di quelli
che ci credono
E quindi sperano
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di Marina Corradi
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Doveva essere ben pesante
la bara di cipresso e zinco, a giudicare dalle facce provate dei quattordici
sediari che la reggevano sulle spalle, portandola lentamente dalla Basilica
alla piazza. E lo sapevamo, che in
quella bara stava Francesco, il volto coperto da un lembo bianco - il segno
definitivo della morte.
Eppure, in San Pietro
qualcosa mancava.
Mancava la desolazione
che è consueta a un funerale. Mancava,
sulle facce della gente, l’ammutolimento con cui reagiamo di solito, di fronte
alla morte.
Addirittura, in piazza,
prima dell’inizio della cerimonia, dei ragazzi cantavano, e battevano le mani. Roma, poi, esibiva il più spettacolare dei
suoi cieli, di un blu assoluto.
E tanti piangevano, ma
non erano annientati come quando ci lascia qualcuno di caro.
Mancava, ecco, ieri in
San Pietro, la disperazione: che in molti dei nostri funerali culmina
nell’istante in cui il feretro viene portato via. Non c’è stato quell’attimo,
ieri a Roma.
Come diceva una ragazzina
del gruppo che cantava, «Noi siamo certi che lui non ci ha lasciati».
Spe salvi facti sumus,
pensi, nella speranza siamo stati salvati.
Una speranza antica
Una speranza antica di
duemila anni si percepisce nell’aria dell’aprile 2025, a Roma.
Sulla bara è posato un
Vangelo. Un vento improvviso a un certo punto lo scompagina, lo sfoglia,
inquieto, veloce - come cercando un passo preciso.
Sembra lo stesso vento
che aprì dolcemente il Vangelo in piazza, al funerale di San Giovanni Paolo II.
Come il segno di qualcosa
che vive e opera, oltre l’apparenza del corpo immobile di un Papa morto. Che
opera, che cosa?
Alle dieci le delegazioni
di tutto il mondo convergono, rigorosamente in nero, davanti alla Basilica. Dall’altra parte, il rosso vivo di 220
porpore.
Sugli schermi si vede Trump, a capo chino davanti alla bara. Ma poi, in piazza non arriva. Cinque minuti, dieci, un quarto d’ora. Dov’è, il più potente del mondo?
Sugli smartphone compare una foto: Trump e Zelensky uno davanti all’altro, faccia a faccia. Due uomini nell’immensità di San Pietro.
Ma colpisce come siedono:
entrambi col busto inclinato in avanti, protesi, come quando si discute di ciò
che conta davvero.
Si parlano. Possibile
che? Possibile che accada qualcosa, che la guerra in Ucraina si fermi, davvero?
Si tace, davanti a quella foto, quasi non osando sperare.
Si pensa a quanto
Francesco ha implorato, ostinatamente, la pace.
In quel rettangolo nero in piazza, ieri mattina, c’erano, quasi al completo, i padroni del mondo. E che mondo, in questi amari anni Venti del Terzo millennio. Un mondo tornato indietro, con frontiere chiuse e muri e invasioni.
Ma sono, i governanti,
quasi tutti lì in San Pietro: e conforta, che si stringano la mano.
Lampedusa, Lesbo, la
Messa celebrata alla frontiera fra Usa e Messico.
Il cardinale Re con la
voce netta dei suoi invidiabili 91 anni mette in fila le tappe del giro del
mondo di Francesco.
Tappe inequivocabili: i
fiori lanciati nel mare di Lampedusa, a onorare i morti ignorati dall’Europa.
E quella frontiera, in
Messico, fra il Sud e il Nord del mondo, sempre più invalicabile.
Su tutti i muri che ci lacerano è andato, Francesco. Annunciando misericordia.
Il Cardinale Re: «Ha sempre messo al centro il Vangelo della misericordia, sottolineando ripetutamente che Dio non si stanca di perdonarci. Egli perdona sempre».
Perdona sempre.
Dentro le braccia di un Dio che perdona. Questo, ad ascoltare la gente in San Pietro, è il Dio di cui Francesco ha parlato.
E soprattutto i lontani,
chi si percepiva irrimediabilmente fuori dalla Chiesa, dal Papa venuto da
lontano si è sentito accolto e abbracciato.
Conquistati dalla
misericordia: da quell’amare di Dio con viscere materne, come di una madre che
non può dimenticare i suoi figli.
Misericordia, che parola
singolare, enorme, in questo nostro mondo che si affanna per appena un po’ di
giustizia, e nemmeno la ottiene.
«Ci chiedevi sempre di
pregare per te: ora prega tu per noi.
Benedici la Chiesa, Roma
e il mondo intero», conclude il Cardinale Re.
E il Magnificat
accompagna l’andarsene di Francesco da questa piazza in cui appena una
settimana fa sorrideva, debole, in un ultimo giro fra i fedeli.
Come in un cosciente
commiato.
Poi il carro bianco esce
dalle mura vaticane e traversa Roma.
Folla lungo il percorso,
tutti con lo smartphone a catturare quell’immagine.
(Chissà se siamo ancora
capaci, oltre che di scattare, semplicemente di guardare e di serbare un
ricordo in noi). A Santa Maria Maggiore c’è gente che aspetta dall’alba.
Sono quelli che dormono
sotto al Colonnato, e che Francesco andava a cercare e a sfamare.
C’è una donna sfiorita
che racconta di essere una transessuale e di avere vissuto sul marciapiede,
fino a quando ha incontrato Bergoglio.
Ed è lì, dal mattino
presto - perché è qui, l’ultimo saluto.
Il feretro viene portato
dai sediari nella penombra d’oro della Basilica.
In fondo c’è l’icona di
Maria Salus Populi Romani, tanto cara a Francesco, che già prima di essere Papa
quando ci tornava fedelmente.
Poi, le immagini si
interrompono: si spengono i riflettori sulla sepoltura, che davvero è silenzio,
e mistero della morte - la terra, per noi uomini un altissimo muro.
“Franciscus”, c’è scritto sulla tomba nella navata sinistra, non altro.
Nient’altro. La senti, la lama della morte.
Ma, è stato proclamato
ancora una volta in San Pietro, «La vita umana non termina nella tomba, ma
nella casa del Padre, in una vita di felicità che non conoscerà tramonto».
E dunque ciò che al mondo
appare fine o, peggio, il nulla, è un inizio.
L’audacia della Pasqua,
della pietra del Sepolcro rotolata, ci provoca ad ogni morte. Anche a quella
del Papa.
Le facce nostre, di noi
uomini, sono diverse, a seconda che in Cristo morto e risorto crediamo, o no.
Ieri abbiamo visto le
facce di quelli che ci credono. E quindi sperano.
E quindi, nel vedere
Trump e Zelensky in San Pietro, soli, su due sgabelli, l’uno davanti all’altro,
protesi l’uno all’altro come chi ha molto da dirsi, hanno sperato.
Che ci abbia messo una parola lui, che se ne è andato. Hanno sperato, nel tornare alle loro case lontane.
Addolorati per un padre
perduto, ma non disperati.
Francesco non se ne è
andato: è solo tornato a casa, da chi da sempre lo aspettava.
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