venerdì 20 settembre 2024

IDENTITA' e FRATELLANZA

 






-         di Enzo Bianchi


 Se l’amore e l’amicizia sono ricerca, custodia e coltivazione di un legame fondato sull’esercizio libero dell’amore quale dono, la fraternità nasce come «legame già dato grazie all’origine, per il quale si crea una reciprocità in cui ci si custodisce». L’amore e l’amicizia conoscono la possibilità della fine, della caduta; la fraternità no, perché si è fratelli e sorelle per sempre e nessuno sceglie i propri fratelli e sorelle. Ma questo status della fraternità è nel contempo un dono e un compito; siamo nello stesso ordine della communitas, luogo del cum-munus, nel doppio significato di “dono” e di “dovere” comune: come la comunità, anche la fraternità è condivisione del dono, del dovere, della responsabilità, e anche nella fraternità vi è un debito che ciascuno vive verso gli altri. 

 Il figlio che riceve la notizia della nascita di un fratello vede mutare la propria condizione di unicità.

È decisivo che compia una scelta libera di decentramento del proprio io per riconoscere un’alterità con la quale si instaura un legame dato, non scelto. Questo passaggio dal dono al compito, questa accettazione del limite intervenuto con la presenza del fratello o della sorella richiede che si metta a morte l’“unicità”, che si vinca la paura di perdere “l’unico posto”. Ed è qui, al cuore della fraternità, che riemerge la paura dell’altro, la possibilità che l’altro sia l’inferno e, in definitiva, la paura della morte. Vivere la fraternità è dunque la prima vocazione umana, il compito per eccellenza: solo così la vita conosce la convivenza, la comunità, ed è vita buona in pienezza, attraverso la quale uomini e donne si umanizzano. In questo senso, vorrei tracciare alcune linee generali per vivere la fraternità.

 La prima esigenza è l’accettazione incondizionata del fratello e della sorella: mi sono stati affidati dal momento del loro apparire davanti a me e accanto a me. Il loro esserci richiede che non si pongano condizioni alla relazione fraterna. Alle radici della fraternità c’è il rispetto assoluto per l’altro, il suo riconoscimento. Il fratello/la sorella, non si scelgono, sono un fratello/una sorella in umanità perché esseri umani come me, sono un fratello/una sorella nella chiesa perché battezzati come me, sono membri della mia comunità perché ne fanno parte come me attraverso un’alleanza.

 Una seconda esigenza per vivere la fraternità è l’assunzione di responsabilità degli uni verso gli altri. «Sono forse io il custode di mio fratello?». In questa domanda si cela la grande tentazione di rinnegare la responsabilità. Eppure, l’altro, il fratello di fronte a me, è di per sé invocazione, domanda che chiede la mia risposta, l’assunzione di una responsabilità nei suoi confronti. La tentazione che ci abita è sempre la demissione, espressa dal «non so» di Caino. È rimuovere la presenza del fratello o della sorella, per non assumere una responsabilità che è sempre un decentramento da sé e un farsi carico della custodia dell’altro. In realtà non vedere, non discernere il fratello, non prendersi cura di lui quando è nel bisogno, è già un percorrere una via omicida. A causa della nostra omissione l’altro può trovare la morte!

 Infine, per vivere la fraternità, si richiede la solidarietà come esigenza di comunione. Quella della solidarietà, cioè della cura e della custodia reciproca, è forse l’esperienza più attestata di fraternità realmente vissuta. Questo vale per tutti i generi di vita: in particolare la famiglia è il primo luogo della solidarietà, lo spazio nel quale ogni gesto o comportamento richiede reciprocità, perché ciascuno possa vivere la cura e la custodia dell’altro.

 Nel Nuovo Testamento, soprattutto nella predicazione paolina, ricorre con insistenza il pronome allélon, “gli uni gli altri”, che indica con forza il compito della solidarietà. Spesso Paolo chiede ai cristiani delle diverse comunità di stimarsi a vicenda, di avere gli stessi sentimenti gli uni verso gli altri, di accogliersi gli uni gli altri, di correggersi gli uni gli altri, di aspettarsi gli uni gli altri, di avere cura gli uni degli altri, di confortarsi, di sopportarsi, di vivere in pace, di portare i pesi gli uni degli altri... Molti sono i passi che con tengono questo pronome, e sono passi in cui l’accento cade sempre sulla solidarietà reciproca, sulla reciprocità vissuta nella gratuità e nella consapevolezza che il fratello può amare il fratello solo perché prima è stato amato da Cristo.

 Inoltre, non si può dimenticare la frequenza con cui ricorre nelle lettere paoline la preposizione sýn, “con”, “insieme”, unita a numerosi verbi: lavorare insieme, rallegrarsi insieme, soffrire insieme, pregare insieme, sentire insieme, camminare insieme... Nella fraternità non si è “mai senza l’altro” ma sempre sýn, insieme. La compagnia del vivere insieme comporta addirittura l’assurdo logico del morire insieme, come viene indicato dall’Apostolo: voi fratelli «siete nel nostro cuore, per morire insieme e vivere insieme» (ad commoriendum et ad convivendum: 2Cor 7,3). Con questa preposizione, sýn, sono formati anche i sostantivi sinodo – di cui sopra – e sinassi, nomi della chiesa che pongono l’accento proprio sull’agire e sul camminare (cioè sull’essere) insieme.

 “Reciprocità” (allélon) e “insieme” (sýn) sono le costanti della solidarietà fraterna. Risulta dunque evidente che la fraternità implica l’esercizio del comandamento dell’amore del prossimo, del comandamento nuovo, cioè ultimo e definitivo, lasciatoci da Gesù: «Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri (allélous). Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri (allélous)» (Gv 13,34). Non me, ma gli uni gli altri, dice Gesù! Questa fraternità vissuta nell’amore reciproco sarà il segno tangibile dell’essere discepoli di Gesù, secondo quanto egli stesso ha indicato: «Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli, se avete amore gli uni per gli altri (en allélois)» (Gv 13,35). È la realtà della fraternità! Una realtà che, tra l’altro, costituisce uno degli aspetti dell’inesauribile mistero dell’eucaristia: «Il servizio fraterno all’interno della comunità è in certo qual modo la res del sacramento... La fraternità che l’ultima cena suggella si cementa nel servizio reciproco, nel dono dell’uno all’altro di cui Gesù è sorgente ed esempio».

 È dunque nell’amore fraterno che si può cogliere il sigillo della “differenza cristiana”, che si manifesta in uno stile di vita all’insegna della fraternità e della comunione. Ed è da questo essere una fraternità che può discendere anche quel paradossale “bel comportamento” (1Pt 2,12) così descritto da Tertulliano, il quale non fa che riassumere l’insegnamento biblico: [Il Signore dice:] «A voi che ascoltate, io dico: amate i vostri nemici, fate del bene a quelli che vi odiano, benedite coloro che vi maledicono, pregate per coloro che vi calunniano» (Lc 6,27-28). Il Creatore aveva racchiuso tutto questo in una sola frase, per bocca di Isaia: «Dite: “Siete nostri fratelli” a coloro che vi odiano» (Is 66,5).

 Alzogliocchiversoilcielo

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EDUCAZIONE E LEADERSHIP

 


IL BUON GOVERNO, 


LA GIOIA 


E LA SPERANZA


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  Spunti di riflessione

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 di Giovanni Perrone*

Il repentino mutamento dei tempi, i nuovi stili di vita, la crisi valoriale, le nuove tecnologie, i vari e complessi problemi che turbano il mondo ci sfidano e ci disorientano.   

Emerge la necessità di riflettere sul nostro modo di essere, di educare, di agire, di relazionarci con noi stessi e con il mondo intero.

Papa Francesco ci sollecita a cambiare stile di vita e a riscoprire i valori del Vangelo, ma spesso le sue illuminate parole vengono inascoltate o travolte dal disinteresse, dall’arroganza delle persone e dal folle turbinio degli eventi.

Ecco alcune semplici e incomplete riflessioni che possono essere utili per discuterne coi colleghi:

-          Educare è un cammino, con e per gli altri; un cammino che ci arricchisce ogni giorno di più. È un cammino di scoperta, di riflessione, di impegno a farci persone nuove. Il cammino di Gesù con gli apostoli ci insegna molto a proposito. Purtroppo, per molti, l’educazione è un cammino autoreferente, di chiusura, di arroganza. Educare è apprendere a dischiudere le ali per volare, per conquistare nuovi orizzonti. Siamo, perciò, invitati a ripensare ai percorsi educativi, a percorsi di formazione degli educatori, alle relazioni che ogni percorso propone ai valori e alle  conoscenze e competenze necessarie.

-          Leadership,  l’arte del dirigere (se stessi e gli altri)

E Essere leader non è (solo) occupare una posizione di comando, ma un viaggio continuo di autoperfezionamento e di ispirazione per gli altri. 
La direzione presuppone la presenza di valori, la presenza di una meta, l’arte del sapersi orientare e del saper orientare. Valori, empatia, autorevolezza, responsabilità, competenza, relazioni, intraprendenza, lungimiranza e servizio sono colonne portanti della leadership. Il vero leader valorizza e promuove, non celebra se stesso. Egli non cerca medaglie per arricchire il suo curriculum o primeggiare. Il potere-servizio del leader libera non rende schiavi! Anche in questo caso il Vangelo ha molto da insegnarci.

-          La figura di buon leader favorisce e garantisce il buon governo, al servizio di tutti, per costruire il bene comune.

-          Il buon governo è l’arte di costruire il bene comune. Esso è, infatti, impegnato a aiutare tutti, anche i più emarginati, a viver meglio, con impegno ed entusiasmo, per essere felici. Il buon governo valorizza la speranza, non una speranza illusione, ma una speranza-virtù che sostiene ed orienta, anche nei momenti difficili o complessi. Infatti, non si può  dirigere ed educare se non si è testimoni di vera speranza e ricchi di entusiasmo.

-          Il tema della felicità ci riporta al cuore del Vangelo, che è annuncio di gioia e via di felicità, vera, di pace, giustizia, amore. La via della felicità non è benessere a poco prezzo o garanzia di non avere problemi! Anzi! È una parola dura perché ferisce l’orgoglio e libera dalle difese, chiede di metterci in gioco e ci fa affrontare le paure”[1].

-           La gioia è il segno del cristiano…Essa si esprime necessariamente nel rapporto con il mondo, con gli altri, con Dio ….  Le Beatitudini portano alla gioia, sempre. Esse sono la strada per raggiungere la gioia”[2].

-         Le associazioni professionali, nazionali e internazionali, possono essere ambienti favorevoli e importanti per rinnovare la qualità dell’educazione. Però, debbono avere il coraggio di rigenerarsi per testimoniare impegno e vitalità, al servizio di tutti. Esse, però, debbono volere e sapere testimoniare, nel quotidiano, la ricerca e il servizio;  non l’autoreferente apparire.

-          Il vostro compito (di associazione professionale), in tal senso, è quello di aiutare gli insegnanti a tener vivo il desiderio di crescere insieme ai loro colleghi e studenti, a trovare i modi più efficaci per trasmettere (e fare sperimentare) la gioia della conoscenza, la virtù della speranza e il desiderio di verità…. Non lasciatevi rubare la speranza, perché questa forza è una grazia, un dono di Dio che ci porta avanti guardando il Cielo”[3].

[1] Cardinale Zuppi, presidente CEI, 25 Agosto 2024

[2] Papa Francesco

[3] Papa Francesco, Assemblea generale UMEC-WUCT, novembre 2022

giovedì 19 settembre 2024

VIETARE GLI SMARTPHONE ?

MEGLIO UNA SOLIDA EDUCAZIONE DIGITALE

Il presidente di Telefono Azzurro interviene nel dibattito

 

 -         di ERNESTO CAFFO

 Il dibattito contro l’uso degli smartphone da parte dei minori è analogo a quelli che negli anni hanno caratterizzato lo sviluppo di altri media e strumenti tecnologici coinvolgendo bambini e adolescenti. Un esempio è stato quello sulla televisione. Tuttavia, battaglie come queste non tengono conto della globalità di un processo che coinvolge sempre più precocemente le nuove generazioni in tutte le parti del mondo. A livello globale, un utente su tre tra coloro che accedono alla rete e utilizzano quotidianamente le tecnologie digitali è un minore. Inoltre, si tende spesso a sottovalutare il fatto che sia impossibile, oltre che controproducente, vietare l’uso di questi strumenti.

 Non è demonizzando e vietando gli smartphone che risolviamo il problema, questo è un atteggiamento miope che ignora ad esempio l’effetto che anche computer e videogiochi – e in generale le piattaforme di gaming – hanno sui minori. Non possiamo pensare di bloccare questi strumenti attraverso logiche prettamente sanzionatorie, è piuttosto necessario fornire strumenti educativi che aiutino i minori a comprendere i rischi e le opportunità dell’era digitale, mettendo anche in luce le potenzialità legate all’utilizzo dei media.

L'educazione digitale 

Crediamo sia importante porre l’accento sulla necessità di una solida educazione digitale dei minori, che permetta loro di utilizzare in modo consapevole e responsabile le nuove tecnologie, ma allo stesso tempo è fondamentale il coinvolgimento degli adulti, delle famiglie, delle scuole e dei mondi associativi con lo sviluppo di percorsi di conoscenza e riflessione, affinché possano realmente comprendere e supportare le nuove generazioni nel mondo digitale in continua evoluzione. Al di là quindi di riflessioni astratte e impraticabili, occorre individuare soluzioni percorribili da subito, implementando anche le legislazioni europee che tracciano un cammino e che tuttavia devono essere sostenute anche da misure interne efficaci. È evidente come tutti noi dobbiamo approfondire la comprensione e affrontare la centralità improvvisa che i temi dell’evoluzione della tecnologia hanno assunto. È necessario unire conoscenze provenienti da diversi ambiti, sviluppare normative globali e nazionali e promuovere una cultura digitale nel nostro Paese, affrontando il ritardo attuale. Occorre un approccio coordinato a livello nazionale, europeo e internazionale, per mantenere questo tema al centro dell’attenzione e tradurre le fragilità in proposte concrete. Gli Stati devono definire regole condivise, considerando il contesto globale, e le aziende devono assumersi una responsabilità sociale di impresa, bilanciando la concorrenza con la tutela degli utenti, a partire da quelli più piccoli e fragili.

 L’age verification è ad esempio uno strumento che può diventare un asset fondamentale, ma è necessario che le singole piattaforme si impegnino per migliorarlo, poiché per un minore è spesso molto semplice accedere ad applicazioni e siti vietati eludendo con estrema facilità i meccanismi di verifica online. È inoltre fondamentale portare avanti a livello europeo il lavoro sulla legislazione sullo Csam (Child Sexual Abuse Material) ed è necessaria la presenza e l’attività di strutture di segnalazione e di intervento, come i trusted flagger, in grado di contribuire al governo del materiale tossico in rete molte volte autoprodotto da bambini e adolescenti. Un tema di grande rilevanza è infatti l’aumento da parte degli adolescenti dell’autoproduzione di materiale abusivo, che negli ultimi anni ha coinvolto sempre più precocemente i bambini.

 È evidente come la chiave realistica per uno sviluppo tecnologico equilibrato e a misura di bambino non possa limitarsi a – naturalmente necessarie e doverose – disposizioni normative e regolamentari di portata sovranazionale, ma debba prevedere un percorso di collaborazione positiva e di corresponsabilità tra tutti i diversi attori. Occorre governare tutto lo scenario del digitale con una particolare attenzione anche al mondo del gaming online e alle nuove piattaforme trasversali frequentate dai ragazzi come Discord. Come Telefono Azzurro, da anni affrontiamo con misure di prevenzione e di contrasto i rischi della tecnologia e della rete, essenziali per costruire un ambiente digitale sicuro e costruttivo. Tuttavia, le risposte delle istituzioni e delle aziende coinvolte sono state molto limitate e generate da strategie prevalentemente miopi e difensive.

 

*Presidente di Fondazione Sos Il Telefono Azzurro Ets

 

 

 

 

IN CAMMINO, SENZA STANCARSI

 Gmg, il Papa: meglio stanchi ma in cammino 

piuttosto che la noia di chi è fermo


 Nel messaggio per la 39.ma Giornata mondiale della gioventù, Francesco parla delle nuove generazioni, che spesso pagano il prezzo più alto di guerre, ingiustizie sociali, povertà, sfruttamento dell’essere umano e del creato. L'invito, in vista del Giubileo, è a superare apatia e rifugio nelle trasgressioni: mettersi in viaggio non, però, da meri turisti, ma da pellegrini

 -Antonella Palermo - Città del Vaticano

 È il versetto del profeta Isaia “Quanti sperano nel Signore camminano senza stancarsi” ad aver ispirato il tema della XXXIX Giornata Mondiale della Gioventù che si celebra nelle Chiese particolari in occasione della Solennità di Cristo Re, il 24 novembre 2024. Oggi, 17 settembre, viene diffuso il messaggio di Papa Francesco in vista di questo appuntamento che vede il Giubileo come contesto speciale. Il richiamo del Vescovo di Roma è a viverlo non come turisti a caccia di selfie, ma come veri pellegrini.

 I giovani pagano il prezzo più alto di guerre e ingiustizie

Lo sguardo del Papa verso i giovani si conferma di apprensione affettuosa, di energico incoraggiamento soprattutto in un'epoca, quella attuale, carica di incertezze e di dolori che diventano planetari.

 Viviamo tempi segnati da situazioni drammatiche, che generano disperazione e impediscono di guardare al futuro con animo sereno: la tragedia della guerra, le ingiustizie sociali, le disuguaglianze, la fame, lo sfruttamento dell’essere umano e del creato. Spesso a pagare il prezzo più alto siete proprio voi giovani, che avvertite l’incertezza del futuro e non intravedete sbocchi certi per i vostri sogni, rischiando così di vivere senza speranza, prigionieri della noia e della malinconia, talvolta trascinati nell’illusione della trasgressione e di realtà distruttive.

 Non guardare la vita "dal balcone"

Numerose volte il Papa ha ripetuto ai giovani di superare le pigrizie, non restando a guardare la vita "dal balcone". Lo fa anche in questo messaggio, ricordando che la vita è un pellegrinaggio verso la felicità, è camminare.

 I traguardi, le conquiste e i successi lungo il percorso, se rimangono solo materiali, dopo un primo momento di soddisfazione ci lasciano ancora affamati, desiderosi di un senso più profondo; infatti non appagano del tutto la nostra anima, perché siamo stati creati da Colui che è infinito e, perciò, in noi abita il desiderio di trascendenza, la continua inquietudine verso il compimento delle aspirazioni più grandi, verso un “di più”.

 In cammino, oltre ogni stanchezza e apatia

Gmg, dal Papa l’invito ai giovani ad un viaggio interiore verso il Giubileo

Pressioni sociali su studio, lavoro, vita personale possono, ne è consapevole il Papa, portare a uno stato cronico di stanchezza e di tristezza che si cerca di colmare con "un vuoto attivismo" con la conseguenza di uno "stato di apatia e di insoddisfazione di chi non si mette in cammino, non si decide, non sceglie, non rischia mai". È la condizione di chi vede e giudica il mondo "da dietro uno schermo, senza mai 'sporcarsi le mani' con i problemi, con gli altri, con la vita".

Questo tipo di stanchezza è come un cemento nel quale sono immersi i nostri piedi, che alla fine si indurisce, si appesantisce, ci paralizza e ci impedisce di andare avanti. Preferisco la stanchezza di chi è in cammino che la noia di chi rimane fermo e senza voglia di camminare!

 La speranza fa avere lo "sguardo lungo"

Con una metafora sportiva, importata anche dall'apostolo Paolo, il Successore di Pietro sprona i giovani a camminare nella speranza, la quale "vince ogni stanchezza, ogni crisi e ogni ansia, dandoci una motivazione forte per andare avanti". A vivere, insomma, da protagonisti e non da spettatori.

 La speranza è proprio una forza nuova, che Dio infonde in noi, che ci permette di perseverare nella corsa, che ci fa avere uno “sguardo lungo” che va oltre le difficoltà del presente e ci indirizza verso una meta certa: la comunione con Dio e la pienezza della vita eterna. Se c’è un traguardo bello, se la vita non va verso il nulla, se niente di quanto sogno, progetto e realizzo andrà perduto, allora vale la pena di camminare e di sudare, di sopportare gli ostacoli e affrontare la stanchezza, perché la ricompensa finale è meravigliosa!

 Le crisi non sono tempi inutili

Francesco dà la carica, dunque, ma nella consapevolezza che anche la fragilità ha un suo senso e può essere guardata con occhi di misericordia e di comprensione, sempre nella convinzione che Dio è compagno, non abbandona, dà sollievo. Nelle stanchezze, sottolinea il messaggio, bisogna imparare "a riposare come Gesù e in Gesù". Così, il Papa invita a riscoprire il dono dell'Eucarestia, come lo fu per il beato Carlo Acutis, presto canonizzato, "un giovane che ha fatto dell’Eucaristia il suo appuntamento quotidiano più importante!".

 Le crisi, però, non sono tempi persi o inutili, ma possono rivelarsi occasioni importanti di crescita. Sono i momenti di purificazione della speranza! Nelle crisi, infatti, vengono meno tante false “speranze”, quelle troppo piccole per il nostro cuore; esse vengono smascherate e, così, restiamo nudi con noi stessi e con le domande fondamentali della vita, oltre ogni illusione.

 Instancabili missionari della gioia

Auspicando che molti siano i giovani che verranno a Roma durante il tempo giubilare per varcare le Porte Sante, il Pontefice indica i tre atteggiamenti necessari per vivere questo appuntamento da "instancabili missionari della gioia": ringraziamento, ricerca e pentimento. E invita, una volta giunti presso il colonnato del Bernini in piazza San Pietro, a sentire nel profondo, la bellezza dell'abbraccio del Signore. Con una avvertenza: Mettetevi in viaggio non da meri turisti, ma da pellegrini. Il vostro camminare, cioè, non sia semplicemente un passare per i luoghi della vita in modo superficiale, senza cogliere la bellezza di ciò che incontrate, senza scoprire il senso delle strade percorse, catturando brevi momenti, esperienze fugaci da fissare in un selfie. Il turista fa così.

Il pellegrino invece si immerge con tutto sé stesso nei luoghi che incontra, li fa parlare, li fa diventare parte della sua ricerca di felicità.

 MESSAGGIO PONTIFICIO




 

 

 

 

mercoledì 18 settembre 2024

DISTURBI APPRENDIMENTO IN AUMENTO

 

Alunni con DSA, 

boom di casi 

negli ultimi 10 anni:

 quasi il 500% in più.


Gli esperti: “L’uso eccessivo di tecnologia 

impoverisce la capacità di lettura e scrittura”

 

-Di redazione

 I disturbi dell’apprendimento, noti anche come DSA (Disturbi Specifici dell’Apprendimento), sono un problema sempre più diffuso nelle scuole. Secondo i dati, la percentuale degli studenti con DSA è passata dallo 0,9% al 5,4% in 11 anni, con un aumento costante ogni anno.

 Ma cosa sono i DSA e come si manifestano? I DSA comprendono disturbi come la dislessia, la discalculia, la disortografia e la disgrafia, che possono influire sulla capacità di apprendimento e di concentrazione degli studenti. La dislessia, ad esempio, si manifesta con difficoltà nella lettura e nella scrittura, mentre la discalculia si manifesta con difficoltà nel comprendere i concetti matematici.

 Ma cosa significa questo aumento in termini di distribuzione geografica? Il Nord Italia è la regione con la percentuale più alta di diagnosi di Dsa, con Valle d’Aosta e Liguria che registrano percentuali dell’8,4% e dell’8,3%, rispettivamente. Al centro, Toscana e Lazio hanno percentuali intorno al 7%. Nel Mezzogiorno, le percentuali sono più basse, con Calabria all’1,6% e Campania all’1,8%.

 L’aumento della percentuale di Dsa è anche dovuto all’aumento delle certificazioni di Dsa a livello scolastico. Le certificazioni di dislessia sono aumentate del 111% negli ultimi 10 anni, mentre quelle di disgrafia sono aumentate del 7%. Le certificazioni di disortografia e discalculia sono aumentate rispettivamente del 218,9% e del 226,47%.

 Il riconoscimento dei Dsa come disturbi specifici è stato un passo importante per la loro gestione. La legge 170 del 2010 ha riconosciuto dislessia, disortografia e discalculia come disturbi specifici, e dal 2012 la scuola ha formalizzato la possibilità di un piano didattico personalizzato per gli studenti con Bisogni Educativi Speciali.

 La diagnosi di DSA viene effettuata da un’equipe di professionisti, tra cui neuropsichiatri, neuropsicologi e logopedisti, che utilizzano test di screening standardizzati per identificare i disturbi. La diagnosi può essere effettuata già nella scuola primaria, ma spesso viene confermata solo nella scuola secondaria.

 Ma perché i DSA stanno aumentando? Secondo gli esperti, l’aumento dei DSA può essere dovuto a fattori come l’aumento delle richieste di prestazioni scolastiche e della società, che possono mettere in maggiore difficoltà bambini e ragazzi. Inoltre, l’uso eccessivo di tecnologia può influire sulla capacità di concentrazione dei bambini e degli adolescenti, riducendo la loro capacità di apprendimento e di attenzione. Un altro fattore importante è la riduzione della lettura e della scrittura. Si legge sempre meno e poco viene letto ad alta voce ai più piccoli, il che diminuisce il patrimonio linguistico e impoverisce la capacità all’esposizione.

 Per affrontare il problema dei DSA, è importante che le scuole e le famiglie lavorino insieme per fornire supporto e risorse agli studenti con DSA. Ciò può includere l’uso di strategie di apprendimento personalizzate, la fornitura di tecnologie assistive e la creazione di un ambiente di apprendimento inclusivo.

 Orizzonte scuola

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INTELLIGENZA ARTIFICIALE GENERATIVA


 L’«Intelligenza artificiale generativa» 

e il nostro futuro



- di  Ferenc Patsch *

Una urgente necessità di regolamentazione

Guardandola da un secolo futuro, la nostra epoca sarà probabilmente ricordata come quella della nascita[1] della cosiddetta «intelligenza artificiale generativa»[2]. Sebbene sia impossibile giudicare i processi attuali (a causa della mancanza di distanza storica), tutti i segnali indicano che stiamo vivendo la fase iniziale di una rivoluzione informatica e tecnologica che ha lanciato l’«intelligenza» delle macchine. Molti si chiedono cosa ci riserverà il futuro in questo senso. Di recente siamo stati costretti a imparare alcuni termini nuovi, come «algoritmo», «apprendimento automatico» (machine learning) o, più recentemente, «modelli linguistici di grandi dimensioni» (large language models), ma questo è solo l’inizio. Le nuove tecnologie stanno già trasformando le nostre vite vorticosamente e gli esperti dicono che esse hanno in serbo altre incredibili potenzialità.

Naturalmente, si parla sempre più spesso anche dei pericoli, alcuni dei quali, purtroppo, sono divenuti ben familiari in relazione ai social media: dipendenza, disinformazione, salute mentale, polarizzazione, censura ecc.[3]. Hanno ragione coloro che accolgono con entusiasmo i cambiamenti recenti o coloro che fanno previsioni apocalittiche e distopiche? È difficile orientarsi in una gamma così ampia di opinioni. In questo articolo, tuttavia, cercheremo – anche se si tratta di un’impresa ben ardua – di fornire alcuni punti di riferimento per aiutare il lettore a orientarsi. Ora che la mania di ChatGPT, di cui si parlerà più avanti, si è un po’ placata [4], è possibile fare una riflessione più equilibrata su questa vexata quaestio.

La tecnologia «smart» come arma a doppio taglio

Per capire meglio l’«intelligenza artificiale generativa», partiamo da più lontano. Ecco un esperimento di pensiero. Cosa avremmo pensato se un viaggiatore nel tempo, tornato dal futuro negli anni Settanta, avesse fatto la seguente previsione: presto ci sarà a disposizione un dispositivo di nuova invenzione che permetterà a gran parte dell’umanità di comunicare in modo rapido ed efficace, indipendentemente dalla distanza fisica, e di cooperare tra le persone [5]? Con questo apparecchio avremo accesso a quasi tutte le conoscenze dell’umanità e saremo in grado di recuperare quasi istantaneamente una grande quantità di informazioni (dati, musica, film, gran parte dei libri, dei giornali e degli articoli pubblicati ecc.). Sarà anche possibile tradurre qualsiasi testo in qualsiasi lingua in pochi secondi. Ebbene, oggi abbiamo questo strumento: è a disposizione di ciascuno di noi. I professionisti – e gli onesti scrittori di fantascienza – di solito confessano di aver sognato una cosa del genere, ma di aver pensato che ci sarebbe voluto molto più tempo per ottenerla.

Di fatto, abbiamo cognizione di quasi tutti gli elementi dell’intelligenza artificiale da 40-50 anni, eppure ora abbiamo una conoscenza tecnica nuovissima, non ipotizzabile cinquant’anni fa: come gli stessi algoritmi avrebbero potuto funzionare su macchine 10 milioni di volte più veloci. Stiamo solo iniziando a vedere l’impatto che questo nuovo strumento ha sull’istruzione (sviluppo dei bambini, ricerca scientifica, cambio dei valori), sulla cultura (giornalismo sociale, canali di comunicazione), sulla politica (discorso democratico, elezioni), sull’economia (marketing, Pil) e, non da ultimo, sulla nostra vita spirituale.

I progressi della tecnologia digitale costituiscono tutti una buona notizia? Purtroppo, come sarà sempre più evidente, non è così; c’è, indubbiamente, anche un lato negativo. Se, ad esempio, negli anni Settanta quello stesso viaggiatore nel tempo di cui sopra ci avesse detto anche che questo magico dispositivo avrebbe causato la difficoltà dei rapporti e la distrazione dei nostri figli; che alcune semplici app – chiamate «social media» – avrebbero causato un acuto disagio emotivo negli adolescenti e che la popolazione adulta avrebbe corso il rischio di un disordine da deficit di attenzione e di problemi di stress e di sonno [6], saremmo stati altrettanto entusiasti? È vero che abbiamo perfezionato il concetto pascaliano di divertissement, ma, secondo gli studiosi, i cambiamenti che abbiamo già apportato rischiano di toglierci il senso della vita e la capacità di goderne [7], per non parlare del rapporto con Dio, della preghiera e della contemplazione [8].

E se il nostro viaggiatore nel tempo ci avesse avvertito anche che le nuove tecnologie ci avrebbero resi vulnerabili alla manipolazione e alla raccolta illegale di dati (perché il misterioso dispositivo conosce i numeri delle nostre carte di credito, legge la nostra posta elettronica, tiene traccia delle nostre coordinate geografiche, e persino conta i nostri passi quotidiani, se glielo chiediamo)? Chi avrebbe immaginato che l’invenzione più potente del nostro tempo, i social media, ci avrebbe intrappolato in una «bolla» di comunicazione – una echo chamber – in cui sentiamo solo chi ha le nostre stesse opinioni, aumentando così le divisioni sociali a livelli senza precedenti? Di fatto, il dispositivo che chiamiamo smartphone ha avuto un effetto molto ambiguo: ci ha connesso a una rete di informazioni globale, da cui ora noi sembriamo essere intrappolati. Con il suo utilizzo siamo globalizzati più che mai nella storia dell’umanità, ma, nello stesso tempo, siamo anche solitari. Questo dispositivo ha risvegliato i peggiori demoni della nostra anima (pornografia, violenza), ed è così difficile separarsene che ha causato una vera e propria epidemia di dipendenza [9]. Abbiamo allora ancora voglia di festeggiare?

Ma c’è di più. Tutti i segnali indicano che siamo solo all’inizio di questa storia di trasformazione. Infatti, i social media, responsabili di gran parte dei disagi sopramenzionati, funzionavano ancora con strumenti estremamente primitivi rispetto a quelli recenti. In sostanza, la loro magia consisteva nel fatto che i motori di ricerca erano programmati per consigliare articoli di notizie o video di YouTube in base agli interessi e ai clic precedenti degli utenti (registrati anche senza il loro consenso). Ma già questi metodi primitivi hanno dato loro un potere incredibile: non solo ci hanno tenuti davanti ai nostri schermi, rubandoci anche il sonno[10], ma hanno manipolato le nostre opinioni, polarizzato il nostro discorso politico, minato la nostra salute mentale e destabilizzato le nostre società democratiche[11]. Fino a poco tempo fa avevamo a che fare solo con contenuti informativi prodotti dall’uomo; recentemente, però, è avvenuto qualche cambiamento importante.

 «The next big thing»

Il 22 novembre 2022 è stata resa disponibile una nuova invenzione tecnologica, il cui impatto futuro è destinato a fare scalpore più che mai. La startup californiana OpenAI ha dato vita a un «grande modello linguistico» alimentato da una «intelligenza artificiale», chiamato ChatGPT. Questo ha aperto un nuovo capitolo nella storia della tecnologia e, secondo alcuni, anche in quella dell’umanità. Nel giro di cinque giorni, un milione di persone si sono iscritte all’applicazione e in due mesi il numero di utenti ha superato i 100 milioni[12]. Ma cos’è questo chatbot che è passato, quasi da un giorno all’altro, dalla totale oscurità a essere un attore potenzialmente fondamentale per il futuro del mondo?

 ChatGPT è un esempio della cosiddetta «intelligenza artificiale generativa», in grado cioè di generare contenuti di pensiero simili a quelli umani, semplicemente sulla base di un addestramento sulla vasta quantità di informazioni testuali, immagini e suoni presenti in Internet. Per la prima volta nella storia della nostra specie è diventato possibile interagire direttamente come utente – anche se finora solo per iscritto – con una potente «intelligenza» non biologica (inorganica, basata sul silicio). Possiamo dialogare e chattare con essa, ed essa risponderà prontamente alle nostre domande. Anche la maggior parte degli esperti è rimasta sorpresa dalla complessità dei compiti che il chatbot può svolgere. Avendo imparato il linguaggio umano e utilizzandolo in modo abile, esso può fornire informazioni in qualsiasi lingua e su qualsiasi argomento discusso su Internet. La sua caratteristica più sorprendente e innovativa, tuttavia, è quella di fare ciò in «modo creativo», ossia esso può generare testi, immagini e video propri. È questo che ha reso la creazione di OpenAI un successo senza precedenti.

 Inoltre, ChatGPT non è l’ultimo stadio di sviluppo, ma, al contrario, solo uno dei primi passi. Dopo la sua apparizione, nuovi sviluppi si sono manifestati quasi ogni settimana: Google ha lanciato Bard, il proprio chatbot per alimentare il proprio motore di ricerca, e ha investito 300 milioni di dollari in Anthropic; GPT-4, ancora più potente del modello precedente, è ora disponibile; Google ha lanciato il potente modello linguistico PaLM 2; e Baidu, noto come «il Google della Cina», ha presentato un chatbot chiamato «Claude» ecc.[13]. In breve, è entrata nel dominio pubblico una «intelligenza», non direttamente umana, che è in grado di scrivere testi (compresi saggi e tesi scolastiche), di tradurli, di disegnare immagini, di comporre musica, e persino di creare programmi informatici con una qualità sorprendente e in continua evoluzione. Questa è una buona notizia?

 Un realismo critico e proattivo

Per alcuni, però, tutto questo non costituisce un passo in avanti, ma piuttosto un passo indietro nella storia della civiltà umana. Prima di cedere a un’euforia acritica, essi ci avvertono, va notato che ChatGPT non funziona perfettamente: a volte, per esempio, «allucina», cioè «immagina», afferma falsità, e il problema non sembra risolvibile in maniera definitiva. Inoltre, è spaventosamente facile usare la nuova invenzione per commettere frodi, producendo, per esempio, una qualità impressionante di immagini, suoni e video falsi (deep-faking). Questo ha già attirato l’attenzione dei criminali: la Federal Trade Commission statunitense ha riferito che l’anno scorso negli Stati Uniti sono state commesse frodi per un valore di 11 milioni di dollari, utilizzando l’«intelligenza artificiale» per imitare la voce di una persona o creare un avatar in movimento della stessa, truffando così parenti ignari[14]. Un celebre caso in Italia è stato quello di una signora di 83 anni, Laura Efrikian, ex moglie del cantante Gianni Morandi, truffata per una somma considerevole da criminali che, con l’aiuto dell’«intelligenza artificiale», sono riusciti a imitare la voce di un suo nipote.

 Quindi, se in futuro non vedremo qualcuno di persona, non potremo più fidarci della sua identità? Sembra proprio di sì. Ma la minaccia maggiore non sembra essere l’«intelligenza artificiale» che aiuta anche nelle frodi contrattuali e nell’evasione fiscale, bensì l’«intelligenza artificiale» che imita le relazioni intime con le persone reali («amici» e «amiche», anche intimi, robot che fanno finta di capirci, senza avere vera capacità di compassione, falsificando così le relazioni umane reali)[15]. Secondo il filosofo americano Daniel Dennett, non si tratta affatto di uno scherzo, ma piuttosto di una vera e propria «minaccia alla nostra civiltà»[16]. A questo proposito, sembra riemergere l’antica domanda: che cosa significa essere umani?

 Anche gli esperti – filosofi, teologi, storici, avvocati, economisti ecc. – sono divisi su questa domanda, come pure su ciò che sta effettivamente accadendo con l’ingresso – o meglio, con la vera e propria invasione – dell’«intelligenza artificiale» nella nostra cultura. Alcuni, che costituiscono una minoranza, cercano di sminuire la portata di tali accadimenti, affermando che si tratta solo di un altro «miracolo» di breve durata: l’umanità ha vissuto traumi maggiori nei 200.000 anni della sua storia. Altri vanno nella direzione diametralmente opposta, paragonando la diffusione dell’«intelligenza artificiale generativa» non solo all’invenzione del fuoco, della ruota o della scrittura, ma al nuovo inizio dell’evoluzione – quella inorganica –, che per loro rappresenta una nuova singolarità e anticipa un futuro inevitabilmente apocalittico (istruzione impossibile, masse di disoccupati, feudalesimo digitale fino all’estinzione dell’umanità). Ci sembra di poter rendere giustizia a Sam Altman, amministratore delegato della società madre di ChatGPT, OpenAI, il quale, quando ChatGPT ha fatto il suo debutto pubblico, ha previsto che l’importanza della loro creazione avrebbe «superato la rivoluzione agricola, la rivoluzione industriale e la rivoluzione di Internet messe insieme»[17]. Tutto questo però non può allontanarci dal nostro agire in modo responsabile.

Un punto di vista più equilibrato tra la falsa alternativa dell’allarmismo disperato e l’incoscienza credulona è un realismo informato, responsabile e proattivo. Sebbene il futuro sia, in linea di principio, imprevedibile e, soprattutto in questo caso, non abbiamo esempi analoghi per capire ciò che sta accadendo, alcune previsioni possono essere formulate in modo responsabile. La prima è che sembra che ci troviamo dinanzi a un cambiamento davvero storico, e vi ci dobbiamo preparare. L’«intelligenza artificiale», anche se non distruggerà necessariamente il nostro modo di pensare e di vivere, senza dubbio lo trasformerà entro pochi decenni su una scala senza precedenti: sconvolgerà il sistema educativo e il mondo della scienza, mettendo in discussione le nostre idee sui concetti fondamentali del lavoro intellettuale (la creatività, la proprietà intellettuale e il diritto d’autore) e ci costringerà ad adottare nuove pedagogie, dalle scuole primarie alle università; richiederà una riorganizzazione del settore sanitario e cambierà la nostra visione dell’umanità; trasformerà l’economia, soprattutto il mercato del lavoro, lanciando così una sfida agli economisti e ai politici; cambierà anche la politica, mettendo in crisi la democrazia, e la guerra, creando armamenti basati sull’«intelligenza artificiale»; e infine, e in modo più radicale, influenzerà l’intero pensiero umano, ossia ciò che consideriamo «reale» e «vero». La risposta adeguata a tutte queste sfide non sarà la disperazione, né l’arrendersi, ma il monitoraggio, la riflessione e l’agire in modo responsabile.

 Quattro argomenti a favore di una regolamentazione

L’emergere di ChatGPT, come abbiamo visto in precedenza, suggerisce che siamo all’alba di una nuova era. Quest’epoca sarà caratterizzata dal rapido sviluppo dell’«intelligenza artificiale», con conseguenze di vasta portata per quasi tutti gli aspetti della società. Non si può non riflettere su come si debba reagire.

 Certo, per il discernimento servirebbe anche la guida del magistero ecclesiastico. La Chiesa, però, di solito non è precipitosa nel dare orientamenti. Aspetta pazientemente finché maturi una riflessione ben ponderata. Questo atteggiamento ha senz’altro dei vantaggi: impedisce le reazioni avventate e permette di agire con accortezza. Ma per quanto riguarda l’«intelligenza artificiale», abbiamo la legittima sensazione che il magistero della Chiesa non possa avere lo stesso ritmo di sempre. Sono necessari tempi di reazione più brevi. Le cose accadono con velocità fulminea. Il 1983 è generalmente considerato l’anno della scoperta di Internet; e il Pontificio Consiglio delle comunicazioni sociali ha pubblicato il documento The Church and Internet solo nel 2002. I social media sono nati nel 1997[18]; e il Dicastero per la comunicazione ha pubblicato il documento Verso una piena presenza solo nel 2023[19]. Papa Francesco cerca di stare maggiormente al passo con i tempi. Si prevede che egli dedicherà le sue riflessioni per la Giornata mondiale delle comunicazioni sociali (24 gennaio 2024, nella festa di san Francesco di Sales) al tema «Intelligenza artificiale e sapienza del cuore»[20]. Ma anche il testo del messaggio per la Giornata mondiale della pace del 1° gennaio 2024 sarà analogamente dedicato a «Intelligenze artificiali e pace»[21]. Ciò dovrebbe stimolarci ancora di più a riflettere su questo argomento.

 1) Uno degli aspetti più importanti riguarda la regolamentazione dell’«intelligenza artificiale generativa». Questo è richiesto, innanzitutto, da circostanze morali ricorrenti e urgenti, come la situazione di guerra. Alcuni esperti, tra cui Audrey Kurth Cronin, direttrice dell’Istituto per la sicurezza e la tecnologia della Carnegie Mellon University, hanno parlato già da anni di questo pericolo, sostenendo che «l’innovazione tecnologica aperta sta armando i terroristi di domani»[22]. Gli avvenimenti recenti hanno largamente confermato le preoccupazioni dei professionisti: nel conflitto israeliano Hamas ha utilizzato tecnologie economiche e facilmente accessibili, ma avanzate (reti sociali, droni, sensori e razzi «intelligenti»), per rendere più efficace la sua capacità di distruzione, aumentando il numero delle vittime degli attacchi terroristici. Questo semplice fatto dovrebbe essere un ulteriore monito per chi sta sviluppando le nuove tecnologie dell’«intelligenza artificiale generativa»: essa avrà il potere di moltiplicare l’efficacia della distruzione di massa (per esempio, creando nuovi virus mortali).

 2) Invece di creatività nella distruzione, occorrono soluzioni innovative per proteggere gli esseri umani. Sebbene tutti i principali protagonisti della rivoluzione digitale – da OpenAI a Google, passando per Microsoft e Anthropic (ora nell’orbita Amazon) – si dicano consapevoli degli immensi rischi insiti nella manipolazione di tali tecnologie da parte di malintenzionati, le dichiarazioni di buona volontà ormai non sembrano essere sufficienti. Tanto più che proprio i «grandi» non si sentono responsabili! Lo stesso Elon Musk, multimiliardario amministratore delegato della multinazionale automobilistica Tesla e proprietario e presidente di X (ex Twitter), viene ripetutamente tacciato di diffondere notizie false. Egli, in un primo tempo, ha drasticamente ridotto il sistema di verifica dei contenuti immessi in rete in nome dell’assoluta libertà d’espressione; poi ha dato spazio a meccanismi economici che premiano la divulgazione di montature false, ma suggestive, capaci di generare molte visualizzazioni; infine, recentemente, ha esortato a seguire, per quanto riguarda Israele, due siti che gli sembravano interessanti: siti antisemiti, che abitualmente diffondono falsità. Quando gli hanno fatto notare gli errori, egli ha ritirato il suo invito, che, però, era stato già letto da 11 dei 160 milioni di suoi follower[23].

 Similmente, risulta dannosa e insostenibile la politica controcorrente di Mark Zuckerberg, un altro miliardario, capo di Meta (ex Facebook), il quale, discutendo dell’«intelligenza artificiale» davanti al Congresso, ha sostenuto l’importanza di una sua regolamentazione, ma ha negato la necessità dei limiti d’accesso. In questo si può scorgere il sospetto che la brama del potere offuschi gli occhi delle persone coinvolte, impedendo loro di vedere: sarebbe irresponsabile mettere un potere così ampio nelle mani di attori potenzialmente pericolosi. In passato, questi giudizi palesemente sbagliati avrebbero infranto una volta per tutte il sogno di una possibile democratizzazione della tecnologia, e tocca a noi ora trarne le conseguenze. Purtroppo, decisioni così importanti non dovrebbero essere affidate a singoli individui, anche se non fossero del tutto male informati dal punto di vista politico e morale. Per evitare il peggio, saranno necessarie sia la trasparenza sia la responsabilizzazione (accountability) democratica di tutti gli attori principali.

 3) Naturalmente, questa assunzione di responsabilità risulta particolarmente complessa nel caso di potenti aziende multimiliardarie come il colosso americano Google (YouTube è utilizzato da 1,3 miliardi di persone ogni giorno, per una media di 70 minuti) o il gigante cinese TikTok (ormai semimonopolista dell’informazione dei ragazzi americani ed europei). Dietro queste piattaforme di social media ci sono anche algoritmi basati sull’«intelligenza artificiale» e sviluppati dai migliori scienziati comportamentali del mondo per tenerci incollati davanti allo schermo. Non c’è da stupirsi se oggi stiamo perdendo la capacità di focalizzare la nostra attenzione. In questi settori, la regolamentazione dovrebbe significare che l’obiettivo non è quello di distogliere l’attenzione a ogni costo – il che serve solo a massimizzare il guadagno personale di alcuni, mentre polarizza il resto della società –, ma piuttosto quello di informare, di rafforzare e potenziare (empowering), attivando così le nostre migliori risorse. È indispensabile, per utilizzare un neologismo del francescano Paolo Benanti, un’«algoretica», ossia dare un’etica agli algoritmi[24].

 4) La regolamentazione è necessaria non solo per combattere le guerre, i produttori di fake news e gli operatori irresponsabili dei social media, ma anche per salvare (e perfezionare) il sistema politico democratico esistente. Il modo in cui potenze straniere hanno interferito nelle elezioni presidenziali statunitensi del 2017 è ben noto. È meno noto però che nelle elezioni parlamentari slovacche del 30 settembre 2023, in cui ha vinto il populista filorusso Robert Fico, sono stati utilizzati metodi molto più sofisticati. La falsa campagna, sostenuta da deep fake, era diretta principalmente contro il candidato liberale progressista Michal Simecka. Per quanto possa sembrare un episodio divertente, si tratta invece di una questione seria: mentre Facebook disinnescava un video in cui un falso Simecka annunciava che avrebbe raddoppiato il prezzo della birra in caso di vittoria, 48 ore prima dell’apertura delle urne è stato diffuso anche una clip audio di un altro falso Michal che affermava di voler comprare i voti della minoranza rom[25].

 Con l’enorme progresso della tecnologia, è possibile che non riusciamo più a credere a ciò che vediamo con i nostri occhi sullo schermo? Può darsi. Tuttavia, ci dovrebbe essere una regolamentazione. Come in passato la contraffazione di prodotti veniva punita severamente, così pure oggi la contraffazione di esseri umani dovrebbe essere condannata[26]. E questo non viola la libertà di parola, perché i bot non hanno diritto alla libertà di parola.

 La buona notizia è che l’«intelligenza artificiale generativa», per come noi la conosciamo, non è cosciente e non svilupperà autocoscienza (infatti, diversamente da noi, non comprende ciò che dice). Ma questo non significa che non possa essere pericolosa. Essa richiede perciò una continua regolamentazione, che sarà un compito permanente etico, teologico e spirituale nostro, cioè veramente umano.

 * Professore di Teologia fondamentale alla Pontificia Università Gregoriana di Roma.

La Civiltà Cattolica

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martedì 17 settembre 2024

LA RICCHEZZA DELLE DIFFERENZE


RENDERE DIO

 una


BUONA NOTIZIA


-di ENZO BIANCHI

 Papa Francesco sa che è compito della Chiesa portare ovunque l’eu-anghélion, la buona notizia, anche “alle isole più lontane che sono in attesa di una buona speranza”.

 Dopo più di dieci anni di pontificato comprendiamo qual è il compito principale che questo papa si è dato: evangelizzare Dio, cioè, rendere Dio una buona notizia per i popoli che credono in lui ma sono tentati di venerarlo come un “Dio con noi” e “contro gli altri”, come un Dio che conduce alla guerra e ispira il terrorismo.

Tentazione da cui non sono esenti neppure i cristiani: basta leggere quello che accade in Ucraina tra gli ortodossi e tra ortodossi e greco-cattolici sempre pronti ad avanzare pretese. L’opera di Francesco ha questa ampiezza di orizzonti che non sempre i nostri cattolici riescono a comprendere.

 Quest’uomo ha terminato un lungo e faticoso viaggio alle periferie del mondo: isole lontane, l’Indonesia dove vive il più numeroso popolo musulmano. Si è spinto fino a quelle terre per fare un’alleanza di pace che ha firmato con il Grande imam Nasaruddin Umar, della moschea di Istiqlal a Giacarta: ci sia armonia religiosa, pace tra le religioni per il bene di tutta l’umanità. Sì, nella visione di Papa Francesco l’orizzonte è l’umanità intera, non soltanto la Chiesa!

 Il Papa in questo viaggio non ha parlato di Cristo alle genti in modo esplicito, ma ogni volta che ha annunciato giustizia, pace, riconciliazione e perdono, egli non ha fatto che ripetere, senza mai nominarlo, il messaggio di Cristo suo Signore. D’altronde nella lettera Fratelli tutti già indicava e chiedeva una fraternità che non si limitasse ai cristiani (tale era la visione tradizionale della chiesa), ma a tutti, a tutti! E proprio per questo la prima qualità della chiesa è di essere casa, luogo di accoglienza, non per aumentare i convertiti, ma per offrire un’umanità rappacificata a quel Signore Dio nel quale alcuni credono. E il Papa ha insistito ancora una volta sulla sapienza multicolorata di Dio che vuole non l’uniformità ma la differenza delle culture, ha ripetuto che le differenze sono una ricchezza, anzi il vero tesoro per l’Indonesia, ma non devono diventare motivo di conflitto! Per questo ha inserito nel suo discorso una riflessione sul tunnel che collega a Jakarta la moschea Istiqlal, la più grande del sud-est asiatico, e la cattedrale cattolica, l’una di fronte all’altra: “È il ‘Tunnel dell’amicizia’, luogo di dialogo e di incontro! Per questo non c’è buio ma luce, perché illuminato dall’amicizia di quei cittadini che incrociano altri cittadini di diversa confessione e credenza e si inchinano con amicizia”. Ma questa azione pastorale di Francesco disturba, è poco sentita ed è anche contestata da chi gli ricorda che suo compito è la predicazione del Vangelo fatta sì in modo aperto, ma senza l’ossessione del dialogo. E questo significherà un rifiuto perché il Vangelo scandalizza e per ora guai a chi evangelizza Dio! Gesù è già stato condannato per aver fatto tale operazione.

 E sarà così ancora e sempre...

 Alzogliocchiversoilcielo

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