risonanza mondiale
di una morte
- di Giuseppe Savagnone
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Ma lo era assai meno nella Spagna laicista del socialista
Pedro Sanchez, che anch’essa ha indetto un lutto nazionale di tre giorni e
in cui le bandiere sono a mezz’asta a Madrid e in tutto il paese.
Ma il lutto si è esteso a tutta l’Europa. A Parigi la Tour
Eiffel è stata oscurata in omaggio a Bergoglio. E il presidente Macron lo ha
definito come un portatore di «gioia e speranza ai più poveri».
In onore del pontefice, le bandiere sono state esposte a
mezz’asta nelle residenze reali del Regno Unito. Il cancelliere tedesco,
Friedrich Merz ha sottolineato che la sua azione è stata guidata «dall’umiltà e
dalla fede». E il premier olandese Dick Schoof lo ha definito «un
modello per molti, cattolici e non cattolici».
Secondo la presidente della Commission europea Ursula von
der Leyen, «ha ispirato milioni di persone, ben oltre la Chiesa cattolica,
con la sua umiltà e il suo amore così puro per i meno fortunati».
Colpisce particolarmente l’omaggio del presidente russo
Vladimir Putin: «Il Papa ha fatto molto, non solo per i suoi fedeli, ma anche
per il mondo intero», ha affermato, ricordando che il pontefice romano ha
promosso attivamente lo sviluppo del dialogo tra la Chiesa ortodossa russa e
quella cattolica. E ha osservato che «secondo la tradizione ortodossa, se il
Signore chiama a Sé una persona durante i giorni di Pasqua, è un segno speciale
che questa persona non ha vissuto la sua vita invano e ha fatto molto bene alle
persone, e quindi il Signore la chiama durante questi giorni festivi di
Pasqua».
Ma anche fuori dell’Europa l’eco della morte di Francesco è
stata grande. «Ho appena firmato un ordine esecutivo che mette le bandiere
del nostro Paese a mezz’asta in onore di Papa Francesco», ha detto il
presidente americano Donald Trump. «Era un brav’uomo. Lavorava sodo. Amava il
mondo. Ed è un onore per me farlo».
È arrivato, inatteso, anche un messaggio di cordoglio
ufficiale di Pechino. È una novità che ha un suo grande valore politico. In
occasione dei funerali di Giovanni Paolo II, nel 2005, non vi era stato alcun
comunicato ufficiale.
Anche Hamas si è unito al lutto: «Papa Francesco era un fermo
difensore dei diritti legittimi del popolo palestinese, in particolare nella
sua ferma posizione contro la guerra e gli atti di genocidio perpetrati contro
il nostro popolo a Gaza nel corso degli ultimi mesi», ha dichiarato un suo
portavoce.
Reazioni contrastanti
Contraddittorie le reazioni provenienti da Israele. Secondo
il presidente Isaac Herzog «Francesco era un uomo di immensa fede e grande
misericordia, che ha dedicato la vita al progresso dei poveri del mondo e alla
richiesta di pace in un’epoca complessa e turbolenta». Assordante invece il
silenzio del premer israeliano Netanyahu, il cui significato ostile è stato
evidenziato dall’ordine, dato a tutte le ambasciate israeliane del mondo, di
cancellare i post di condoglianze che avevano pubblicato.
Riflette questa ambivalenza la reazione del mondo ebraico
della diaspora, in Italia. Il rabbino capo di Roma, Rav Riccardo Di Segni, ha
dichiarato: «Il suo pontificato è stato un importante nuovo capitolo nella
storia dei rapporti tra ebraismo e cattolicesimo, con aperture a un dialogo
talvolta difficile ma sempre rispettoso. Ricordo le numerose occasioni in cui
l’ho incontrato, segnate sempre da simpatia, attenzione e confidenza».
Ma secondo il rabbino capo di Trieste, Alexander Meloni,
Francesco «è stato un Papa estremamente problematico per il mondo ebraico
(…) e ne abbiamo risentito molto, soprattutto dopo il 7 ottobre 2023, nelle sue
prese di posizione».
In realtà anche le reazioni della destra italiana sono state
molto articolate. All’annuncio della morte del papa Giorgia Meloni ha
pronunciato parole commosse: «Torna alla casa del Padre un grande uomo, un
grande pontefice che penso tutto il mondo ricorderà per essere il Papa della
gente, il Papa degli ultimi”. E ha aggiunto: «Mancherà anche a me, avevamo uno
straordinario rapporto personale, era un pontefice con cui si poteva parlare di
tutto, con cui ho avuto il privilegio di potermi confrontare su tutto».
La premier ha addirittura parlato di una «quotidianità dei
rapporti, più assidui di quanto si vedesse», nei quali ella ha avuto «il
privilegio di godere della sua amicizia, dei suoi consigli e dei suoi
insegnamenti, che non sono mai venuti meno neanche nei momenti di prova e
sofferenza». E Ignazio La Russa ha definito il Pontefice «una guida
spirituale di immenso carisma».
Ma i giornali della destra non hanno mancato di ribadire le
critiche rivolte a Francesco durante tutto il suo pontificato. «Un papato
ondivago che lascia una Chiesa confusa», è il titolo dell’editoriale de «La
Verità» del 23 aprile. E «Libero», nello stesso giorno, dà grande risalto in
prima pagina a una statistica sulla progressiva scristianizzazione del nostro
paese, intitolandola: «Quei numeri che provano il fallimento del
pontificato».
Sono voci dissidenti, che però hanno il merito di evidenziare
una realtà che la corale esaltazione della figura di Francesco rischia di
nascondere: le richieste di questo papa, soprattutto negli ultimi anni del suo
pontificato, sono state in netto contrasto con la tendenza della politica
mondiale e il suoi appelli sono stati totalmente disattesi dagli stessi potenti
che hanno fatto a gara nel lodarne l’opera e che saranno raccolti intorno al
suo feretro per il suo funerale, il 26 aprile.
Le richieste disattese di Francesco
Pur senza dimenticare altri aspetti importanti della visione
cattolica del mondo e della vita, come le questioni bioetiche – durissima
la sua condanna dell’aborto – , Francesco ha dato il massimo risalto ad
alcuni temi, a suo avviso fondamentali.
Incessante il suo richiamo alla necessità che la ricerca
della pace – a parole condivisa da tutti – fosse resa effettiva con la
rinunzia ad alimentare la produzione e il mercato delle armi, fattori decisivi
del divampare di sempre nuove guerre e del prolungarsi di quelle in atto.
Un altro punto su cui non si è stancato di insistere è stato
quello dell’accoglienza dei migranti, sia pure con la gradualità e le cautele
necessarie. Emblematico il suo grido a Lampedusa contro la cultura dello scarto
e dell’indifferenza, per cui le società ricche respingono i poveri che
vengono a cercare da noi una vita migliore. In questa direzione
andava anche l’enciclica «Fratelli tutti» (2020), volta ad abbattere le
barriere tra i popoli.
Un’enciclica – la «Laudato si’» (2025) – Francesco ha
dedicato anche al problema di un’ecologia integrale, capace di rispettare al
tempo stesso la terra e gli esseri umani che la abitano, rinunciando alle
logiche predatorie che scaturiscono da una politica manovrata dall’economia e
da un’economia a a sua volta dominata dalla finanza.
E poi ha preso posizione a difesa di tutte le vittime della
violenza, con particolare riferimento alle stragi di civili nella Striscia di
Gaza. Il 17 novembre 2024 aveva chiesto un’indagine internazionale per
verificare se le operazioni israeliane configurassero un genocidio.
«Mitragliate sui bambini, bombardamenti su scuole e ospedali… quanta
crudeltà!», aveva detto.
Su ognuno di questi punti il mondo è andato e continua ad
andare in direzione opposta. La guerra in Ucraina si è giocata finora
escludendo ogni tentativo di dialogo e puntando esclusivamente sul
braccio di ferro militare.
Significativi da un lato il cinico accanirsi di Putin sui
civili ucraini e dall’altro il divieto da parte di Zelenskyy di
qualunque trattativa con la Russia, unita all’ossessiva richiesta di avere più
armi dalla NATO, in vista della «vittoria totale».
Ed ora che viene meno l’ombrello americano, la sola
prospettiva che sembra avere l’Europa è di sostituirlo restando sul terreno
degli armamenti. Non si prende in considerazione l’idea di usare quelli
attuali, già più che ingenti, in modo più razionale, superando il frazionamento
attuale e muovendosi nella prospettiva di una difesa veramente comune.
Il problema sembra solo quello di assicurare più armi ai
singoli paesi. Va in questa direzione il piano proposto dalla Von der
Leyen nel marzo scorso al Consiglio europeo, e da questo poi approvato,
intitolato significativamente «ReArmEurope». La presidente della Commissione
europea, nel presentarlo ha sottolineato che l’Europa è entrata «nell’era del
riarmo» e che è necessario incrementare le spese dedicate alla difesa.
Recentemente l’Italia si è allineata, annunciando l’innalzamento delle sue spese
militari al 2% del PIL.
Quanto al tema dell’accoglienza, è eloquente un articolo de
«Il Giornale» del 7 febbraio scorso, che parla della nuova politica europea su
questo tema e del ruolo avuto in questa svolta dall’Italia: «A Bruxelles, il
vento è cambiato(…) L’Italia, da quando Giorgia Meloni è arrivata a
Palazzo Chigi, ha fatto sentire la sua voce a livello internazionale,
dimostrando che la lotta all’immigrazione irregolare dev’essere nei primi posti
dell’agenda politica europea e sta
dettando la linea ai suoi omologhi.
Il patto Italia-Albania per la delocalizzazione
dei migranti non piace alla magistratura italiana, ma piace ai governi
europei, che hanno chiesto alla Commissione europea di studiare un piano
comunitario simile. Nel frattempo, però, Ursula von der Leyen conferma la
teoria italiana sulla necessità di accelerare le procedure per chi non ha di
diritto di restare in Europa».
Per ciò che riguarda la custodia della terra, il 20 gennaio
scorso il presidente Trump ha firmato l’uscita degli Stati uniti dall’Accordo
di Parigi sui cambiamenti climatici. E anche su questo terreno l’Italia sembra
in sintonia col Tycoon americano, per l’appiattimento della posizione del
nostro governo su quella di Confindustria, che ritiene troppo costoso il
progetto europeo di transizione ecologica e la progressiva rinunzia ai
combustibili fossili.
Non maggiore successo hanno avuto gli appelli di papa
Francesco per la guerra a Gaza. Anzi l’avvento del nuovo presidente americano
ha dato il via libera a un parossismo di violenza contro i civili, denunziato
anche dagli organi di informazione israeliani.
Senza contare il progetto di Trump di deportare i due
milioni di palestinesi della Striscia per costruire là un resort. Da parte sua,
il governo italiano ha continuato a dare allo Stato ebraico la sua piena
solidarietà, rifiutando perfino di firmare un lettera in difesa della Corte
Penale Internazionale, quando il presidente americano l’ha sanzionata per
aver condannato Netanyahu per «crimini contro l’umanità».
Alla luce del mistero pasquale
La grande emozione e le lodi incondizionate a papa Francesco
in questi giorni attestano certamente, per un verso, il grande fascino di
questa figura, ma, per un altro verso, mascherano la reale direzione della
politica mondiale, sempre più lontana da ogni prospettiva cristiana e anche
semplicemente umana.
Questo vale anche nei confronti del nostro governo. «Avevamo
uno straordinario rapporto personale, era un pontefice con cui ho avuto il
privilegio di potermi confrontare su tutto», ha detto Giorgia Meloni,
rallegrandosi di avere sempre potuto «godere dei suoi consigli e dei suoi
insegnamenti».
Forse si potrebbe chiedere se in questo confronto lei e il
papa abbiano mai parlato dei campi di concentramento finanziati
dall’Italia in Libia e in Tunisia, del progetto di deportazione in
Albania, del silenzio italiano sulle stragi a Gaza.
E come mai il suo «straordinario rapporto personale» con
Francesco abbia potuto coesistere con quello «privilegiato» con Trump di cui si
è detta «orgogliosa».
La verità è che Francesco, al di là delle celebrazioni
ufficiali, è stato un profeta inascoltato e sconfitto. Ma in questo non ha
avuto sorte diversa dal suo Maestro. Ce lo ricorda la coincidenza della sua
morte con la Pasqua, festa del Signore che ha vinto il mondo lasciandosi
inchiodare sulla croce.
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