, la mancanza di flessibilità e
i vincoli ecologici sono stati regolarmente indicati come le cause che
ostacolano la crescita e la competitività.
Il
mandato dell’Unione europea è quello di promuovere la prosperità tra i suoi
membri. Pertanto, non solo è legittimo, ma è anche necessario che il prossimo
Parlamento affronti le questioni economiche. Tuttavia, è altrettanto necessario
che venga garantito un giusto equilibrio tra sviluppo, sostenibilità e diritti
sociali e umani. Il destino della direttiva Ue relativa alla due diligence di
sostenibilità delle imprese è un esempio di ciò che è a rischio. Il testo
mirava a incoraggiare la responsabilità aziendale, obbligando le aziende a
identificare e ad affrontare le minacce ai diritti umani e all’ambiente
presenti nella loro catena di fornitura. Il 15 marzo, in nome della
competitività, il Consiglio ha deciso di fare marcia indietro rispetto a quanto
concordato in precedenza con il Parlamento e di restringere fortemente la
portata della legge: essa si applicherà solo alle imprese più grandi, e gli
aspetti chiave di una filiera – per esempio, il riciclaggio – sono scomparsi
dal testo.
Gli
elettori dovranno valutare attentamente quale partito offra il giusto
equilibrio nel loro contesto nazionale. Sebbene il mandato diretto dell’Europa
sulle questioni sociali sia limitato rispetto alle leve ancora in mano alle
singole nazioni, restano ancora questioni su cui il prossimo Parlamento potrà
agire, come individuato da Caritas Europa nel suo Memorandum elettorale[6]: «Un
reddito minimo adeguato, assistenza a lungo termine e incentrata sulla persona,
sostegno all’infanzia e alla famiglia, migliore accesso ai diritti dei
lavoratori, accesso ad alloggi adeguati e convenienti, condizioni di lavoro
dignitose, anche per gli operatori sanitari, e non discriminazione», in linea
con i 20 princìpi del Pilastro europeo dei diritti sociali.
Migrazione
In
un discorso pronunciato a Marsiglia nel 2023,papa Francesco ha lanciato
all’Europa un appello urgente: «I migranti vanno accolti, protetti o
accompagnati, promossi e integrati. Se non si arriva fino alla fine, il
migrante finisce nell’orbita della società. Accolto, accompagnato, promosso e
integrato: questo è lo stile. È vero che non è facile avere questo stile o
integrare persone non attese, però il criterio principale non può essere il
mantenimento del proprio benessere, bensì la salvaguardia della dignità
umana»[7]. Purtroppo, il tono attuale della campagna elettorale non va in
quella direzione. I migranti sono spesso presentati come qualcosa da cui
bisogna proteggersi, invece di essere visti come persone degne di protezione.
Nello
scorso dicembre, le istituzioni europee hanno raggiunto l’accordo su un nuovo
patto sulle migrazioni, che tende a un forte inasprimento delle politiche sulle
frontiere (compresa la normalizzazione della detenzione) e sul trasferimento
delle responsabilità di protezione a Paesi terzi in cambio di limitati
miglioramenti nella solidarietà tra gli Stati europei. Questo patto migratorio
è stato giudicato con severità da molti osservatori, tra cui molte Ong
cristiane. In una dichiarazione congiunta di più di 50 organizzazioni, tra cui
la Caritas e il Jesuit Refugee Service, si è affermato che il patto
sull’immigrazione «normalizzerà l’uso arbitrario della detenzione per
immigrati, anche per bambini e famiglie, aumenterà la profilazione razziale,
utilizzerà procedure di “crisi” per consentire i respingimenti e riportare le
persone nei cosiddetti “Paesi terzi sicuri”, dove sono a rischio di violenza,
tortura e detenzione arbitraria»[8].Ciò nonostante, le posizioni si stanno
spostando ulteriormente verso politiche più repressive. Ne troviamo un esempio
lampante nel manifesto del Ppe, in cui si suggerisce l’adozione di un sistema
di Paesi terzi sicuri simile alla «soluzione ruandese» promossa dai
conservatori nel Regno Unito.
Considerando
che l’Ue ha ampie competenze nel campo della migrazione e dell’asilo, il ruolo
del Parlamento nel perfezionare e, auspicabilmente, umanizzare le politiche
europee sarà decisivo. Occorre quindi prestare attenzione al modo in cui i
partiti valutano la migrazione. Le legittime preoccupazioni per la situazione
economica non possono essere utilizzate come giustificazione per ledere la
dignità di una persona. La migrazione comporta certamente molti problemi e può
esercitare una pressione sociale ed economica sulle benestanti società di
destinazione che non può essere ignorata. Tuttavia, i migranti, in quanto
persone, non possono essere strumentalizzati come capri espiatori.
L’attenzione
dovrebbe essere rivolta anche alle cause profonde della migrazione. Le proposte
fatte dai partiti politici su come rendere più equo il sistema commerciale
internazionale, su come perseguire meglio gli aiuti allo sviluppo, su come
mediare i conflitti o affrontare il cambiamento climatico, non possono essere
scisse dalla realtà dei migranti che arrivano alle porte dell’Europa. Questa
non può né sperare né ambire a isolarsi dal suo ambiente e dalle sue
responsabilità internazionali.
Guerra
in Ucraina e pace in Europa
È
impossibile parlare delle elezioni europee senza toccare la guerra in Ucraina.
Per l’Europa essa è un momento decisivo. A più di due anni dall’inizio
dell’aggressione contro l’Ucraina, la valutazione fatta, in occasione del primo
anniversario della guerra, dall’allora presidente della Comece, cardinale
Jean-Claude Hollerich, fornisce tuttora un quadro di analisi rilevante, perché
ha evidenziato «gli sforzi instancabili dei decisori europei nel fornire
all’Ucraina adeguato e proporzionato sostegno umanitario, finanziario,
politico, nonché militare. Il suo popolo ha il diritto di difendersi dalla
brutale e ingiustificabile aggressione militare per vivere una vita animata da
dignità, sicurezza e libertà nel proprio Paese indipendente e sovrano.
Incoraggiamo fortemente i leader europei a mantenere la loro unità nella
solidarietà con l’Ucraina durante e anche dopo la guerra, senza cedere alla
stanchezza o all’indifferenza»[9].
Se
il perseguimento della pace dev’essere l’obiettivo finale di tutte le politiche
relative all’Ucraina, tale pace dev’essere duratura. Inoltre, per una questione
di principio, solo la società ucraina dovrebbe determinare il proprio futuro,
in modo che vengano rispettati tutti i suoi membri nelle loro particolarità,
senza essere soggetta ad assimilazione forzata da parte del vicino. Non esiste
quindi alcuna opposizione tra la politica che consente all’Ucraina di resistere
all’aggressione e il desiderio di pace.
Non
sembra per il momento che il monito espresso dal cardinale Hollerich, cioè che
il sostegno militare sia proporzionato, corra alcun pericolo concreto di essere
disatteso. Semmai, a questo punto la preoccupazione dovrebbe essere piuttosto
quella se il sostegno dato all’Ucraina sia davvero adeguato, dato che la
stanchezza si sta effettivamente facendo sentire. I leader europei si sono
impegnati promettendo di sostenere l’Ucraina per tutto il tempo e nella misura
che saranno necessari.
Ciò
non vuol dire che non vi siano preoccupazioni da prendere in considerazione. Lo
spostamento dell’Europa verso il riarmo, con maggiori spese militari e
crescenti sforzi per coordinare meglio questi intenti a livello dell’Ue, può
essere giustificato, purché sia effettivamente orientato all’autodifesa e
all’autonomia strategica, nonché adeguatamente calibrato rispetto alle minacce
che l’Europa si trova ad affrontare. Allo stesso tempo, esso non dovrebbe
trasformarsi in una corsa agli armamenti, per non suscitare profezie di
conflitto autoavveranti. Anche i personaggi pubblici dovrebbero prestare
attenzione a non cedere a pose teatrali che esacerbano tensioni e paure.
Più
in generale, il modo in cui i partiti politici si posizionano nei confronti
dell’Ucraina rivela una concezione più ampia del progetto europeo. Si può
accettare l’invasione di quel Paese come un dato di fatto, in un sistema
internazionale dominato dal potere, sia esso economico o militare. In questa
prospettiva, l’Unione non è quindi altro che un tentativo di tutelare gli
interessi dei «membri del club» e, anche in questo caso, vanno innanzitutto
preservati a tutti i costi gli interessi nazionali.
Dalla
prospettiva opposta, sottolineando la necessità di sostenere l’Ucraina,
l’Unione europea può essere vista come un’area di prosperità, democrazia e
rispetto dei diritti umani in lenta espansione. Questo è un obiettivo
meritevole ed è certamente il modo in cui l’Ue vuole presentarsi. È anche una
meta difficile, che ci prospetta molti dibattiti, errori e controversie. Quali
Paesi dovrebbero essere accolti nell’Ue? Che impatto avranno i futuri
allargamenti sulla posizione politica e sul benessere economico degli attuali
Stati membri? Quanto tempo si può ragionevolmente far aspettare un Paese prima
dell’adesione? Come possiamo preservare la coesione politica, sociale ed
economica dell’Ue, se ammettiamo Paesi più poveri? Nessuna di queste domande ha
risposte facili, soprattutto quando si tratta di Paesi vasti come l’Ucraina.
Probabilmente, alcune di tali questioni restano ancora da risolvere, a seguito
dell’allargamento dell’Ue ai Paesi dell’Europa centrale e orientale.
In
ciascun Paese, gli elettori dovranno valutare attentamente di chi si fidano per
rappresentarli nell’affrontare tali questioni. Anche se il Parlamento europeo
non avrà un ruolo guida in molte di queste tematiche (la difesa e
l’allargamento rientrano nelle competenze del Consiglio), di sicuro l’umore
catturato dalle elezioni influenzerà fortemente il modo in cui i politici
nazionali e quelli dell’Ue affronteranno le decisioni future.
Conclusione
Non
esiste un partito o un candidato perfetto per cui votare. La realtà della
politica nella maggior parte dei Paesi europei, così come la situazione della
Chiesa nella maggior parte delle società europee, fa sì che quasi ogni opzione
dovrà essere un compromesso. Ma bisogna fare delle scelte. I cristiani non
possono abdicare al loro giusto posto nel processo democratico. Spetta a
ciascuno valutare in coscienza, dopo un’adeguata informazione e riflessione,
dove il suo voto possa promuovere al meglio il bene comune e i valori cristiani
a livello europeo.
[1]. Un’analisi approfondita della questione si
può trovare in
https://ecfr.eu/publication/a-sharp-right-turn-a-forecast-for-the-2024-european-parliament-elections/
[2]. Comece, Dichiarazione in vista delle
elezioni europee, 13 marzo 2024
(www.chiesacattolica.it/comece-dichiarazione-in-vista-delle-elezioni-europee).
[3]. Cfr
Churches affirm their role in shaping Europe’s future ahead of EU elections, 20
marzo 2024, in
www.comece.eu/churches-affirm-their-role-in-shaping-europes-future-ahead-of-eu-elections/;
www.agensir.it/quotidiano/2024/3/20/elezioni-europee-chiese-valori-cristiani-siano-il-fondamento-principale-del-progetto-europeo
[4]. Francesco, Esortazione apostolica Laudate
Deum, n. 57.
[5]. Cfr
Rising prices and social inequality could decide the European elections:
Exclusive poll, 23 marzo 2024
(www.euronews.com/business/2024/03/23/rising-prices-and-social-inequality-could-decide-the-european-elections-exclusive-poll).
[6]. Caritas Europa, A social Europe championing
solidarity and global justice, 20 aprile 2023
(www.caritas.eu/european-elections-2024).
[7]. Francesco, Discorso alla sessione
conclusiva dei «Rencontres Méditerranéennes», 23 settembre 2023.
[8]. An open
letter to negotiators in the European Commission, the Spanish Presidency of the
Council of the European Union, and the European Parliament ahead of the final
negotiations on the EU Pact on Migration, 19 dicembre 2023
(www.caritas.eu/open-letter-for-better-migration-policies).
[9]. One year
of war in Ukraine | EU Bishops: «Stop this madness of war»!, 23 febbraio 2023
(www.comece.eu/one-year-of-war-in-ukraine-eu-bishops-stop-this-madness-of-war).
Civiltà
Cattolica