il messicano, l’ucraino, il palestinese, il migrante, l’omosessuale,
lo straniero...
è sempre il colpevole di tutto.
Si tratta di una attitudine proiettiva
oggi divenuta follemente pervasiva nella vita pubblica.
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di Massimo Recalcati
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Attualmente i ragionamenti geopolitici più illuminati sul
declino della democrazia nel mondo sottolineano la predominanza di una
inclinazione totalitaria che non si esplicita solo nell’affermazione di regimi
chiaramente antidemocratici ma anche come una tendenza illiberale immanente
alla democrazia stessa. Si affermano politiche ispirate da una volontà di
protezione e di espansione sovranista come risposta a una minaccia che
metterebbe a rischio la propria consistenza identitaria.
Siamo qui al cuore della lezione clinica della paranoia che
si può riassumere con le parole di un noto gerarca nazista secondo il quale
assassinare è una necessità ineludibile per non essere assassinati.
Autodifesa e narcisismo
In evidenza è il carattere auto-difensivo del delirio
paranoico: la minaccia permanente che l’altro incarna deve essere neutralizzata
a ogni costo; aggredire sarebbe così un modo per evitare di essere aggrediti.
La spinta distruttiva rivolta verso l’altro trova qui la sua molla di fondo:
annientare il nemico è un esercizio securitario per preservare l’esistenza e
l’integrità dei propri confini. In questo modo il perseguitato diviene il
persecutore in uno scambio di ruoli speculare: la minaccia che l’altro incarna
si capovolge in una accusa inesausta nei confronti dell’altro. Non a caso Mein
Kampf di Hitler è una reazione chiaramente paranoica alla crisi profonda nella
quale era sprofondata la Germania sconfitta e umiliata alla fine della prima
guerra mondiale. Si trattava di convertire una caduta melanconica individuale e
collettiva in una battaglia politica al cui centro c’era una ideologia — quella
dell’antisemitismo — che localizzava nell’ebreo l’altro al quale attribuire la
colpa di quella sconfitta e di quella umiliazione. Di qui l’oscillazione tipica
del soggetto paranoico tra il sentirsi radicalmente escluso (emarginato,
segregato, perseguitato) ed essere guidato da una inesauribile ambizione
narcisistica che lo sospinge a incarnare l’eccezione, a essere “il più
grande”.
È il destino cupo e delirante dello stesso Hitler: solo
facendosi il portavoce e l’eroe di una missione universale di riscatto — di una
causa alla quale fanaticamente immolarsi — egli, sostenuto da una incrollabile
certezza nella verità del proprio delirio, si è potuto identificare nel ruolo
del salvatore che ridà senso e ordine a un Io e a un mondo caduti a pezzi. È
l’ideale incontaminato di purezza che accompagna ogni vera paranoia nella sua
esigenza ipermorale di estirpare qualunque forma di impurità compresa quella
del sangue.
Odio
L’odio nei confronti di un nemico impuro che si vuole rendere
assoluto protegge, infatti, il paranoico dall’incontro con il suo vuoto
fondamentale, con la sua insignificanza originaria. Di qui la sua insistenza
sulla certezza incontrovertibile di una ingiustizia subita che deve essere
necessariamente riscattata e di qui anche la sua piena identificazione con il
proprio delirio. È una tesi di Lacan: la dimensione infatuata della paranoia
consiste nel credersi un vero Io, un Io identico a se stesso, integro e
compatto come l’acciaio. Per questo nel disegno paranoico la follia viene
sempre attribuita all’altro e non al soggetto che invece si rivela come un
lucido lettore della perfida malignità dell’altro. L’impossibilità di accedere
al lavoro simbolico del lutto nei confronti del trauma della perdita — che non
riguarda solo il soggetto individuale ma anche i popoli e gli Stati che li
rappresentano — irrigidisce il delirio paranoico nell’odio e nella
recriminazione vendicativa costantemente rivolta verso un altro vissuto come la
fonte di ogni male. Il narcisismo maligno che lo anima non vuole sapere nulla
del carattere irrimediabile della ferita che lo intacca. La passione
dell’ignoranza che anima la sua esistenza è pari solo alla forza con la quale
difende il suo assioma di innocenza.
Le colpe altrui
In questo senso la paranoia si costituisce come il rovescio
speculare della melanconia: la colpa non è mai del soggetto perché è sempre e
solo dell’altro. Ed è una colpa tanto irrevocabile e assoluta quanto evidente e
priva di ambiguità. Lo sguardo delirantemente lucido del paranoico la smaschera
ogni volta senza pietà. Nessun dubbio e nessun tentennamento: l’altro —
l’ebreo, la donna, la società, il sistema del potere, il messicano, l’ucraino,
il palestinese, il migrante, l’omosessuale, lo straniero, ecc — è sempre il
colpevole di tutto.
Si tratta di una attitudine proiettiva oggi divenuta
follemente pervasiva nella vita pubblica.
Non a caso i grandi paranoici possono diventare leader
convincenti e carismatici. Di fronte alla colpa che affligge il soggetto
individuale o collettivo per la sua insufficienza e il suo smarrimento, essi
incarnano un’identificazione granitica al perseguitato e alla vittima che sa
reagire e rialzarsi con forza e orgoglio di fronte alle ingiustizie a torto
subite.
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