- Domenica
15 Settembre 2024-
-Commento
al brano del Vangelo
di: Mc 8, 27-33-
-
Continua il nostro cammino alla scuola
della Liturgia. Domenica scorsa, in terra pagana/straniera, Gesù ha guarito un
sordomuto: se i giudei sono incapaci di ascoltare la sua Parola, c’è sempre
qualcuno pronto ad accoglierla, a conferma che Gesù non solo è venuto per
tutti, ma che sono proprio gli ultimi, gli scartati ad essere i più disponibili ad accettare Gesù
perché interiormente più liberi.
-don
Andrea Vena* -
Oggi
la liturgia riprende la lettura da un punto fondamentale nel vangelo di Marco,
il versetto 27 del cap. 8: una sorta di spartiacque. Fino ad ora Gesù si è
rivolto alle folle e ha compiuto miracoli. Ma da questo momento inizia a
parlare della sua sorte, fa capire in modo chiaro che lo attendono persecuzione,
sofferenza, morte e risurrezione. Chi ha scelto di restare con Lui – “Volete
andarvene anche voi? … Da chi andremo, Signore, tu solo hai parole di vita
eterna” (Gv 6,60ss) – deve accettare di stare “dietro a Lui” e non temere. Si
comprende allora il testo di Isaia che la liturgia ha scelto a premessa di
questo nostro brano. “Il Signore mi ha aperto l’orecchio e io non ho opposto
resistenza… Ho presentato il mio dorso ai flagellatori, le mie guance a coloro
che mi strappavano la barba…”.
Isaia
non si è tirato indietro di fronte a quanti lo percuotevano, ha accettato di
restare saldo in quel Dio che lo ha chiamato perché ha sempre tenuto “aperto
l’orecchio”. Espressione che ritroviamo anche oggi: “Apri bene le orecchie…”.
Isaia ha dato ascolto alla Parola, non è scappato di fronte agli avversari
convinto che “Il Signore Dio mi assiste, per questo non resto svergognato”.
Questo è lo stile con il quale “stare dietro” a Gesù: porgere ascolto alla sua
Parola, imparare a fidarsi della sua logica, “Camminare – come ci farà
pregare/cantare il salmo – alla presenza del Signore”, perché Lui ascolta,
perché Lui verso di me tende l’orecchio per primo. La forza della
testimonianza, dunque, non è in virtù di capacità umane, ma si fonda nella
fiducia in Dio, mio/nostro Salvatore. Con questa chiave di lettura, entriamo
nel testo evangelico.
vv.
27-28: «Gesù partì con i suoi discepoli…” La gente, chi dice che io sia?”. Ed
essi gli risposero: “Giovanni il Battista, altri dicono Elia, altri uno dei
profeti”».
Lungo
la via Gesù interroga i suoi discepoli e a un certo punto domanda “Chi dice la
gente che io sia?”. La loro risposta riporta l’opinione di molti di allora (cfr
Mc 6,14-16), ossia che Gesù sia un profeta: c’è chi sostiene che sia Giovanni
Battista (Mc 9,12-13), chi Elia (2Re 2,1-18), chi un altro dei profeti,
rispondono i discepoli. Interessante notare che nella lista manca il nome di
Mosè, al quale era legata l’attesa messianica.
Elia era considerato colui che avrebbe preparato la via al Messia,
proprio come Giovanni il Battista. Paragonando Gesù a queste due figure, egli
viene relegato ai personaggi del passato, niente di più.
vv.
29-30: «Egli domandò loro: “Ma voi chi dite che io sia?”. Pietro gli rispose:
“Tu sei il Cristo”. E ordinò loro severamente di non parlare di lui ad
alcuno».
La
risposta di Pietro è formulata come una confessione: “Tu sei”. E in questa
dichiarazione Pietro riconosce in Gesù il Messia, il Cristo. All’udire questo,
Gesù “ordinò” - letteralmente sarebbe “sgridò” - “di non dirlo ad alcuno”. Il
verbo sgridare lo ritroviamo anche quando Gesù “esorcizza gli indemoniati” (cfr
Mc 1,25), e quando dovrà rimproverare Pietro per quanto gli dirà un momento
dopo (vedi versetto 32). Il motivo del “silenzio” richiesto è dovuto al fatto
che solo dopo la risurrezione potranno capire ciò che è accaduto fino in fondo,
come emerge anche nell’esperienza della Trasfigurazione: “Mentre scendevano dal
monte, ordinò loro di non raccontare ad alcuno ciò che avevano visto, se non
dopo che il Figlio dell’uomo fosse risorto dai
morti” (Mc 9,9).
vv.31:
«E cominciò a insegnare loro che il Figlio dell’uomo doveva soffrire molto, ed
essere rifiutato dagli anziani, dai capi dei sacerdoti e dagli scribi, venire
ucciso e, dopo tre giorni, risorgere. Faceva questo discorso apertamente».
L’ordine
del “silenzio” viene ora motivato dalle parole stesse di Gesù: “Il Figlio
dell’uomo doveva soffrire molto…”. Il soffrire, l’essere rifiutato, il venire
ucciso… non è da parte dei peccatori, ma da parte di coloro che gli sono
ostili: “dagli anziani, dai capi dei sacerdoti e dagli scribi”! Da coloro che,
per il loro ruolo e missione, avrebbero dovuto farlo conoscere alla gente. I
rappresentanti dell’istituzione religiosa “uccidono” il progetto di Dio
sull’umanità. Parole che ritroviamo in Matteo: “Guai a voi, scribi e farisei
ipocriti, che chiudete il regno dei cieli davanti alla gente; di fatto non
entrate voi, e non lasciate entrare nemmeno quelli che vogliono entrarvi” (Mt
23,13). Un “dovere soffrire… venire ucciso” che non indica una volontà crudele
da parte di Dio, bensì una necessità umana, perché in un mondo ingiusto il
giusto può solo essere perseguitato, fino a essere ucciso (cf. Sap 2). Una
“necessità divina” inserita in un’obbedienza d’amore al Padre: “Sono disceso
dal cielo non per fare la mia volontà, ma la volontà di colui che mi ha mandato”
(Gv 6,38).
vv
32-33: «Pietro lo prese in disparte e si mise a rimproverarlo. Ma egli
voltatosi e guardando i suoi discepoli, rimproverò Pietro e disse: “Va’ dietro
a me, Satana! Perché tu non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini”».
Pietro
lo prese – letteralmente lo afferrò a sé – e cominciò a rimproverarlo! Notiamo
che se Pietro porta in disparte il Maestro, Gesù volta a lui le spalle e
“sgrida” pubblicamente il discepolo, usando le stesse espressioni usate nei
riguardi degli indemoniati: “Va’ dietro a me, Satana!”. Gesù definisce Pietro Satana,
perché come Satana tenta di far deviare Gesù dal suo progetto sull’umanità (cfr
Lc 9,51: “Gesù si diresse decisamente verso Gerusalemme”) e come Satana
vanifica l’effetto della parola, come il seme caduto in terra che subito gli
uccelli, immagine di Satana, portavano via. Quindi Gesù rimprovera Pietro e lo
tratta come Satana, cioè come diavolo, ma non lo caccia: “torna a metterti
dietro di me”. Farà la stessa cosa quando lo recupererà nell’amore: “Mi ami tu?
(Gv 21). Fragilità e debolezza Gesù le ha messe in conto, perché ha chiamato a
sè uomini, non angeli! Quanto Lui chiede è una continua conversione per
imparare a pensare come Dio e non come gli uomini.
vv.
34-35: «Convocata la folla insieme ai suoi discepoli, disse loro: “Se qualcuno
vuole venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua.
Perché chi vuole salvare la propria vita, la perderà, ma chi perderà la propria
vita per causa mia e del Vangelo, la salverà».
Seguire
il Signore Gesù chiede la disponibilità a condividere fino in fondo il suo
progetto. È duro, ma nessuno è obbligato: “Volete andarvene anche voi?” (Gv
6,67); c’è un condizionale nella sua proposta: “Se qualcuno vuole venire dietro
a me…”: un “se” che chiede di rinunciare a ideali di successo, di ambizione… e
il coraggio di “prendere/sollevare” la sua croce. Significa accettare di
perdere la propria reputazione, i propri ideali. Non è un’imposizione, ma
conseguenza per quanti vogliono seguire il maestro fino alla fine, certi che
chi vive per Lui, vivrà con Lui (cfr Gv 11,26).
Dopo
aver accettato di voler restare con il Signore (“volete andarvene anche voi?”),
ora inizia il cammino al quale la liturgia – attraverso il vangelo di Marco –
ci ha preparati fin dalla festa di Natale. Gesù mi e ci ricorda che a Lui poco
interessa l’opinione altrui. Lui è il Cristo, Lui è l’inviato del Padre, Lui è
consapevole di avere un progetto da portare a termine, ed è un progetto di
salvezza. E a ciascuno di noi chiede se siamo disposti ad aderivi, a darGli
ascolto. Così come siamo. In questo momento mi sento solidale con Pietro che dimostra
di non aver capito nulla di Gesù! Essere discepoli non è facile e non è
automatico: non si può capire chi è Gesù senza comprendere se stessi, perché le
due cose sono legate. Io conosco il Signore nella misura che sto con Lui, che
imparo a conoscermi in Lui, che lo seguo nel suo “darsi” per tutti, nel suo
perdere la vita per amore.
La
domanda rivolta ai discepoli - “Chi sono io per te?” – interpella e provoca
oggi una mia/nostra risposta. È una domanda decisiva, dalla quale dipenderà
tutto: fede, scelta, vita… Perché non posso considerare la fede come un
fazzoletto da ripiegare e mettere in tasca una volta uscito di chiesa. La fede
o è vita o non è fede. Gesù non mi offre risposte preconfezionate, come va oggi
di moda! Gesù mi educa e mi aiuta a crescere facendomi domande, accendendo in
me scintille capaci di dare movimento alla vita. Gesù mi e ci vuole “persone
pensanti”. Non ci chiede di essere cristiani “per sentito dire”, o per
tradizione. Non è venuto per insegnarci una nuova filosofia. Lui è venuto pe
indicarci la Via che conduce al Padre. E Gesù stesso è la Via, è la Verità, è
la Vita. La mia fede, la mia relazione con Lui chiede quindi di sintonizzarsi
con la sua vita, le sue priorità, le sue scelte… Perché non basta professare la
fede, ma occorre praticare l’amore (cfr San Giacomo, II lettura). Per questo il
Signore mi e ci chiede di crescere da Amici. E la sua domanda vuole provocarmi,
vuole smuovermi dalle mie apparenti o teoriche certezze, e portarmi ancora una
volta a domandarmi: Chi è Gesù per me? E chi sono io per Lui? In fondo, Gesù si
attende discepoli innamorati, come fu per Tommaso, dopo la sua incredulità:
“Mio Signore e mio Dio!”(Gv20,28). Un “mio” che non è possesso, ma passione;
non è appropriazione, ma appartenenza: mio Signore.
Sono
e siamo interpellati a domandarci se vale ancora la pena seguire il Signore, se
vale la pena perdere la vita per Lui e per il suo Vangelo. E non in base a
sondaggi o preferenze dei social… Se viviamo per quel che gli altri pensano di
noi finisce che perdiamo la nostra anima: se viviamo per il potere, il potere
ci possiede; se viviamo per il piacere, il piacere ci schiavizza. Ma Gesù è il
mio Signore, Lui non m’imporrà nulla, perché l’amore non toglie libertà. Anche
se sa che sbaglieremo: l’importante è lasciarci continuamente visitare da Lui,
sapendo che il Signore ci raggiunge anche – e soprattutto – nei nostri peccati,
perché Lui è venuto per la mia e nostra salvezza, Lui non ci ama in astratto,
ma si manifesta nella nostra vita concreta.
Ci
ama nel nostro male, perché Lui ci ha pagati a caro prezzo (cfr 1Pt 1,18). Allora, senza spaventarci se siamo capaci di
slanci di intuizione e generosità, e subito dopo cediamo di fronte alle nostre
paure e fragilità, prendiamo atto che questa è la vita, il cammino della vita!
Come ci ha insegnato Pietro, anche la ribellione fa parte di questo processo di
crescita, perché la proposta di Gesù spesso contrasta con le nostre attese e le
attese di questo mondo. Ma se da una parte è legittima la ribellione di Pietro,
dall’altra devo accettare legittimo il rimprovero di Gesù: “Va’ dietro a me,
Satana! Perché tu non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini” (v. 33).
Parole
che non mirano a punire, ma che esprimono amore, perché in quel rimprovero Gesù
mi sta amando ancor di più, aiutandomi a tornare al mio posto, dove meglio
posso servirlo e amarlo. Perché la felicità della vita non sta – come sostiene
il mondo – nel fare quello che comoda, nel sostituirsi a Dio, ma soltanto
quando ci incontra l’amore, quello vero. Un Amore che mi e ci cambia a tal
punto che scopriamo quanto è più bello servire che essere serviti, amare che essere
amati… perché la mia e nostra gioia è nel vedere gli altri felici.
Cercoiltuovolto
*Officiale
Dicastero della Comunicazione della Santa Sede
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