lunedì 7 aprile 2025

SAPERSI RIALZARE


LA RESURREZIONE

 ESPERIENZA DI AMORE


È il mistero della risurrezione da leggere nel presente della propria vita il cuore della terza predica di Quaresima sul tema “Sapersi rialzare. La gioia della Risurrezione” proposta questa mattina nell’Aula Paolo vi, in Vaticano, da padre Roberto Pasolini, predicatore della Casa Pontificia. Prima di sviluppare la sua meditazione, il religioso cappuccino ha rivolto «un saluto particolare» al Papa. «Ci auguriamo che questa forza con cui Cristo si è risollevato dalla morte venga infusa anche al nostro Santo Padre, per potersi rialzare» in «questo tempo di Giubileo» ha detto.

Poi ha introdotto la sua meditazione spiegando che «guardare alla risurrezione significa non lasciarsi sopraffare dalla paura della sofferenza e della morte, ma mantenere lo sguardo fisso sulla mèta verso cui l’amore di Cristo ci guida», cosa che «richiede una rinuncia preziosa: abbandonare la convinzione che sia impossibile rialzarsi dai fallimenti e dalle sconfitte con un cuore fiducioso, pronto a ricominciare e a riaprirsi agli altri», in particolare «a chi ci ha ferito». La conclusione è che «la beatitudine della vita nuova è per quanti scelgono di intraprendere un cammino autentico, un incontro vivo e appassionato con il Risorto», che «avviene sempre nella comunità dei fratelli, ma nel pieno rispetto della sensibilità unica di ciascuno».

Padre Pasolini ha proposto anzitutto un atteggiamento: non prendersela. E ha spiegato che «la più grande sorpresa contenuta nei Vangeli» è che Cristo, risorgendo dai morti, ci ha lasciato «una testimonianza meravigliosa di come l’amore sia capace di rialzarsi dopo una grande sconfitta per proseguire il suo inarrestabile cammino». Contrariamente a quanto accade a noi che «ogni volta che riusciamo a risollevarci e a riprenderci, dopo aver subito un forte trauma nell’ambito degli affetti» pensiamo subito «come poterci prendere qualche rivincita, per esempio facendola un po’ pagare a chi riteniamo responsabile di quanto abbiamo sofferto», Gesù, appena risorto, «non sente il bisogno di prendersela con niente e con nessuno per quanto è successo, né di affermare la sua superiorità su quanti si sono resi protagonisti o complici della sua morte»; semplicemente Egli sceglie di «manifestarsi ai suoi amici, con grande parsimonia e gioiosa modestia», chiarisce padre Pasolini.

Questo perché la risurrezione è «esperienza di amore», non «atto di potenza da parte di Dio». Un amore «capace di lasciarsi scivolare tutto alle spalle», ma questo «non significa che Dio sia impermeabile o insensibile alla sofferenza»; semmai insegna che «chi ama davvero non sente il bisogno di contare i torti subiti, perché la gioia di ciò che ha vissuto supera ogni rancore, anche quando le cose non sono andate come aveva immaginato».

Il predicatore della Casa Pontificia ha quindi invitato a verificare «quanta libertà c’è nelle parole e nei gesti che offriamo agli altri» se vogliamo «rialzarci in modo evangelico dagli inevitabili traumi a cui le relazioni ci espongono». «Se ci accorgiamo di restare spesso delusi o di prendercela troppo quando le cose non vanno come avevamo immaginato — ha osservato —, forse dovremmo chiederci con quanta gratuità stiamo vivendo le nostre relazioni». Perché altrimenti si rischia «di trascorrere il tempo a lamentarci, a puntualizzare e a cercare compensazioni per le delusioni subite». E invece «la vera felicità, quella che ci rende davvero amabili, non dipende dalle circostanze o dagli altri, bensì dalla pace con cui accogliamo ciò che la vita ci offre».

Un altro grande insegnamento lasciatoci da Cristo emerge dal modo in cui si manifesta ai suoi discepoli. Il religioso cappuccino ha fatto notare che «Gesù mostra subito i segni della Passione perché è completamente riconciliato con quanto ha vissuto e sofferto», desiderando «che anche i suoi amici trovino presto la pace e non restino chiusi dentro un inutile senso di colpa». Questo ci fa capire che «solo quando scorgiamo nel volto di chi abbiamo offeso o tradito il segno di una pace autentica, possiamo sperare di ritrovarci in una comunione nuova». E infatti «Gesù sta davanti ai suoi discepoli con la felicità di chi ha avuto un buon motivo per soffrire e morire: quel motivo sono proprio loro».

E allora «risorgere è godere del sorriso di qualcuno che è felice anche se tu lo hai deluso», e ti ha comunque offerto «il suo amore». «Un amore di questo tipo non si può insegnare né spiegare, ma solo trasmettere», ha aggiunto padre Pasolini. Ma se risorgendo Cristo ridà vita a chi l’ha perduta e restituisce «fiducia a chi non ha più la forza di credere», «lasciarsi rigenerare, tuttavia, non è facile». Lo dimostra «Tommaso, che non era presente quando Gesù appare e dona ai discepoli lo Spirito e la pace», e che «incarna quella parte di noi che non si accontenta di asciugarsi le lacrime e abbozzare un sorriso forzato», ma cerca «una risposta vera, capace di reggere di fronte allo scandalo del dolore e della perdita, a quel mistero doloroso per cui anche le cose più belle, inspiegabilmente, possono finire». Egli «vuole toccare con mano le ferite dell’amore», «pretende una prova concreta, un segno tangibile che il dolore non è stato cancellato, ma attraversato e trasformato».

Il predicatore della Casa Pontificia ha specificato che «Tommaso non ha rifiutato la fede per ostinazione», ma «piuttosto che accettare passivamente il racconto degli altri, ha scelto di prendersi il tempo necessario per lasciarsi raggiungere dall’amore di Cristo, fino a poterne fare un’esperienza personale e profonda». E allora il discepolo incredulo offre un prezioso insegnamento: «La gioia della risurrezione appartiene a chi ha il coraggio di non fermarsi a una fede fatta di slogan e idee preconfezionate». E Gesù che si manifesta con «un corpo risorto dalla morte» ci svela che il destino che ci attende è «la risurrezione della carne, non solo la salvezza dell’anima».

C’è poi un importante aspetto da tenere presente: intrattenendosi con i suoi discepoli in vari momenti della quotidianità, il Signore mostra «che dopo la sua risurrezione dai morti ogni momento della vita può diventare manifestazione e anticipazione del Regno dei cieli». «Mangiare, lavorare, camminare, pulire, scrivere, aggiustare, attendere, affrettare»: tutto quello che «la realtà ci consente di vivere può esprimere un modo nuovo di vivere le cose, quello dei figli di Dio» ha sintetizzato padre Pasolini, che ha infine evidenziato che la realtà «così com’è, può diventare occasione di felicità, se sappiamo viverla nella logica della comunione con gli altri e nella gratitudine».

 Alzogliocchiversoilcielo

Immagine



domenica 6 aprile 2025

ABILITA' MANUALE PER APPRENDERE BENE


La scuola del futuro 

non può essere solo virtuale, 

bisogna iniziare

 a “usare le mani”



Di Bruno Lorenzo Castrovinci

 Nuove indicazioni nazionali per il primo ciclo, riforma degli istituti tecnici e professionali, linee guida per le STEM: la scuola italiana tenta oggi un profondo rinnovamento, cercando di rispondere alle sfide di un’epoca sempre più dominata dal digitale, dall’immaterialità e dall’intelligenza artificiale. In questo panorama in rapida trasformazione, emerge con forza la necessità di riscoprire una dimensione concreta, tangibile e umana dell’apprendere. La scuola del futuro non può essere solo virtuale: ha bisogno di mani, di oggetti, di progetti concreti, di errori che lasciano tracce e successi che si toccano.

In un mondo in cui la produzione materiale è ormai delegata a macchine sempre più autonome, dove esistono fabbriche al buio, completamente automatizzate e illuminate solo da sensori, torna urgente domandarsi quale ruolo possa e debba avere la manualità nella formazione delle nuove generazioni. La risposta non è nostalgica, ma profondamente innovativa: l’educazione al “fare” diventa oggi un presidio di umanità, un campo di esperienza dove la creatività, la tecnica, il corpo e la mente si fondono per costruire conoscenza viva, duratura, trasformativa.

Se lo studio del latino rappresenta un nobile ritorno al passato e alle radici culturali, l’educazione alla manualità — e con essa una didattica orientata allo sviluppo mielocinetico — costituisce un ritorno al gesto originario, all’intelligenza del fare, che ha permesso agli esseri umani di plasmare il mondo. Dalla precisione della microchirurgia alla finezza dell’arte orafa, fino all’ingegneria meccanica dell’orologeria, è attraverso le mani che l’ingegno si è reso azione, trasformazione, bellezza.

In questo nostro tempo in cui l’educazione sembra rincorrere esclusivamente il digitale, il ritorno alla manualità rappresenta un’esigenza tanto pedagogica quanto esistenziale. Le mani, strumenti primordiali di conoscenza e trasformazione del mondo, rischiano di diventare sempre più passive davanti a schermi e tastiere, perdendo quella centralità educativa che per secoli le ha rese protagoniste dell’apprendimento umano. Le neuroscienze ci ricordano che l’apprendimento è tanto più efficace quanto più coinvolge corpo, mente ed emozione: il cervello apprende meglio quando è stimolato da esperienze multisensoriali, e ancor di più quando queste coinvolgono l’azione fisica e la costruzione concreta.

L’apprendimento pratico, dunque, non è solo una strategia didattica efficace, ma un potente strumento per lo sviluppo integrale dell’individuo. Esso favorisce l’interconnessione tra emisfero destro e sinistro del cervello, migliora la memoria procedurale e supporta lo sviluppo dell’intelligenza spaziale, visiva e cinestetica. Attraverso il “fare”, l’alunno non solo acquisisce conoscenze, ma le internalizza, le rielabora, e le restituisce in forma trasformata. In questo contesto, il lavoro manuale assume un valore non accessorio ma fondante, poiché attiva competenze trasversali fondamentali per la vita, tra cui la capacità di pianificare, di gestire l’errore, di collaborare, e di portare a termine un progetto complesso. In un’epoca in cui si parla di educazione personalizzata, il lavoro con le mani rappresenta una delle forme più potenti di apprendimento autentico e inclusivo.

Il valore pedagogico della manualità

L’educazione manuale favorisce il pensiero divergente, la creatività, la capacità di problem solving e la perseveranza, tutte competenze chiave nella formazione dell’individuo. Attraverso il lavoro pratico, lo studente è stimolato a sperimentare soluzioni nuove, ad affrontare incertezze, a tollerare l’errore come parte integrante del processo creativo. Ogni errore, in un’attività concreta, diventa occasione di apprendimento e non motivo di frustrazione: correggere un taglio impreciso, ricucire una cucitura sbagliata, ripensare una struttura non stabile sono tutti esempi di apprendimento attivo e riflessivo.

Inoltre, la manualità rafforza il senso di autoefficacia: vedere il frutto tangibile del proprio lavoro incrementa l’autostima, stimola la motivazione intrinseca e alimenta la consapevolezza delle proprie risorse. Secondo Maria Montessori “Le mani sono gli strumenti dell’intelligenza”: non possiamo dunque privare le nuove generazioni di questa forma di intelligenza incarnata, che connette il pensiero all’azione, l’intenzione al risultato, la teoria alla prassi.

Numerosi studi in ambito psicopedagogico confermano che le attività manuali sviluppano anche la concentrazione prolungata, la pazienza, la capacità di organizzazione spaziale e la memoria procedurale. Attraverso pratiche come il cucito, la lavorazione del legno, il modellismo, l’artigianato in pelle o i lavori di falegnameria, si costruiscono percorsi di apprendimento non lineari ma profondi, capaci di coinvolgere lo studente nella totalità della sua persona: mente, mani, emozioni e valori. In un’epoca che richiede sempre più flessibilità, capacità di adattamento e spirito progettuale, educare alla manualità significa coltivare radici solide per affrontare le sfide del futuro.

Infanzia e scuola primaria, apprendere con il corpo

Nella scuola dell’infanzia e nella primaria, attività come la manipolazione della creta, la costruzione con materiali naturali, la realizzazione di semplici origami, gli orti didattici e i primi approcci all’artigianato rappresentano occasioni privilegiate per apprendere concetti scientifici, tecnici, ambientali e matematici in modo esperienziale. L’uso delle mani nella costruzione di oggetti concreti consente al bambino di consolidare nozioni astratte attraverso la corporeità e la sperimentazione.

Gli orti didattici, ad esempio, permettono ai bambini di comprendere il ciclo della vita, la stagionalità, la cura e la pazienza, ma anche di introdurre nozioni di biologia, ecologia e alimentazione sana in un contesto concreto e motivante. Attività come il papercraft, la tessitura con telai rudimentali, il ricamo semplice o la realizzazione di collage tridimensionali sviluppano la coordinazione motoria fine, la precisione, il senso estetico e l’organizzazione spaziale. Si possono anche realizzare, piccoli laboratori di lavorazione del cuoio e della carta, segnalibri, portachiavi o quaderni artigianali, stimolando non solo la manualità ma anche la creatività progettuale.

L’approccio montessoriano, diffuso in molte scuole dell’infanzia e primarie, valorizza fortemente il “fare con le mani” come forma primaria di apprendimento: l’utilizzo di oggetti reali, strumenti veri ma adattati all’età, consente al bambino di sentirsi competente, parte attiva del proprio percorso di crescita. Queste attività non sono semplici esercizi ricreativi, ma costituiscono momenti strutturati e intenzionali di formazione integrale dell’individuo.

Scuola secondaria di primo grado, tra tecnica e creatività

Nella scuola media, i laboratori di falegnameria, i lavori al traforo, le attività di modellismo, il cucito creativo o i lavori in pelle e cuoio, i laboratori di cucina, le coltivazioni idroponiche, offrono agli studenti la possibilità di dare forma alle proprie idee attraverso l’azione e la sperimentazione. Queste esperienze non solo rendono concreta la teoria appresa in aula, ma stimolano anche una serie di competenze cognitive, relazionali ed emotive. Costruire un ponte in scala, ad esempio, permette di esplorare concetti di fisica e geometria, come la distribuzione del peso, la forza dei materiali, la simmetria e la proporzione. Progettare e realizzare un astuccio in tessuto o in cuoio richiede la conoscenza delle misure, la logica nella pianificazione dei passaggi e la precisione manuale.

Attività come la lavorazione del legno o della pelle insegnano il valore della cura, della ripetizione paziente, dell’adattamento alle difficoltà tecniche. Inoltre, il lavoro artigianale può essere integrato con elementi tecnologici, come il coding e l’utilizzo di piattaforme come Arduino, che permettono di progettare e costruire piccoli impianti elettrici, robot artigianali o modelli meccanici. Questo connubio tra analogico e digitale consente agli studenti di vivere il sapere scientifico e tecnico come qualcosa di vivo, tangibile e utile. Interessanti anche l’attivazione di laboratori interdisciplinari in cui i ragazzi progettano oggetti funzionali o artistici, dalla lampada da scrivania al diario rilegato a mano, coniugando estetica, utilità, sostenibilità e creatività. Tutto ciò sviluppa una mente progettuale, abituata a pensare in termini di processi e risultati, e rafforza la capacità di collaborare in gruppo, condividere idee, prendere decisioni comuni e risolvere problemi reali.

Scuola secondaria di secondo grado, professionalità e passione

​Nel secondo ciclo di istruzione, le attività manuali si articolano in percorsi più complessi e professionalizzanti, configurandosi come autentiche palestre di mestiere e creatività. Istituti professionali e tecnici, come quelli per la moda, l’enogastronomia, l’elettronica, la meccanica, l’agricoltura o il design industriale, propongono laboratori altamente specializzati: cucito, sartoria e modellistica per la creazione di abiti; lavorazione della pelle e realizzazione di accessori in cuoio, borse, cinture e oggettistica; laboratori di cucina, panificazione, pasticceria e enologia; progettazione, installazione e manutenzione di impianti elettrici ed elettronici.​

Queste esperienze rappresentano un’autentica palestra per le competenze tecniche, ma anche per lo sviluppo di capacità trasversali come il lavoro di squadra, la gestione dei tempi e delle risorse, la capacità di risolvere problemi reali. Nei licei, pur con una vocazione più teorica, è possibile integrare atelier di ceramica, incisione, falegnameria artistica, laboratori teatrali con costruzione di scenografie, corsi di legatoria, o progettazione e modellazione 3D con software e stampanti avanzate. Si possono anche realizzare workshop di pelletteria, oreficeria, tessitura al telaio, intarsio, restauro del legno e produzione audiovisiva.​

Un esempio virtuoso si ritrova nei percorsi PCTO (Percorsi per le Competenze Trasversali e l’Orientamento), che offrono agli studenti l’opportunità di entrare in contatto con botteghe artigiane, aziende manifatturiere e start-up innovative. Questa sinergia tra scuola e mondo del lavoro permette di sviluppare una progettualità reale, promuovendo l’autonomia, l’iniziativa e il senso di responsabilità. In molte scuole, le esperienze laboratoriali culminano in mostre, eventi aperti al pubblico o vendite solidali, attraverso cui gli studenti vedono riconosciuto e valorizzato il proprio impegno.​

Un ulteriore esempio di integrazione tra formazione scolastica e mondo del lavoro è rappresentato dal programma “Impresa in Azione” di Junior Achievement Italia. Questo progetto coinvolge gli studenti delle scuole secondarie di secondo grado, nella creazione e gestione di mini-imprese a scopo formativo, guidandoli attraverso tutte le fasi, dall’ideazione e brevettazione di un prodotto o servizio fino al suo lancio sul mercato. Partecipando a “Impresa in Azione”, gli studenti sviluppano competenze imprenditoriali, tecniche e trasversali, fondamentali per il loro futuro professionale. Il programma è riconosciuto come valido ai fini dei PCTO e offre l’opportunità di confrontarsi con professionisti d’azienda, imprenditori e docenti universitari, arricchendo ulteriormente l’esperienza formativa.

Tutto ciò sviluppa non solo competenze tecniche, ma anche un’intelligenza emotiva e relazionale, fondamentale per il mondo del lavoro contemporaneo, in cui la manualità è sempre più riconosciuta come valore aggiunto, fonte di creatività, innovazione e sostenibilità.

Buone pratiche nel mondo, ispirazioni globali

In Finlandia, l’insegnamento delle abilità manuali è parte integrante del curricolo: tutti gli studenti, indipendentemente dall’indirizzo, imparano a cucire, costruire, riparare oggetti e utilizzare strumenti artigianali, pratica che in educazione tecnica, una volta si faceva anche da noi.

Le scuole finlandesi dispongono spesso di veri e propri laboratori multidisciplinari, dove gli studenti realizzano progetti pratici legati anche all’ambiente, alla tecnologia e al design, con un’attenzione particolare alla sostenibilità.

In Giappone, le attività di cura della scuola e del giardino sono quotidiane e rientrano nella pedagogia del rispetto: ogni alunno partecipa alla pulizia delle aule e degli spazi comuni, al mantenimento degli orti didattici, alla preparazione del pranzo o alla cura degli spazi verdi. Questo approccio sviluppa un forte senso civico, la coscienza del bene comune e la responsabilità individuale.

In Italia, alcune scuole hanno realizzato laboratori di Making e Tinkering, che uniscono sapere scientifico, creatività progettuale e manualità. In esse si realizzano prototipi, strumenti musicali, robot artigianali, strutture in legno, arredi scolastici e si promuove il recupero di materiali di scarto con una forte impronta ecologica.

In Francia, alcuni licei artistici e professionali propongono laboratori artigianali di pelletteria, ebanisteria, restauro, oreficeria e arti applicate, in collaborazione con maestri artigiani locali. Queste esperienze pongono lo studente a contatto diretto con le tradizioni e i mestieri del territorio, favorendo la trasmissione di saperi intergenerazionali e il riconoscimento della manualità come forma di cultura. Alcuni programmi sono sostenuti da fondazioni pubbliche e private, che promuovono l’artigianato come motore di occupazione giovanile e rigenerazione culturale dei territori.

Neuroscienze e apprendimento attivo

Le ricerche neuroscientifiche confermano che le attività manuali attivano ampie aree del cervello, in particolare quelle legate all’apprendimento profondo, alla memoria di lungo termine e alla gratificazione. La manipolazione concreta stimola la corteccia motoria e somatosensoriale, ma coinvolge anche le aree frontali deputate alla pianificazione, al controllo esecutivo e all’elaborazione simbolica. Questa attivazione diffusa sostiene una forma di apprendimento integrato, corporeo, emotivo e cognitivo.

In particolare, l’attività manuale sollecita la mielocinetica, ovvero la capacità del sistema nervoso di integrare la percezione tattile con la risposta motoria fine, favorendo il rafforzamento delle connessioni sinaptiche e la plasticità neuronale. La mielinizzazione delle fibre nervose, processo che si potenzia con l’esercizio motorio ripetuto e intenzionale, contribuisce alla velocizzazione e all’efficacia delle risposte cognitive, migliorando la concentrazione, la coordinazione e l’efficienza mentale.

L’apprendimento attivo, sostenuto dalla pratica manuale, genera una memoria incarnata e durevole, rafforza l’autoregolazione emotiva e contribuisce a ridurre lo stress e l’ansia scolastica. In un tempo in cui l’attenzione è costantemente dispersa da stimoli digitali frammentari, lavorare con le mani diventa un atto di centratura, di radicamento e di resistenza cognitiva. È attraverso il gesto consapevole, lento e finalizzato che si ristabilisce un equilibrio tra pensiero, emozione e azione, favorendo un apprendimento realmente significativo.

Conclusione: il futuro ha radici antiche

Riportare le mani al centro delle attività scolastiche non significa ripiegarsi su un passato idealizzato, ma intraprendere una direzione coraggiosa e lungimirante. In un’epoca dominata dall’immateriale, dalla virtualità e dall’automazione, il lavoro manuale rischia di essere percepito come obsoleto, quando invece rappresenta una risorsa preziosa per un’educazione completa e profondamente umana. Ribaltare questa visione significa riconoscere che l’intelligenza non risiede solo nell’astrazione o nel calcolo, ma anche nel gesto, nella pratica, nella trasformazione della materia attraverso la mente e il corpo.

Le scuole di ogni ordine e grado possono diventare fucine di creatività e consapevolezza, in cui l’apprendimento passa anche attraverso la costruzione, la riparazione, l’invenzione concreta. L’arte del fare, intrecciata con la riflessione critica, forma cittadini non solo competenti, ma consapevoli del proprio potere trasformativo sul mondo. Educare con la testa, il cuore e le mani significa coltivare un’intelligenza tridimensionale, capace di progettare, sentire e realizzare. Solo così potremo formare generazioni che non si limitano a immaginare il futuro, ma sanno letteralmente costruirlo con le proprie mani, con etica, bellezza e responsabilità.

 Orizzonte Scuola


sabato 5 aprile 2025

SCRIVERE UNA LETTERA


 “Aiuta a migliorare la grammatica e il vocabolario”


Una scuola insegna a comporle e inviarle 

 

Siamo da anni presi da social e da tecnologie digitali tanto da, quasi, non avere mai occasione di scrivere a mano, con carta e penna. I più giovani, in effetti, non hanno mai scritto, ad esempio, una lettera a mano. Una scuola di Napoli ha organizzato dei corsi per insegnare a farlo.

Come riporta Ansa, il progetto ha coinvolto gli alunni di due classi – la IV A e IV U della primaria – che con il sostegno dei loro docenti hanno riscoperto il piacere di scrivere a mano su un foglio bianco “e di esprimere i propri pensieri ed emozioni in modo più profondo e riflessivo rispetto ai messaggi digitali”.

Gli alunni della scuola hanno risposto in maniera entusiastica. E così un team di docenti si è messo all’opera per accompagnare i ragazzi in ogni fase del progetto, dalla scrittura alla spedizione delle lettere (trovare i francobolli e la buca più vicina alla scuola) e poi alla successiva analisi dei testi. A ricevere le lettere sono gli stessi ragazzi.

Gli obiettivi

Anche il tempo dell’attesa della consegna della missiva è stato un elemento valorizzato perché “inviare e ricevere lettere crea un legame speciale tra le persone, rafforzando le relazioni e coltivando l’empatia. Scrivere una lettera richiede di organizzare le idee, scegliere le parole giuste e dare forma a un racconto personale”, spiegano le docenti che hanno accompagnato i ragazzi.

“La scrittura di lettere aiuta a migliorare la grammatica, il vocabolario e la capacità di strutturare un testo in modo coerente”, aggiungono, ritenendo che “le lettere sono tesori tangibili che possono essere conservati per anni, diventando preziosi ricordi del passato”. L’obiettivo è chiaro: incoraggiare i bambini a scrivere lettere, sia a coetanei che a familiari perché “è un modo per arricchire la loro vita e preservare un’arte preziosa”.

Il corso per imparare a scrivere a macchina

Qualche settimana fa abbiamo parlato di un’altra iniziativa che ha obiettivi simili: in una scuola della provincia di Latina è stato organizzato un corso in cui si insegna ai ragazzi a scrivere a macchina.

Come riporta Il Corriere della Sera, per gli studenti dell’istituto comprensivo in questione si tratta di uno strumento praticamente sconosciuto. “Per i giovani la macchina per scrivere è come un tapis roulant della mente. Stiamo verificando sul campo che si può arrivare a un corretto equilibrio fra contenuti analogici e digitali, di cui fruiscono i ragazzi in fase di sviluppo, attraverso un’attività che sul piano formativo si sta rivelando efficace e anche molto divertente”, ha spiegato Enrico Sbandi, giornalista e collezionista che ha ideato e promosso le lezioni.

“A consuntivo del corso si valuteranno i risultati raggiunti con l’intento di ripetere ed estendere l’iniziativa anche ad altri istituti”, ha aggiunto. Gli iscritti al corso sono quattordici studenti della scuola secondaria di primo grado, coordinati dalla docente di Lettere.

L’obiettivo del corso (iniziato il 12 febbraio e che si concluderà ad aprile, articolato in venti ore) è quello di stimolare la creatività e potenziare il livello di apprendimento, ma anche prevenire gli abusi di smartphone e dispositivi digitali. Premere sui tasti della macchina da scrivere produce effetti positivi sul processo di formazione delle sinapsi neuronali, dal momento che vengono sollecitate le aree del cervello deputate alla lettura profonda.

Come dimostrato da diversi studi sviluppati negli Usa e in Giappone, la dattilografia fissa infatti nella memoria i contenuti digitati e aumenta il livello di concentrazione, dal momento che non consentendo il classico copia-incolla del pc, implica la necessità di non commettere errori. Inoltre, a differenza della tastiere dei computer, molto maneggevoli e facili da usare, impone l’impiego della forza fisica delle dita.

Dai primi risultati del progetto è emerso che gli studenti hanno acquisito una maggiore indipendenza nella scrittura, hanno spesso superato la timidezza, si sentono più motivati nello svolgere i compiti e acquisiscono una maggiore consapevolezza delle loro espressioni. Hanno migliorato poi l’utilizzo dei vocaboli, la capacità di comprensione nella lettura e anche l’ortografia.

 

Tecnica della scuola

Immagine


 

 

SUSSIDIARIETA' e LIBERTA'


 Mattarella: la sussidiarietà 
è garanzia di libertà

Una delegazione della Fondazione per la Sussidarietà, guidata dal presidente Giorgio Vittadini ha consegnato al Capo dello Stato il primo "Premio Sussidarietà".

 

 

Il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ha ricevuto questa mattina al Quirinale una delegazione della Fondazione per la Sussidarietà, guidata dal presidente Giorgio Vittadini.
Al termine dell’incontro è stato consegnato al Capo dello Stato il Primo “Premio Sussidarietà” per il contributo alla diffusione e alla crescita della cultura della sussidarietà, realizzato dallo scultore Carlo Steiner. Di seguito un ampio stralcio del discorso tenuto dal Capo dello Stato.

La sussidiarietà è un principio che lega e rafforza il rapporto tra istituzioni e società. Lega tra loro anche gli stessi ordinamenti delle istituzioni pubbliche, ciascuna nella sua autonomia e complementarietà. È nel vivo della società che la sussidiarietà trova la sua radice più profonda, e la sua ragione più esigente, perché essa è strettamente connessa con due valori di fondamentale rilievo: la libertà della persona e la solidarietà che essa esprime nell’ambito delle comunità in cui vive e realizza la propria esistenza.

La sussidiarietà è, cioè, in primo luogo, espressione e garanzia di libertà per le persone e i corpi sociali che concorrono all’interesse generale e che, nella pluralità degli apporti, si adoperano per rigenerare continuamente quei valori di umanità e di corresponsabilità che rappresentano uno dei portati più preziosi del nostro modello sociale, del modello sociale europeo.

Un modello che assicura spazi di autonomia, di partecipazione, di concorso delle persone, che trovano nelle formazioni espressive di valori e interessi delle comunità lo strumento per la loro affermazione, sconfiggendo sia le pretese di massificazione delle ideologie autoritarie del ‘900 – che hanno portato all’oppressione dell’uomo sull’uomo – sia quelle nuove, con la verticalizzazione del potere e la prevalenza di quello finanziario.

È importante irrobustire il principio di sussidiarietà: l’alternativa sarebbe introdurre arbitrari criteri gerarchici, addirittura favorendo, di fatto, poteri separati dalla società o concentrazioni che indeboliscono l’impianto democratico. La rete delle comunità e dei corpi intermedi tiene alta la stessa qualità della democrazia, rinvigorisce – ripeto – la libertà di ciascuno, perché la libertà si realizza insieme a quella degli altri, si realizza in quella degli altri.

La sussidiarietà è uno dei vettori del percorso che abbiamo davanti e, ben prima che la parola entrasse nella Costituzione nel 2001, il principio della sussidiarietà è maturato lungo tutta la storia della Repubblica. La nostra, come altre Costituzioni nate dalla Liberazione del continente dal nazifascismo, viene definita Costituzione “personalista” (…) perché colloca la dignità della persona, e non la ragione di Stato, al centro dell’azione della Repubblica. E sono proprio il principio personalistico e quello comunitario a farci dire che la sussidiarietà – sussidiarietà verticale ma, a maggior ragione, sussidiarietà orizzontale – è, dalle origini, pienamente dentro il disegno costituzionale, anzi ne è una sua esplicazione.

Le autonomie, territoriali e sociali, sono con evidenza incompatibili con i regimi autoritari, e proprio la loro inibizione è spesso la cartina di tornasole di restringimento delle libertà.

Ecco allora il contributo che esse recano vivificando libertà e democrazia di un popolo con la loro semplice esistenza. Contributo che trascende le finalità specifiche che le ha mosse, per divenire collante di una identità comune.

Le identità plurali delle nostre comunità, locali, sociali, sono frutto del convergere delle persone verso mete comuni e, a loro volta, partecipano della costruzione del percorso verso il bene comune della nostra società. In questa maniera si invera la democrazia che è fatta di sostanza e non di mera forma; di eguaglianza dei cittadini, che si realizza rendendo effettivi i diritti sociali, attraverso l’intervento del servizio pubblico e di ogni altro soggetto che può concorrere allo sviluppo del Paese e al benessere delle sue comunità.

Le comunità che si organizzano, la solidarietà che prende forma associativa, la mutualità, il volontariato, il Terzo Settore costituiscono risorsa insostituibile

Le comunità che si organizzano, la solidarietà che prende forma associativa, la mutualità, il volontariato, il Terzo Settore costituiscono risorsa insostituibile. Lo spazio pubblico non vive di polarizzazione tra il potere delle istituzioni da un lato e il singolo individuo dall’altro. Senza comunità intermedie anche il riconoscimento dei diritti viene messo a rischio.

Per affrontare le sfide locali come quelle nazionali, come quelle globali, è indispensabile rilanciare la cultura che viene espressa dal “noi”.  “Noi” come responsabilità comune, “noi” come volontà di partecipazione, “noi” come costruzione di comunità larghe e aperte.

L’albero della sussidiarietà ha molti rami. Coltivarlo è un grande servizio al nostro Paese.

 

Il discorso di Sergio Mattarella

 Immagine


 

 

GLI ACCUSATORI


 

*Commento alla Parola* 

 V Domenica di Quaresima  

- 6 aprile 2025 -


Vangelo: Gv 8,1-11

Commento di don Massimo Grilli*

La dignità che sgorga dall’incontro con Gesù è pure il motivo conduttore del racconto dell’adultera. È noto che il brano non apparteneva originariamente al vangelo di Giovanni e che solo in un tempo posteriore vi ha fatto il suo ingresso, proveniente da un’altra fonte (Luca?). La sua accettazione liturgica avvenne molto tardivamente (qualcuno parla del V secolo) e alcuni studiosi indicano la causa di questo ritardo proprio nella naturalezza con cui Gesù perdona un peccato che era disciplinato dalla chiesa delle origini in modo piuttosto rigido. In ogni caso, anche se testualmente la scena è fuori posto, essa si adatta perfettamente al prosieguo del capitolo ottavo di Giovanni, dove si parla del giudizio veritiero di Gesù in contrasto con quello dei suoi oppositori. E proprio di giudizio si parla in questo episodio.

 La svergognata

La scena è pennellata da un artista: gli scribi e i farisei accusatori conducono la donna come una preda; lei, svergognata, “in piedi, di fronte a tutti”, e Gesù curvo che scrive con il dito per terra. Agostino ha tratteggiato in modo mirabile il dramma, scrivendo: «i relitti sono due: la misera e la misericordia”. Da una parte una donna, ridotta a uno stato di completo avvilimento dalla sua colpa e da una legge che la condanna senza appello, e dall’altra gli zelanti tutori dell’ordine, che hanno a cuore la legge, ma non l’uomo, e la consolidata pratica di interrogare gli altri, ma non se stessi. Gesù – osservato speciale – costretto a emettere la sentenza.

«Ma Gesù si mise a scrivere col dito per terra». Di questo gesto sono state date numerose spiegazioni, più o meno plausibili. Spesso si è pensato che scrivesse i peccati degli accusatori o la sentenza su di loro, pronunciata poi nel versetto seguente; altri hanno pensato a delle linee indistinte, tracciate per contenere i sentimenti di ripugnanza verso chi tentava di tendergli un tranello; altri ancora – soffermandosi sulla terra e sul dito – hanno fatto riferimento alla legge di Mosè scritta sulla pietra con il dito di Dio: una Legge interpretata in modo nuovo da Gesù.

 

I peccatori

Forse per comprendere a fondo l’atto dello scrivere dobbiamo portare la nostra attenzione a quanto Gesù dice subito dopo: «chi di voi è senza peccato, scagli per primo la pietra contro di lei», perché con questo pronunciamento Gesù rifiuta l’ipocrisia umana che utilizza lo zelo per la legge come un randello per condannare e abbattere. Si tratta di un pericolo che si annida in chi crede e in chi non crede, nei palazzi dei potenti e in quelli sacri, sulle strade del mondo e nelle case degli uomini: il desiderio di mortificare la dignità umana grazie a una libido del potere che si fa interprete persino della volontà di Dio. La salvaguardia di una legge non deve perdere di vista la dignità umana. Quando la difesa di un valore arriva al disprezzo dell’essere umano fino a calpestarne la dignità, quando si legifera solo in vista della punizione e della mortificazione della persona… allora si calpesta la speranza: rimane il regno degli “onnipotenti”.

 

LA salvezza

Quando il processo si è liquefatto, rimangono solo Gesù e la donna: la misera e la misericordia, e Gesù può finalmente emettere la sua sentenza definitiva: «Nemmeno io ti condanno. Va’ e d’ora in poi non peccare più». La vita rinasce grazie a una Parola che non conosce condanna. Per i farisei, che l’avevano colta sul fatto, la donna era solo un’adultera: nient’altro. Per Gesù, invece, la donna che gli sta davanti non può essere definita soltanto dal suo peccato. Ogni uomo e ogni donna racchiudono un mistero che non può esaurirsi unicamente nel «già»; in ogni essere umano abita un «non ancora» di grazia, ancora inespressa. «Va’ e d’ora in poi non peccare più» è un atto di fiducia divina nella possibilità che ogni essere umano possa di nuovo alzarsi e andare!

 

*Don Massimo Grilli,

Professore emerito della Pontificia Università Gregoriana e Responsabile del Servizio per l’Apostolato Biblico Diocesano

 

Diocesi  Tivoli -  Palestrina

 

 

 

DAZI IN ARRIVO e BORSE IN CALO

 


Ma il problema


non sono i dazi




-di  Giuseppe Savagnone 


Misure irragionevoli

Tutti mezzi di comunicazione hanno dato grande spazio all’effetto catastrofico che stanno avendo sull’economia mondiale i dazi imposti dal presidente americano Donald Trump. La prima a crollare è stata proprio la borsa di New York. 

In conseguenza dell’annuncio, a Wall Street il Dow Jones ha chiuso in calo del 3,98% e il Nasdaq ha perso il 5,97%, dopo essere arrivato a cedere il 6,04%. Ma anche le borse europee – Francoforte, Parigi, Milano – e quelle asiatiche hanno registrato perdite che raggiungono 2.000 miliardi a Wall Street e 422 in Europa.

Il governo americano ha cercato di frenare questo panico appellandosi alla credibilità del presidente: «A Wall Street diciamo: fidatevi di Donald Trump», ha dichiarato la portavoce della Casa Bianca, Karoline Leavitt, commentando alla CNN il crollo dei mercati. E ha ripetuto lo slogan trumpiano secondo cui «questo è l’inizio dell’età dell’oro», perché «gli Stati Uniti non saranno più fregati dalle altre nazioni». Ma l’appello è rimasto senza esito.

Si tratta della più pesante barriera protezionistica a difesa del mercato statunitense dal tempo della “grande depressione”. Con la differenza che allora l’economia americana attraversava una drammatica crisi, mentre in questi ultimi anni ha avuto una progressiva espansione.

Trump ha motivato la sua decisione invocando la necessità di una «liberazione» dallo sfruttamento di cui, a suo dire, sono responsabili praticamente tutti gli altri paesi del mondo e che ha loro consentito finora di «saccheggiare e violare» gli Stati Uniti.

In base a un calcolo che ha colpito gli economisti per la sua rozzezza  e infondatezza, la prova di questo sfruttamento sarebbe il disavanzo commerciale per cui le importazioni statunitensi sono nettamente superiori alle esportazioni.

Come se questo dipendesse da una intenzionale discriminazione da parte degli altri paesi nei confronti del made in USA, e non da una serie di fattori che finora hanno portato gli americani a comprare una quantità di prodotti esteri  superiore alla quota di quelli che vengono esportati.

Per di più Trump sostiene che la tassa sul valore aggiunto, l’IVA, serve a scoraggiare l’acquisto di prodotti USA, misconoscendo il fatto che si tratta di un’imposta su tutti i beni consumati all’interno di un paese, a prescindere dalla loro provenienza.

Da qui il suo riferimento alla «reciprocità» che le nuove misure doganali mirerebbero a realizzare, riequilibrando l’immaginario protezionismo di cui gli Stati Uniti sarebbero stati finora vittima.

Non stupisce che molte delle critiche a queste misure riguardino non solo il danno che esse provocheranno, ma la loro ragionevolezza. Tra l’altro, gli esperti fanno notare che esse colpiscono anche – e in certi casi soprattutto – l’economia americana, che è strettamente interconnessa con quelle penalizzate dai nuovi dazi. Esemplare il caso della Nike e quello della Apple, due giganti che hanno in gran parte de-localizzato all’estero le loro catene di produzione.

E, infatti, i pesantissimi dazi imposti al Vietnam (46%) hanno fatto crollare le azioni del colosso americano delle calzature, le cui azioni sono scese di più del 10%. Così come quelli al 344% imposti alla Cina rappresentano un grave problema per Apple, che nel Paese asiatico produce l’85% dei suoi iPhone.

Ma anche le famiglie americane risentiranno pesantemente dell’aumento dei prezzi di prodotti d’importazione di cui non possono o non vogliono fare a meno.

«L’età dell’oro» appena iniziata si prospetta già molto meno entusiasmante di quanto in campagna elettorale Trump abbia promesso. Il solo a non rendersene conto sembra essere il presidente americano: «L’intervento è finito!» scritto su «Truth». «Il paziente è sopravvissuto e sta guarendo, la prognosi è che il paziente sarà molto più forte, più grande, migliore e più resiliente che mai prima. Rendiamo l’America di nuovo grande!!!».

La reazione dei paesi europei e quella dell’Italia

Il presidente francese Emmanuel Macron ha definito «brutale e infondata» la scelta di Trump e ha invitato gli imprenditori francesi dei settori più colpiti a «sospendere gli investimenti negli Stati Uniti» in attesa di «ogni ulteriore chiarimento». E Robert Habeck, ministro dell’Economia tedesco, in una conferenza stampa ha paragonato l’impatto dell’attacco della Russia all’Ucraina con quello dei dazi degli Stati Uniti, verso i quali, ha detto, è necessaria una reazione compatta e decisa, proprio come nel caso dell’aggressione russa all’Ucraina.

La presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, da parte sua, ha sottolineato l’eccezionale gravità di ciò che sta accadendo: «L’economia globale soffrirà enormemente. L’incertezza aumenterà vertiginosamente e innescherà l’aumento di un ulteriore protezionismo. Le conseguenze saranno terribili per milioni di persone in tutto il mondo».

Ha poi aggiunto che la Commissione, già impegnata a mettere a punto le prime contromisure in risposta ai dazi su acciaio e alluminio, entrati in vigore a marzo, sta ora preparando un nuovo pacchetto per replicare ai nuovi dazi.

Di tono completamente diverso la reazione della nostra premier, il cui commento, pur moderatamente critico, è stato soprattutto rivolto a minimizzare la portata  della svolta statunitense, perfino con un accenno di polemica verso quanti ne denunciavano la gravità: «Penso che la scelta degli Stati Uniti sia una scelta sbagliata, che non favorisce né l’economia europea né quella americana, ma penso anche che non dobbiamo alimentare l’allarmismo che sto sentendo in queste ore (…). Ovviamente abbiamo un altro problema che dobbiamo risolvere, ma non è la catastrofe che, insomma, alcuni stanno raccontando».

Quanto alle possibili contromisure, già nel discorso tenuto al Senato alcuni giorni fa Meloni le aveva in anticipo definite come un pericoloso cedimento alla «tentazione delle rappresaglie, che diventano un circolo vizioso nel quale tutti perdono». Con una strana identificazione tra legittima difesa e rappresaglia, che è un’altra cosa.

Coerentemente con questa prospettiva, nel suo commento all’annuncio di Trump la nostra premier ha osservato che in Europa  siamo chiamati a «scelte che possono essere diverse.

Ad esempio, io non sono convinta che la scelta migliore sia quella di rispondere a dazi con altri dazi, perché l’impatto potrebbe essere maggiore sulla nostra economia rispetto a quello che accade fuori dai nostri confini». E ha concluso: «Il ruolo dell’Italia è portare gli interessi italiani».

Parole che, nella loro cautela, lasciano intravedere la possibilità di una diversificazione della risposta del nostro governo rispetto a quella degli altri paesi europei, rompendo un’unità che più volte è stata invocata come la condizione imprescindibile per una efficace difesa da parte dell’Europa.

La sintonia di Giorgia Meloni con Trump

È una reazione che in realtà riflette la sintonia che la nostra premer ha chiaramente espresso nell’intervista al «Financial Times»: «Io sono conservatrice. Trump è un leader repubblicano. Sicuramente sono più vicina a lui che a molti altri. E capisco un leader che difende i suoi interessi nazionali. Io difendo i miei».

A suo avviso Donald Trump non è un avversario, ma «il primo alleato» di Roma. E le arroganti parole critiche rivolte al Vecchio Continente dal vicepresidente americano J. D. Vance – lo stesso che in una chat ha definito gli europei «parassiti», ricevendo poi peraltro la conferma da parte dello stesso Trump – sono pienamente giustificate, perché l’Europa «si è un po’ persa negli ultimi anni»

Così, nel discorso al Senato del 17 marzo scorso, ha addirittura accusato di malafede chi prende atto della divaricazione che, per evidente scelta di Trump, si è verificata tra  le due sponde dell’Atlantico: «Chi ripete ossessivamente che l’Italia dovrebbe scegliere tra Europa e USA, lo fa strumentalmente, per ragioni di polemica domestica». 

La distanza tra Europa e Stati Uniti non sarebbe nella realtà dei fatti, ma il frutto di una maligna «narrazione»: «Chi per ragioni diverse alimenta una narrazione diversa, tentando di scavare un solco tra le due sponde dell’Atlantico, non fa che indebolire l’intero Occidente, a beneficio di ben altri attori».

Ma già ai primi di gennaio, nella conferenza stampa d’inizio d’anno, mentre il mondo sbalordito stentava a credere alle minacciose parole con cui il nuovo inquilino della Casa Bianca proclamava il suo progetto nei confronti della Groenlandia e del Canale di Panama, la nostra presidente del Consiglio prendeva le distanze dai critici e ne minimizzava la gravità, esprimendo la sua piena fiducia nel Tycoon: «Mi sento di escludere che gli Stati Uniti nei prossimi anni si metteranno a tentare di annettere con la forza dei territori che interessano: a differenza di alcune letture che leggo, sento, e ascolto su Trump, lo abbiamo già visto presidente degli USA ed è una persona che quando fa una cosa, ragionevolmente la fa per una ragione».

Dopo di allora Trump è più volte tornato sulla questione della Groenlandia, non con le argomentazioni razionali a cui Meloni lo ritiene portato, ma ricorrendo ancora una volta alla minaccia, anche militare: «Abbiamo bisogno della Groenlandia per la sicurezza internazionale. Dobbiamo averla», ha dichiarato.  «La otterremo al 100%. Ci sono possibilità che gli Stati Uniti la prendano senza la forza militare, ma nulla è escluso».

Per non parlare dell’intento dichiarato e ribadito di risolvere il dramma della guerra di Gaza deportandone gli abitanti e trasformando la Striscia in un resort di lusso.

A questo punto la questione dei dazi diventa solo l’ultimo episodio di una deriva che smentisce tutti gli sforzi della nostra premier di chiudere gli occhi sulla realtà.. Mai come in questo ultimo atto è stato chiaro che il «solco» tra le due sponde dell’Atlantico non è un’invenzione di chi vuole metter in difficoltà il nostro governo, ma un dato di fatto che lo costringe a decidere se essere dalla parte dell’Unione Europea, adottando una linea comune, oppure cercare un negoziato  “a parte”, come chiede a gran voce il nostro vice-premier Salvini, accettando gli eventuali privilegi del vassallaggio nei confronti degli Stati Uniti, ma correndo il rischio di avere in Europa lo steso ruolo sempre più marginale che ha l’Ungheria di Orbán. 

Dove il problema non è più solo economico, come oggi tutti tendono a dire, ma coinvolge la dimensione politica, culturale ed etica della nostra identità nazionale. Gli italiani sono chiamati a una scelta che va ben oltre gli svantaggi derivanti dai dazi.

Condividiamo la stima della nostra premier per Trump e la sua ragionevolezza? Vogliamo veramente chiudere anche noi gli occhi su quello che il presidente americano sta facendo – e su come lo sta facendo – da quando è al potere? Sono i suoi progetti il futuro che auspichiamo per la  civiltà occidentale?

Oggi non possiamo più sfuggire a questi interrogativi. E dalla risposta che daremo dipende il posto che l’Italia avrà nel mondo.

 www.tuttavia.eu

Immagine