“Io sono
solo
un ragazzo”
Meditando sui giovani
con i re Davide e Salomone
È possibile fare affidamento sui giovani? Non è forse
rischioso dare delle responsabilità a chi non ha maturato esperienza? La
fiducia in un giovane potrebbe essere mal riposta?
A queste domande
sembra rispondere il Qoelet, quando afferma: «Povero te, o paese, che per re
hai un ragazzo (na‘ar)» (Qo 10,16). Anche il profeta
Geremia, davanti alla missione che Dio gli affida, si schermisce e si oppone,
adducendo a motivo la sua giovane età: «Ahimè, Signore Dio! Ecco, io non so
parlare, perché sono un ragazzo (na‘ar)» (Ger 1,6). A causa
della sua giovane età Geremia si sente inadatto e immaturo per parlare e per
compiere la missione profetica. In entrambi i casi viene utilizzata in ebraico
la parola na‘ar, che generalmente indica un uomo non adulto, un
giovane, un adolescente, ma si può riferire anche a un bambino e a un infante[1].
Ma, può la giovane età, da sola, essere un segno di
incompetenza e di inadeguatezza? Alle perplessità di Geremia risponde Dio
stesso: «Non dire: “Sono giovane”. Tu andrai da tutti coloro a cui ti manderò e
dirai tutto quello che io ti ordinerò» (Ger 1,7). Qui, come in
altri passi della Bibbia, il Signore mostra che i propri criteri di scelta
vanno al di là della mera età anagrafica. Dio non agisce come un selezionatore
alla ricerca di curricula che offrano un ampio ventaglio di
esperienze maturate. Come ha ricordato papa Francesco nel recente incontro
pre-sinodale con i giovani: «In tanti momenti della storia della Chiesa, così
come in numerosi episodi biblici, Dio ha voluto parlare per mezzo dei più
giovani […]. Nei momenti difficili, il Signore fa andare avanti la storia con i
giovani»[2].
Vedremo, infatti, come il Signore non tema di affidare
proprio a dei giovani le sorti del suo popolo.
Il più piccolo dei figli di Iesse: Davide
La monarchia, in Israele, ha una storia travagliata e
complessa. Dopo il lungo periodo dei giudici, gli anziani chiedono a Samuele un
re che li governi al pari degli altri popoli (cfr 1 Sam 8,5).
La scelta ricade su Saul, il quale, dopo un inizio promettente, si rivela un
sovrano disobbediente e ribelle: durante le guerre contro i Filistei e contro
gli Amaleciti egli rigetta la parola del Signore (cfr 1 Sam 13-15).
A seguito delle trasgressioni del re, Dio arriva a pentirsi
di averlo collocato sul trono di Israele. Samuele si rivolge a Saul,
annunciandogli che «il Signore si è già scelto un uomo secondo il suo cuore e
gli comanderà di essere capo del suo popolo» (1 Sam 13,14). Più
avanti il profeta interpella il re con parole altrettanto dure e nette: «Oggi
il Signore ha strappato da te il regno d’Israele e l’ha dato a un altro
migliore di te» (1 Sam 15,28). Samuele annuncia una nuova scelta da
parte di Dio. La tensione narrativa cresce, mentre il lettore si domanda chi
sarà quest’uomo secondo il cuore di Dio, che si rivelerà migliore del re Saul.
Sarà costui un guerriero di valore, di nobile lignaggio, alto e bello come lo è
Saul (cfr 1 Sam 9,1-2)?
Mentre sta piangendo perché Saul è stato rigettato dal
Signore, il profeta riceve l’ordine divino di ungere un altro re: «Riempi
d’olio il tuo corno e parti. Ti mando da Iesse il Betlemmita, perché tra i suoi
figli ho visto per me un re» (1 Sam 16,1)[3]. Dio vede un
re per sé. Questa nota personale da parte del Signore differenzia
la nuova elezione di Davide da quella di Saul, il cui compito era quello di
regnare per il popolo (cfr 1 Sam 8,22)[4]. Questa volta
la scelta divina implica una relazione personale e un’affinità elettiva tra Dio
e il nuovo sovrano.
Samuele si reca quindi a Betlemme per offrire un sacrificio e
vedere il re che Dio si è scelto. In tutto il capitolo la radice ebraica r’h,
«vedere», ricorre 6 volte come verbo e 2 volte come sostantivo, e riveste un
ruolo centrale nella narrazione[5]. C’è un
sottile gioco che alterna il punto di vista di Dio e quello degli uomini: che
cosa vede Samuele?
Che cosa vede il Signore? Che cosa vedono gli altri
personaggi?
Tra i figli di Iesse il profeta vede Eliàb, ma le proprie
certezze si sgretolano davanti alle parole di Dio: «Non guardare al suo aspetto
né alla sua alta statura. Io l’ho scartato, perché non conta quel che vede
l’uomo: infatti l’uomo vede gli occhi, ma il Signore vede il cuore» (1 Sam 16,7).
In ebraico, la frase è complessa e di difficile traduzione. L’ultima parte
potrebbe tradursi letteralmente così: l’uomo vede «agli occhi», «negli occhi»,
«secondo gli occhi», ma il Signore vede «al cuore», «nel cuore», «secondo il
cuore»[6]. In ebraico,
con la parola «cuore», si intende la sede del pensiero e della volontà[7], il luogo dove
risiede la capacità di scegliere[8].
Dio non solo vede il cuore, ma vede secondo il cuore, cioè
attraverso una visione profonda, non superficiale, che si ferma all’apparenza.
Allo stesso modo, anche il profeta è invitato a non fermarsi a ciò che vedono
gli occhi. Saul era stato scelto in base alla sua forza e alla sua casata, alla
sua bellezza e alla sua statura (cfr 1 Sam 9,1-2). Forse era
il più bello tra i figli d’Israele, ma certamente non era il migliore re
possibile[9].
Dunque, Samuele passa in rassegna i figli di Iesse, uno dopo
l’altro, ma il Signore non posa lo sguardo su nessuno di loro. Al profeta
vengono presentati sette giovani. Questo numero dà l’idea che l’insieme dei
figli di Iesse sia sfilato davanti al profeta nella sua totalità, ma nessuno di
essi viene scelto.
«Samuele chiese a Iesse: “Sono qui tutti i giovani?”. Rispose
Iesse: “Rimane ancora il più piccolo, che ora sta a pascolare il gregge”» (1
Sam 16,11). Il profeta – e con lui il lettore – scopre che c’è ancora
un altro figlio, che doveva apparire così insignificante agli occhi del padre
da non essere stato neppure invitato al sacrificio insieme agli altri fratelli.
È come se per Iesse questo figlio non esistesse, e invece sarà proprio Dio a
vederlo, scegliendo per sé il più giovane[10].
Davide è «il figlio che rimane». Il verbo che viene usato qui
si ricollega a un tema molto caro all’Antico Testamento, quello del «resto di
Israele». La persona di Davide richiama quel piccolo resto che rimane fedele al
Signore e che sarà salvato affinché ritorni nella Terra promessa e adori il
Signore suo Dio. Pertanto, il termine «resto» attribuito a Davide fa pensare a
tutto il popolo d’Israele, il popolo più piccolo, ma amato da Dio (cfr Dt 7,7-8)[11].
«[Iesse] lo mandò a chiamare e lo fece venire. Era fulvo, con
begli occhi e bello di aspetto. Disse il Signore: “Àlzati e ungilo: è lui!”» (1
Sam 16,12). Gli occhi del profeta continuano a vedere l’aspetto
esteriore, mentre il segreto del cuore di Davide è conosciuto e visto soltanto
da Dio, che ha scelto il giovane pastore come re secondo il suo cuore
(cfr 1 Sam 13,14).
«Samuele prese il corno dell’olio e lo unse in mezzo ai suoi
fratelli, e lo spirito del Signore irruppe su Davide da quel giorno in poi» (1
Sam 16,13). Il più piccolo della casa di Iesse diventa sovrano in
mezzo ai suoi fratelli. Colui che pascolava il gregge ora è chiamato a
pascolare il popolo di Dio, Israele. Dopo l’unzione, lo spirito di Dio irrompe
su di lui e gli dà un pubblico riconoscimento nella sua famiglia.
Allo spirito che scende su Davide corrisponde lo spirito che
si ritira da Saul (cfr 1 Sam 16,14), il quale si ritrova
atterrito e spaventato da uno spirito cattivo. Uno dei suoi domestici gli
suggerisce che proprio Davide potrebbe essere colui che, con il suono della sua
cetra, lo potrà far star meglio: «Ecco, ho visto il figlio di
Iesse il Betlemmita: egli sa suonare ed è forte e coraggioso, abile nelle
armi, saggio di parole, di bell’aspetto, e il Signore è con lui» (1 Sam 16,18).
Qui ricorre ancora una volta il verbo «vedere». Il punto di vista è quello del
giovane domestico[12] di
Saul, che vede nel figlio di Iesse la soluzione ai problemi del re. Il ritratto
che viene fatto, pur senza nominare direttamente Davide, anticipa alcuni
aspetti del giovane figlio di Iesse che torneranno più avanti nel racconto.
Di fatto, Saul riconosce Davide nella descrizione del servo e
lo convoca presso di sé. Nel corso della narrazione Davide sarà chiamato a
mostrare forza e coraggio, abilità nelle armi e saggezza, sapendo che il
Signore è con lui. Solo lo sguardo di Dio e quello di un servo sono capaci di
vedere in un ragazzo l’anticipazione di ciò che egli diventerà.
Il gigante e il ragazzo
Nel capitolo 17 del primo libro di Samuele, Davide viene
presentato di nuovo nel racconto[13]. Il contesto
è quello della guerra tra Israele e i Filistei. Tra le schiere filistee emerge
un campione, chiamato Golia, un gigante alto quasi tre metri, che indossa
un’armatura che pesa circa 50 kg. Golia sfida in combattimento un campione tra
i figli d’Israele, ma il re Saul, come pure tutto Israele, è inibito e
atterrito davanti a lui (cfr 1 Sam 17,11.24). Che cosa
accadrà? Chi potrà intervenire per combattere contro Golia e salvare il popolo?
Mentre il lettore si pone queste domande, il giovane
pastorello Davide si presenta nell’accampamento di Israele, inviato dal padre
per portare un po’ di vettovaglie ai fratelli andati in guerra. Quando giunge,
non si limita a obbedire al comando del padre, ma raccoglie informazioni sulla
ricompensa promessa per chi abbatterà il gigante filisteo.
La presenza di questo ragazzo sul campo di battaglia provoca
reazioni colorite da parte degli altri personaggi, suscitando irritazione,
incredulità e sdegno. Il fratello maggiore si indispettisce: «Ma perché sei
venuto giù e a chi hai lasciato quelle poche pecore nel deserto? Io conosco la
tua boria e la malizia del tuo cuore: tu sei venuto giù per vedere la
battaglia» (1 Sam 17,28). Eliàb interpreta la presenza di Davide
sul campo di battaglia in modo malevolo, come una fastidiosa intrusione.
Infatti, ai suoi occhi, il cuore di Davide appare arrogante e malizioso. In
realtà, il lettore sa bene che Davide è giunto all’accampamento per ordine del
padre, e non per ambizione o vanità.
E anche Saul, di fronte a Davide che vuole combattere contro
Golia, reagisce con diffidenza e scetticismo: «Saul rispose a Davide: “Tu non
puoi andare contro questo Filisteo a combattere con lui: tu sei un ragazzo (na‘ar)
e costui è uomo d’armi fin dalla sua adolescenza”» (1 Sam 17,33).
Saul vede in Davide solo un ragazzo e lo pone davanti al paradosso di una sfida
impossibile che si profila tra un giovane senza esperienza e un uomo adulto,
addestrato ed esperto, che combatte fin dalla sua giovinezza. Tuttavia Davide
non si scoraggia, rifiuta la pesante armatura di Saul e affronta la sfida con
le proprie armi: la fionda e i ciottoli del torrente. Non vuole indossare
l’armatura del re, ma, liberatosi di essa, si ritrova libero e leggero,
affidandosi alla propria abilità e, soprattutto, all’aiuto del Signore.
Di fronte al giovane Davide, anche la reazione di Golia è di
irrisione e di disprezzo: «Il Filisteo scrutava Davide e, quando lo vide bene,
ne ebbe disprezzo, perché era un ragazzo, fulvo di capelli e di bell’aspetto» (1
Sam 17,42). Agli occhi del gigante, la giovane età, la bellezza e i
capelli rossi di Davide sono motivi sufficienti per guardare a lui con
presunzione e superiorità. I criteri di Golia sono puramente esteriori e
superficiali[14].
Il figlio di Iesse però non si scoraggia né si indispettisce,
ma risponde al Filisteo, rivelando il suo segreto: «Tu vieni a me con la spada,
con la lancia e con l’asta. Io vengo a te nel nome del Signore degli eserciti,
Dio delle schiere d’Israele, che tu hai sfidato. […] Tutta la terra saprà che
vi è un Dio in Israele. Tutta questa moltitudine saprà che il Signore non salva
per mezzo della spada o della lancia, perché del Signore è la guerra ed egli vi
metterà certo nelle nostre mani» (1 Sam 17,45-47).
Il giovane chiama in causa la sua vera forza: la sua arma è
colui che lo ha scelto e lo ha unto re. Il Signore non ha giudicato Davide
secondo le apparenze – come hanno fatto gli adulti Eliàb, Saul e Golia –, ma ha
scommesso proprio su un ragazzo come liberatore del suo popolo.
Se la forza di Davide è nel Signore, qual è concretamente lo
strumento con cui otterrà la vittoria? Certamente la fionda, con la quale egli
sconfiggerà Golia, ma soprattutto il suo acume e la sua intelligenza, con i
quali ribalterà le sorti proprie e quelle del popolo. Se Davide non fosse
ingegnoso e intelligente, morirebbe per mano di Golia. Il giovane sa di essere
stato scelto dal Signore, ma questo va congiunto alla sua abilità, altrimenti
egli sarebbe un incosciente e un folle. La scelta divina si unisce ai talenti
di Davide, che sono anch’essi doni di Dio.
Davide agisce con grande abilità e astuzia, e questo è il
motivo della sua vittoria su Golia. Ma qui, oltre alla causalità esercitata
dagli uomini, si manifesta anche la causalità di Dio in quanto Signore della
storia, Dio d’Israele, nel cui nome Davide agisce (cfr 1 Sam 17,37.45-47)[15].
Un re troppo giovane? Salomone
Il racconto dell’elezione di Davide (cfr 1 Sam 16–17)
non è l’unico nella Bibbia che vede al centro un giovane chiamato da Dio e
investito di una responsabilità sul popolo d’Israele. Anche Salomone, figlio di
Davide, si sente solo un «piccolo ragazzo» (na‘ar qāṭōn)
quando sulle sue giovani spalle viene posto il peso del regno paterno.
Davide è ormai vicino alla morte, ed è giunto per lui il
momento di lasciare le proprie disposizioni testamentarie[16]. Egli dice a
Salomone: «Io me ne vado per la strada di ogni uomo sulla terra. Tu sii forte e
móstrati uomo. Osserva la legge del Signore, tuo Dio, procedendo nelle sue vie
ed eseguendo le sue leggi, i suoi comandi, le sue norme e le sue istruzioni,
come sta scritto nella legge di Mosè, perché tu riesca in tutto quello che
farai e dovunque ti volgerai, perché il Signore compia la promessa che mi ha
fatto dicendo: “Se i tuoi figli nella loro condotta si cureranno di camminare
davanti a me con fedeltà, con tutto il loro cuore e con tutta la loro anima,
non ti sarà tolto un discendente dal trono d’Israele”» (1 Re 2,2-4).
Alcuni vedono in questa prima parte del discorso di Davide
(vv. 2-4) un intervento successivo del redattore[17], per
mitigare la seconda parte (vv. 5-9), che è molto crudele e in cui Davide chiede
al figlio di eseguire azioni di sangue per regolare i conti con coloro che lo
hanno avversato durante il suo regno. In realtà, da un punto di vista
narrativo, questa prima parte è fondamentale, perché il vecchio re svolge
infine il suo ruolo di padre, consegnando alla generazione successiva la legge
di Mosè e la promessa del Signore, che qui viene ricordata (cfr 2 Sam 7).
Al livello del macroracconto, Davide realizza la propria
paternità[18]: trasmette
ciò che il popolo ha ricevuto attraverso Mosè e la promessa che a lui stesso è
stata consegnata. Come il padre descritto nel libro del Deuteronomio (cfr Dt 6,1-9),
egli trasmette al proprio figlio la legge; come un re secondo il cuore di Dio,
ha davanti ai propri occhi la legge del Signore (cfr Dt 17,18-20).
In seguito il narratore ci comunicherà che Salomone ama il
Signore e segue ciò che il padre gli ha prescritto, ma la sua fede in Dio è
ancora incerta: infatti, alla dedizione al Signore si accompagnano i sacrifici
consumati sulle alture, luoghi dove si compiono pratiche idolatriche (cfr 1
Re 3,3)[19].
È proprio durante uno di questi sacrifici, a Gàbaon, che il
Signore si rivela a Salomone. La trasmissione generazionale della fede di padre
in figlio non è sufficiente: occorre che anche Salomone faccia esperienza viva
del Dio di suo padre.
«A Gàbaon il Signore apparve a Salomone in sogno durante la
notte. Dio disse: “Chiedimi ciò che vuoi che io ti conceda”» (1 Re 3,5).
Le parole del Signore sono sorprendenti: non sono né di rimprovero né di
condanna per il fatto che Salomone compia sacrifici di genere idolatrico; ma
Dio si presenta a lui come colui che dona.
Anche l’atteggiamento di Salomone è sorprendente:
paradossalmente la sua saggezza comincia proprio qui, nel mostrare uno spirito
umile e assennato, che lo dispone ad accogliere la Sapienza[20]. Egli sa
quale sia la cosa giusta da chiedere: «Ora, Signore, mio Dio, tu hai fatto
regnare il tuo servo al posto di Davide, mio padre. Ebbene io sono solo un
piccolo ragazzo (na‘ar qāṭōn); non so uscire né entrare.
[…] Concedi al tuo servo un cuore che ascolta, perché sappia
rendere giustizia al tuo popolo e sappia distinguere il bene dal male; infatti
chi può governare questo tuo popolo così numeroso?» (1 Re 3,7-9)[21].
Salomone si presenta come servo del Signore e riconosce di
essere solo un piccolo ragazzo, inesperto a causa della sua giovane età. La sua
reazione riecheggia quella di Geremia di fronte alla missione che Dio gli
affida: «Ahimè, Signore Dio! Ecco, io non so parlare, perché sono un ragazzo (na‘ar)»
(Ger 1,6). L’essere un ragazzo renderebbe Salomone incapace di
assumere obblighi pubblici e militari[22]; è questo il
senso della confessione: «Non so uscire né entrare». Eppure il giovane re si
mostra già sapiente in ciò che chiede: un cuore che ascolta.
Per il credente israelita, infatti, l’orecchio è l’organo
principale della percezione. Nella Bibbia il verbo «ascoltare» compare più di
mille volte. Israele è chiamato ad ascoltare la parola di Dio. La preghiera
quotidiana del credente israelita comincia con l’imperativo Šema‘
Yisrā’ēl: «Ascolta, Israele!» (Dt 6,4). Il popolo che ascolta
le parole di Dio è obbediente alla Torah e intraprende il
cammino verso la vita.
Salomone è inesperto e sa ancora poco della vita. Un cuore
che ascolta diventa così il presupposto affinché il giovane re possa esercitare
la giustizia e il discernimento per governare il popolo d’Israele. Salomone
potrà essere un re secondo il cuore di Dio, come Davide suo padre? Il modello
di monarchia che traspare dalle sue parole lascia ben sperare. Salomone appare
come un re che vuole servire Dio e Israele, e non come un sovrano
egoisticamente ripiegato su di sé, che approfitta del popolo per perseguire i
propri interessi (si veda il discorso di Samuele in 1 Sam 8,11-18).
Pertanto, al Signore piace la richiesta di Salomone: «Poiché
hai domandato questa cosa e non hai domandato per te molti giorni, né hai
domandato per te ricchezza, né hai domandato la vita dei tuoi nemici, ma hai
domandato per te discernimento per fare udienza giudiziaria, ecco,
faccio secondo le tue parole. Ti concedo un cuore saggio e intelligente: uno
come te non ci fu prima di te né sorgerà dopo di te» (1 Re 3,11-12).
Poiché Salomone ha espresso a Dio la richiesta più importante, il Signore
concederà a lui tutto, ricchezza e gloria, come a nessun altro.
Risvegliatosi dal sonno, Salomone tornerà a Gerusalemme con
una nuova consapevolezza; il segno esterno di tale mutamento interiore è che
egli non compirà sacrifici sulle alture, ma starà davanti all’arca del Signore[23].
Conclusione
Nel libro dei Proverbi, l’essere giovani è accostato a
inesperienza e a mancanza di giudizio: «Ecco, io vidi dei giovani inesperti, e
tra loro scorsi un adolescente dissennato [letteralmente: privo di
cuore]» (Pr 7,7). L’elezione di Davide e quella di Salomone
rovesciano decisamente questa prospettiva.
Rievocando la storia d’Israele, san Paolo afferma: «[Dio]
suscitò per loro Davide come re, al quale rese questa testimonianza: “Ho
trovato Davide, figlio di Iesse, uomo secondo il mio cuore; egli adempirà tutti
i miei voleri”» (At 13,22). Lo sguardo di Dio vede lontano e
scommette a lungo termine su un giovane dalla cui discendenza verrà il Messia
per Israele e per tutti i popoli della terra.
Anche Salomone, figlio di Davide, quando diventa re, si sente
solo un ragazzo. Interpellato in sogno da Dio, esprime la propria
preoccupazione di essere schiacciato da responsabilità troppo pesanti per le
sue gracili spalle, ma sa cosa chiedere: un cuore che ascolta.
Nella storia della salvezza, il Signore si fida dei giovani e
affida proprio ad alcuni di loro le sorti del suo popolo. È la rivelazione di
un Signore che ha fiducia nel futuro e nella vita e non teme le novità che il
domani porta con sé: «Ecco, io faccio una cosa nuova: proprio ora germoglia,
non ve ne accorgete?» (Is 43,19).
[1]. Cfr L. Alonso Schökel – M.
Zappella, Dizionario di ebraico biblico, Cinisello Balsamo (Mi),
San Paolo, 2013, 554. Nella Bibbia c’è incertezza su quando cominci l’età
adulta. In alcuni testi il limite della giovinezza è posto a vent’anni (Es 30,14; Nm 1,3.18;
14,29); in altri casi la giovane età può durare fino a venticinque anni (Nm 8,24)
o fino a trenta (Nm 4,3.23; 1 Cr 23,3): cfr H. F.
Fuhs, «na‘ar», in G. J. Botterweck – H. Ringgren (eds), Grande
lessico dell’Antico Testamento, V, Brescia, Paideia, 2005, 926-940.
[2]. Francesco, Discorso
nell’Incontro pre-sinodale con i giovani, 19 marzo 2018, in
w2.vatican.va
[3]. Qui facciamo una traduzione
letterale del testo, diversa da quella della Cei.
[4]. Cfr J.-P. Sonnet, L’ alleanza
della lettura. Questioni di poetica narrativa nella Bibbia ebraica, Roma,
Gregorian & Biblical Press, 2011, 146.
[5]. Cfr R. Alter, The David
Story. A Translation with Commentary of 1 and 2 Samuel, New York, W. W.
Norton & Company, 1999, 85.
[6]. Sulle possibili traduzioni della
particella le, cfr L. Alonso Schökel – M.
Zappella, Dizionario di ebraico biblico, cit., 408-411.
[7]. Cfr R. D. Nelson, I e II Re,
Torino, Claudiana, 2010, 40.
[8]. Secondo la mentalità ebraica, gli
affetti invece risiedono nelle viscere o nel seno materno: cfr A. Sisti,
«Misericordia», in P. Rossano – G. Ravasi – A. Girlanda, Nuovo
dizionario di teologia biblica, Cinisello Balsamo (Mi), Paoline, 1988,
978-984.
[9]. La parola ṭôb in
ebraico ha il duplice significato di «bello» e «buono». Meir Sternberg dedica
interessanti pagine al tema dell’ambivalenza del «bell’aspetto» nei libri di
Samuele: cfr M. Sternberg, The Poetics of Biblical Narrative. Ideological Literature and the Drama of Reading, Bloomington, Indiana University Press, 1985, 354-364.
[10]. Nel racconto di Gen 4,
Dio «guarda» l’offerta di Abele e non quella di Caino, così come tra Giacobbe e
Esaù il Signore sceglie il più piccolo. Successivamente Giuseppe sarà principe
tra i suoi fratelli e Gedeone verrà costituito come salvatore su Israele, pur
essendo il più piccolo nella casa di suo padre (cfr Gdc 6).
[11]. Cfr M. Gargiulo, Samuele.
Introduzione, traduzione e commento, Milano, San Paolo, 2016, 175.
[12]. Con la parola na‘ar si
può intendere sia un giovane sia un domestico, un servo, un garzone: cfr L.
Alonso Schökel – M. Zappella, Dizionario di ebraico biblico, cit.,
554.
[13]. Sono due i racconti che introducono
Davide nella storia d’Israele. Probabilmente dietro queste narrazioni ci sono
due tradizioni differenti, che sono state conservate nella Bibbia. Entrambi i
testi sono importanti per capire la rilevanza del personaggio Davide. Secondo
Robert Alter, 1 Sam 16 si concentra sulla chiamata del giovane
Davide da parte di Dio, a cui appartiene tutta l’iniziativa, mentre 1
Sam 17 ha una prospettiva orizzontale: il figlio di Iesse interagisce,
parla, lotta, e non sembra esserci un’azione diretta del Signore (cfr R.
Alter, The David Story…, cit., 110 s).
[14]. Cfr M. Gargiulo, Samuele...,
cit., 189.
[15]. Sui nessi tra causalità umana e causalità
divina nel racconto biblico, cfr Y. Amit, «The Dual Causality Principle and Its
Effects on Biblical Literature», in Vetus Testamentum 37
(1987) 385-400.
[16]. Cfr Gen 28,1-4 e
49,29; 2 Re 20,1.
[17]. Cfr R. Alter, The David Story…,
cit., 374.
[18]. Cfr F. Ficco, «“Sii forte e mostrati
uomo”. La paternità di Davide in 1 Re 1–2», in Rivista Biblica 57
(2009) 257-272.
[19]. Cfr J. T. Walsh, 1 Kings,
Collegeville, The Liturgical Press, 1996, 72.
[20]. Alla preghiera di Salomone nel primo
libro dei Re fanno eco le parole del figlio di Davide nel libro della Sapienza:
«Per questo pregai e mi fu elargita la prudenza; implorai e venne in me lo
spirito della sapienza. La preferii a scettri e a troni, stimai un nulla la
ricchezza al suo confronto; non la paragonai neppure a una gemma inestimabile,
perché tutto l’oro al suo confronto è un po’ di sabbia e come fango sarà
valutato di fronte ad essa l’argento. L’amai più della salute e della bellezza,
preferii il suo possesso alla stessa luce, perché non tramonta lo splendore che
ne promana» (Sap 7,7-10).
[21]. Nell’ultimo versetto, «un cuore che
ascolta» è la traduzione letterale. La versione
Cei 2008 traduce, più liberamente: «un cuore docile».
[22]. Cfr M. Cogan, I Kings: A New
Translation with Introduction and Commentary, New York, Doubleday, 2001,
186.
[23]. Cfr M. Cogan, I Kings…, cit.,
188.
La Civiltà Cattolica
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