secondo Papa Francesco
Per “recuperare” un’idea sociale,
incardinata nella Dottrina Sociale
della Chiesa
che ci piace riproporre il “manifesto” del buon lavoro
e
della buona impresa, lanciato dal pontefice argentino
by Mario Bozzi Sentieri
Papa Francesco:
Il 1° maggio, Festa del Lavoro, di quest’anno non
può non essere segnato dalla recente scomparsa di Papa Francesco, Pontefice
“peronista” si è detto e quindi populista e sensibile ai temi del lavoro. E’
per “recuperare” un’idea sociale, incardinata nella Dottrina Sociale della
Chiesa, ben diversa dal genericismo di certe “ricostruzioni” giornalistiche,
lette in questi giorni, che ci piace riproporre il “manifesto” del
buon lavoro e della buona impresa, lanciato da Papa Francesco,
durante la sua visita pastorale a Genova, il 27 maggio 2017, in
occasione dell’ incontro con i lavoratori dell’Ilva. Si tratta di un
manifesto che ci sentiamo di condividere per il suo valore
etico-sociale e che proponiamo, nella sua essenzialità, per
la sua forza “programmatica”.
***
La dignità del lavoro
È importante riconoscere le virtù dei lavoratori e delle
lavoratrici. Il loro bisogno è il bisogno di fare il lavoro bene perché il
lavoro va fatto bene. A volte si pensa che un lavoratore lavori bene solo
perché è pagato: questa è una grave disistima dei lavoratori e del lavoro
perché nega la dignità del lavoro che inizia proprio nel lavorare bene per
dignità, per onore.
Il buon imprenditore
Il vero imprenditore conosce i suoi lavoratori perché lavora
accanto a loro, lavora con loro. Non dimentichiamo che l’imprenditore deve
essere prima di tutto un lavoratore! Se lui non ha questa esperienza della
dignità del lavoro non sarà un buon imprenditore. Condivide le fatiche dei
lavoratori e condivide le gioie del lavoro, del risolvere insieme i problemi,
del creare qualcosa insieme.
Chi vende la sua gente vende la dignità propria
Nessun buon imprenditore ama licenziare la sua gente! Chi
pensa di risolvere il problema della sua
impresa licenziando gente non è un buon imprenditore, è un
commerciante. Oggi vende la sua gente, domani vende la dignità propria. Una
malattia dell’economia è la progressiva trasformazione degli imprenditori in
speculatori. L’imprenditore non va assolutamente confuso con lo speculatore,
sono due tipi diversi. Lo speculatore è una figura simile a quella che Gesù nel
Vangelo chiama mercenario, per contrapporlo al buon pastore. Vede azienda e
lavoratori solo come mezzi per fare profitto, usa azienda e lavoratori per fare
profitto, non li ama. Licenziare, chiudere, spostare l’azienda non gli creano
alcun problema, perché lo speculatore usa, strumentalizza, mangia persone e
mezzi per il suo profitto.
Contro l’economia senza volti
Quando l’economia è abitata da buoni imprenditori le imprese
sono amiche della gente. Quando passa nelle mani degli speculatori, tutto si
rovina. È una economia senza volti, astratta. Dietro le decisioni dello
speculatore non ci sono persone, e quindi non si vedono le persone da
licenziare e tagliare.
Quando l’economia perde contatto con i volti delle persone
concrete diventa senza volto e quindi spietata. Bisogna temere gli
speculatori, non gli imprenditori.
Il lavoro è amico dell’uomo e l’uomo è amico del lavoro
La mancanza di lavoro è molto più del venir meno di una
sorgente di reddito per poter vivere. Il lavoro è anche questo, ma è molto di
più, lavorando diventiamo più persone, la nostra umanità fiorisce, la Dottrina
sociale della Chiesa ha sempre visto il lavoro come partecipazione alla
creazione che continua grazie alle mani, alla mente e al cuore dei lavoratori.
Sulla terra ci sono poche gioie più grandi di quelle che sperimentano
lavorando. Come ci sono pochi dolori più grandi di quando il lavoro schiaccia,
umilia, uccide. Il lavoro è amico dell’uomo e l’uomo è amico del lavoro. Con il
lavoro gli uomini e le donne sono unti di dignità.
Edificare il patto sociale
Attorno al lavoro si edifica l’intero patto sociale, quando
non si lavora, si lavora male o poco è la democrazia che entra in crisi, tutto
il patto sociale entra in crisi. È anche questo il senso dell’articolo primo
della Costituzione italiana: l’Italia è una Repubblica fondata sul lavoro.
Possiamo dire che togliere il lavoro alla gente o sfruttare la gente con
lavoro indegno o mal pagato, è anticostituzionale, secondo questo articolo! Se
non fosse fondata sul lavoro, la Repubblica italiana non sarebbe una democrazia
perché il posto del lavoro lo hanno sempre occupato privilegi, caste, rendite.
L’obiettivo sociale da raggiungere non è il reddito per
tutti, ma il lavoro per tutti
Bisogna guardare alle trasformazioni tecnologiche e non
rassegnarsi all’ideologia che immagina un mondo dove forse metà o due terzi dei
lavoratori lavoreranno, e gli altri saranno mantenuti da un assegno sociale.
Deve essere chiaro che l’obiettivo sociale da raggiungere non è il reddito per
tutti, ma il lavoro per tutti. Perché senza lavoro per tutti non ci sarà
dignità per tutti. Il lavoro di oggi e di domani sarà diverso, forse molto
diverso, pensiamo alla rivoluzione industriale. Ci sarà una rivoluzione, ma
dovrà essere lavoro, non pensione! Non pensionati, lavoro! Si va in
pensione all’età giusta, è un atto di giustizia ma contro la dignità delle
persone mandarle in pensione a 35-40 anni, con assegno dello Stato.
Gli eccessi della competizione
I valori del lavoro stanno cambiando molto velocemente e
molti di questi valori della grande impresa e della grande finanza non sono in
linea con la dimensione umana e pertanto con l’umanesimo cristiano. L’accento
sulla competizione, oltre ad essere un errore antropologico, è anche un errore
economico perché dimentica che l’impresa è cooperazione mutua. Quando si crea
un sistema che mette in competizione i lavoratori tra loro, magari può ottenere
nel breve periodo qualche vantaggio ma finisce col minare quel tessuto che è
l’anima di ogni organizzazione e così quando arriva una crisi l’azienda si
sfilaccia e implode, perché non c’è più nessuna corda che la tiene. Questa
cultura competitiva è un errore, è una visione che va cambiata se vogliamo il
bene dell’impresa, dei lavoratori e dell’economia.
Gli eccessi della meritocrazia
Un altro valore che in realtà è un disvalore, è la
meritocrazia oggi tanto osannata, che affascina molto. Al di là della buona
fede dei tanti che la invocano, la meritocrazia sta diventando una
legittimazione etica della diseguaglianza. Il nuovo capitalismo tramite la
meritocrazia dà una veste morale alla diseguaglianza, perché interpreta i
talenti delle persone non come un dono ma come un merito, determinando un
sistema di vantaggi e svantaggi cumulativi. Così, se due bambini alla nascita
nascono diversi per talenti o opportunità sociali ed economiche, il mondo
economico leggerà i diversi talenti come merito, e li remunererà diversamente.
E così, quando quei due bambini andranno in pensione, la diseguaglianza tra di
loro si sarà moltiplicata. Una seconda conseguenza della cosiddetta
“meritocrazia” è il cambiamento della cultura della povertà. Il povero è
considerato un demeritevole, e quindi un colpevole. E se la povertà è colpa del
povero i ricchi sono esonerati dal fare qualcosa. Questa è la vecchia logica
degli amici di Giobbe che volevano convincerlo che fosse colpevole della sua
sventura, ma questa non è la logica del Vangelo e della vita. La meritocrazia
nel Vangelo la troviamo nella figura del fratello maggiore del figliol prodigo
che disprezza il fratello minore e pensa che debba restare un fallito. Il padre
invece pensa che nessun figlio si merita le ghiande dei porci.
La dignità del lavoro
Chi perde il lavoro e non riesce a trovarne un altro sente
che perde la dignità. Come chi è costretto ad accettare lavori cattivi e
sbagliati. Ci sono ancora lavori cattivi e sbagliati nel traffico illegale
di armi, nella pornografia, nei giochi di azzardo e in tutte quelle imprese che
non rispettano lavoratori e ambiente, come chi è pagato molto perché il lavoro
prenda tutta la vita, senza orari. Senza lavoro si può sopravvivere, ma
per vivere occorre il lavoro e la scelta è tra il sopravvivere e il vivere. Un
assegno statale, mensile, che ti faccia portare avanti la famiglia, non risolve
il problema. Il problema va risolto col lavoro per tutti.
Il lavoro e la Festa
Un paradosso della nostra società è la presenza di una quota
di persone che vorrebbero lavorare e non riescono, o altri che vorrebbero
lavorare di meno, ma non ci riescono perché sono stati comprati dalle
imprese. Il lavoro diventa fratello quando accanto ad esso c’è la festa,
il tempo libero. Senza questo, diventa lavoro schiavistico, anche se
superpagato. Nelle famiglie dove ci sono disoccupati non è mai veramente
domenica, perché manca il lavoro del lunedì. Per celebrare le feste è
necessario poter celebrare il lavoro, vanno insieme, l’uno scandisce il tempo
dell’altro. Il consumo è un idolo del nostro tempo, è il consumo il centro
della nostra società e quindi il piacere. Oggi ci sono i nuovi templi aperti 24
ore, che promettono la salvezza, punti di puro consumo e di puro piacere. Il
lavoro è fatica, e sudore, quando una società edonista vede e vuole solo il
consumo, non capisce il valore della fatica e del sudore, non capisce il
lavoro. Tutte le idolatrie sono esperienze di puro consumo. Senza ritrovare una
cultura che stima la fatica e il sudore, non ritroveremo un nuovo rapporto con
il lavoro e continueremo a sognare il consumo del puro piacere».
Il lavoro e il consumo
Il lavoro è il centro di ogni patto sociale non un mezzo per
potere consumare. Tra il lavoro e il consumo ci sono tante cose, tutte
importanti e belle: libertà onore, dignità, diritti di tutti. Se svendiamo
il lavoro al consumo, svenderemo presto anche queste parole sorelle.
Spiritualità del lavoro
Molte delle preghiere più belle dei nostri genitori e nonni,
erano preghiere del lavoro recitate prima, dopo e durante il lavoro. Il lavoro
è presente tutti i giorni nell’eucaristia i cui doni sono frutto della terra e
del lavoro dell’uomo. I campi, il mare, le fabbriche, sono sempre stati altari
dai quali si sono alzate preghiere belle e pure che Dio ha accolto e raccolto,
recitate ma anche dette con le mani, il sudore, la fatica del lavoro di chi non
sapeva pregare con la bocca. Dio ha accolto tutte queste e continua ad
accoglierle anche oggi. Per questo vorrei terminare con una preghiera: il vieni
Santo Spirito: “Manda a noi un raggio della luce, vieni padre dei poveri,
dei lavoratori e delle lavoratrici”.
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