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martedì 14 maggio 2024

LA VIA DEL TRAMONTO


 La storia ha più volte mostrato, Atene e Roma per fare due esempi, che il tramonto di una civiltà ha la sua principale causa interna nella crisi demografica unita alle scarse capacità creative delle sue guide di fronte alle sfide.

 

-         di Alessandro D’Avenia

      

Epidemie, guerre, invasioni danno solo il colpo di grazia a un rapporto nascite/decessi insufficiente per l’equilibrio naturale del corpo sociale, guidato da una testa senza soluzioni o con soluzioni inadeguate se non distruttive. A leggere i dati Istat presentati ai recenti (stupidamente criticati o falsamente raccontati) Stati generali della Natalità, anche noi siamo al tramonto come tutte le culture che, per mancanza d’amore verso se stesse e di guide illuminate (la disaffezione al voto lo dimostra) scelgono la fine, come un disperato che si lascia morire.

 È irreversibile l’inverno? Lo sarebbe se gli stessi dati non mostrassero una possibile primavera: 8 persone su 10 in Italia vogliono figli, ma non riescono a tradurre in pratica il progetto. Non manca desiderio di generare ma le condizioni, soprattutto per le donne ancora prive di libertà di scelta. Save the children nel rapporto 2024 sulla maternità in Italia le chiama infatti «le equilibriste» per la fatica o l’impossibilità di conciliare desideri e realtà. Perché siamo agli ultimi posti rispetto ai Paesi dell’Ue nel rispondere a questa emergenza? E siamo sicuri che il problema riguardi solo le donne? Servono un po’ di dati, perché, in una famiglia, non si cresce senza fare i conti.

 Da anni in Italia nascono meno di 400 mila bambini, record negativo nel 2023 con 379 mila nati, a fronte di 661 mila decessi. Nel 2050 ci sarà un ragazzo ogni 3 anziani. Gli apporti migratori non saldano il rapporto di sostituzione, necessario alla copertura del welfare: cala la qualità della vita come è evidente nel servizio sanitario e scolastico. Per garantire l’equilibrio sociale il tasso di fertilità dovrebbe essere di almeno due figli per donna, in Italia è di 1,2 e l’età media della maternità 31,6 anni, la più alta in Europa, la cui media è 29,7. La Francia, che ha il tasso di fertilità migliore (1,8), offre infatti da tempo agevolazioni fiscali, nidi, tempo pieno scolastico, part-time entrambi i genitori.

 La Germania (1,5 figli per donna) dà supporti economici, congedi retribuiti e nidi garantiti. La Finlandia, ai minimi nel 2019 (1,35 figli per donna), ha invertito la tendenza con voucher baby-sitter, sgravi fiscali, congedo parentale più lungo e trasferibile da un genitore all’altro. Come si vede questi Paesi hanno cambiato mentalità di fronte alla sfida, mettendo al centro la cura del bambino e alla pari donne e uomini. Noi ancora no. In Spagna dal 2021 c’è il congedo parentale di 16 settimane per ciascun genitore (prime 6 obbligatorie, le successive facoltative o a tempo pieno o part time) con il 100% dello stipendio. In Portogallo i giorni indennizzati sono 150 al 100% o 180 all’80% dello stipendio, con la possibilità di altri tre mesi a testa di lavoro part-time. In Norvegia sono 12 i mesi di congedo retribuito suddivisi o condivisi tra padre e madre. In Svezia ogni genitore ha 16 mesi di congedo, tre all’80% dello stipendio.

 La Germania ha un congedo parentale flessibile: i genitori possono lavorare fino a 32 ore settimanali per 24 mesi. In Polonia il congedo dura 36 settimane, 20 retribuite al 100%.

 E noi? Con la legge di Bilancio 2024, al congedo obbligatorio di 5 mesi per la madre all’80% dello stipendio e solo 10 giorni a stipendio pieno per il padre, si aggiunge la possibilità, ma solo per i lavoratori dipendenti, di altri due mesi complessivi per i genitori, all’80% entro i primi 12 anni di età del bambino. Ma il secondo mese così retribuito riguarderà solo il 2024, dal 2025 verrà ridotto al 60%. Ci sono poi: l’assegno unico universale (in base al reddito, da 50 a 200 euro al mese per ogni minore); l’azzeramento dei contributi solo per le madri lavoratrici con più di tre figli; il bonus nido. Si tratta però di aiuti non sistematici (smetteremo mai di essere il Paese di superbonus ed elemosine elettorali?), dai criteri ingiustamente restrittivi e iperburocratizzati, e di norme che ignorano che un figlio si genera e quindi si cresce in due e alla pari.

 Se a tutto ciò aggiungiamo che i nostri nidi coprono solo il 28% per la fascia 0-3, non stupisce che spesso una donna debba lasciare il lavoro dopo il parto. In sintesi il nostro welfare non supera la sfida e non tiene conto della parità: la spesa del Pil per la famiglia è dell’1,4% (1,9 la media Ue, 2,2 in Francia, 2,9 in Finlandia). Se gli effetti delle norme entrate in vigore nel 2024 sono ancora da vagliare, colpisce però una contraddizione in atto da tempo. La Costituzione dice all’art.31: «La Repubblica agevola con misure economiche e altre provvidenze la formazione della famiglia e l’adempimento dei compiti relativi, con particolare riguardo alle famiglie numerose. Protegge la maternità, l’infanzia e la gioventù, favorendo gli istituti necessari a tale scopo», mentre all’art. 11 recita: «L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali». Eppure, in questi anni ciò che è aumentato in modo sistematico, ma non sempre chiaro e condiviso, è la spesa bellica. Quella mondiale ha raggiunto nel 2023 il record di 2.443 miliardi di dollari, in Europa è cresciuta del 16%, mai così dalla Guerra Fredda, e la più alta è proprio in Europa occidentale (345 miliardi). Gli Stati membri della NATO, di cui facciamo parte, hanno stanziato nel 2023 ben 1.341 miliardi di dollari, il 55% del totale mondiale. In Italia nel 2024 è prevista una spesa militare di 28 miliardi di euro, un aumento di 1,4 miliardi rispetto alle stime dell’anno precedente, di questi circa 10 per nuovi armamenti.

 Si dice siano necessari per gli attuali fronti bellici e per strategie di deterrenza ma, ammesso che sia così, non dovrebbero andar di pari passo con la cura? Che cosa me ne faccio del recinto elettrificato per difendere una casa a pezzi? Come ha scritto G.K.Chesterton riferendosi a un quartiere di Londra: «Se la gente amasse Pimlico come le madri amano i loro figli, gratuitamente, in un anno o due il quartiere potrebbe diventare più bello di Firenze. Certi lettori diranno che questa è pura fantasia. Io rispondo che questa è la vera storia dell’umanità. È così che le città sono diventate grandi. I romani non amavano Roma per la sua grandezza. Roma era grande perché i romani l’avevano amata» (Ortodossia).

 È l’amore per un luogo, una cosa, una persona la fonte della sua energia di crescita. Un’energia (pro-)creativa che non avremo finché le donne rimarranno equilibriste, gli uomini esclusi da una paritaria possibilità di cura e i nostri politici miopi. Mi preoccupa questa volontà di morte che finanzia la guerra più della vita: è la sconfitta della nostra Costituzione che, unificando un Paese devastato dalla guerra, credeva nella parola per gestire le relazioni e nella famiglia per gestare il futuro. A classi politiche centrate sul potere più che sulla vita, la storia dovrebbe mostrare che quando un Paese aumenta la spesa per la guerra e non quella per la cura (ospedali e scuole), quel Paese non è al tramonto ma ha deciso di tramontare. E le decisioni non accadono, si prendono.

 Alzogliocchiversoilcielo

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venerdì 1 dicembre 2023

OLTRE I CAMPI DI DETENZIONE

 RITROVARE UN'ANIMA PER CONDIVIDERLA



-         di Giuseppe Savagnone*

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Le violazioni dei diritti dei migranti

La sentenza con cui, qualche giorno fa, la Corte europea dei diritti umani (CEDU) ha condannato l’Italia per la detenzione illegale e il trattamento «inumano e degradante» di quattro migranti minori (tre gambiani e un ghanese), nell’hotspot di Taranto, nel 2017, non è che l’ultima di una serie di pronunzie a carico del nostro paese da parte del Tribunale di Strasburgo – un organismo giudiziario del tutto indipendente dal Consiglio e dal parlamento della UE e dunque non sospetto di portare avanti un discorso politico.

 Lo scorso ottobre una analoga condanna nei confronti dell’Italia era stata emessa dalla CEDU per le stesse violazioni dei diritti umani, questa volta a danno di tre migranti tunisini, nell’hotspot di Lampedusa. E poco prima, in agosto, una sentenza della Corte europea aveva riguardato la mancanza di un’adeguata accoglienza e tutela di una ragazza minorenne originaria del Ghana. Ma già nel luglio 2022 ce n’era stata un’altra per i maltrattamenti ai danni di un minore del Gambia.

 Tutti gli episodi in questione riguardano il 2017, e sanzionano dunque la gestione dell’accoglienza dei migranti da parte del governo Gentiloni. Lo stesso che, grazie al ministro dell’Interno Minniti, in quello stesso anno ha stretto accordi con la Libia perché trattenesse i migranti in centri di detenzione che, secondo la denunzia dell’ONU, sono dei veri e propri lager, dove tutti i diritti umani sono sistematicamente violati.

 Già allora, dunque, con una maggioranza parlamentare e un esecutivo di centro-sinistra, che a parole si pronunziavano a favore di una politica di integrazione, non solo non si faceva praticamente nulla per realizzarla, ma si mantenevano in piedi strutture di “finta accoglienza” – in realtà più simili a campi di concentramento – dove la dignità delle persone veniva calpestata.

 Le cose potevano solo peggiorare – e sono infatti peggiorate – con l’avvento del governo di destra, il quale aveva messo tra i punti qualificanti del suo programma elettorale la «difesa dei confini nazionali ed europei» e il «controllo delle frontiere e blocco degli sbarchi per fermare, in accordo con le autorità del nord Africa, la tratta degli esseri umani». Dove l’espressione «difesa dei confini nazionali ed europei» implicava, già di per sé, l’assimilazione dei migranti a invasori da respingere.

 E su questa linea si è mossa – anche se con scarsissimo successo – l’esecutivo guidato dalla Meloni, adottando misure fortemente restrittive nei confronti delle navi delle Ong impegnate nel salvataggio dei naufraghi nel Mediterraneo, rinnovando e rafforzando gli accordi con la Libia, stringendone di nuovi (poi disattesi dall’altra parte) con la Tunisia e lanciando, ultimamente, il fantasioso progetto di “deportare” i migrati adulti in Albania.

 È in questa logica ostile e penalizzante che il Consiglio dei ministri, il 6 ottobre 2023, con decreto-legge, ha consentito il collocamento di migranti minorenni con più di 16 anni nei centri detenzione riservati agli adulti.

 Una prassi già purtroppo ampiamente in voga e che si è voluto così rendere legale, favorendo una promiscuità che tutti gli esperti ritengono rovinosa per i più giovani, tanto più che quei centri sono già di per sé sovraffollati, con servizi igienici assolutamente inadeguati (si parla di due per quaranta persone) e privi di assistenza legale e psicologica e di insegnamento dell’italiano.

 Anche attualmente a Taranto – denuncia l’Asgi (Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione) –, «nell’hotspot allestito su un parcheggio nel porto, completamente isolato dal contesto urbano e sociale locale, e assolutamente inadatto ad ospitare minori, attualmente ci sono 185 minori stranieri trattenuti di fatto in assenza di ogni base legale e di vaglio giurisdizionale, alcuni addirittura da agosto».

 Ora, la prima delle violazioni dei diritti umani sanzionate dalla Corte europea con la sua più recente sentenza è proprio che i quattro minori africani fossero stati alloggiati, nel 2017, nell’hotspot di Taranto, previsto per soli adulti!

 Aspettiamoci dunque altre condanne, questa volta non nei confronti di una prassi occasionale, ma di una legge che nasce all’insegna del misconoscimento delle più elementari esigenze delle persone più giovani.

 Insomma, sia la sinistra che la destra – al di là dei proclami di segno opposto – hanno ampiamente dimostrato la loro mancanza di un vero progetto di accoglienza e di integrazione, capace di trasformare il fenomeno migratorio da drammatica minaccia in risorsa.

 Certo, sulla carta l’atteggiamento del PD è stato molto diverso dall’accanimento xenofobo della Lega e di Fratelli d’Italia. Ma è significativo che, nel tempo in cui è stato al governo, questo partito non abbia neppure provato a smantellare quei “decreti sicurezza” che avevano costituito la gloria dell’ex ministro dell’Interno Salvini.

 Una politica suicida dal punto di vista economico

E che questa sia una politica autolesionista, da parte de nostro paese, lo dice il dato incontestabile che, nella misura in cui gli stranieri vengono messi in condizione di inserirsi nella nostra società – invece di esserne tenuti ai margini, isolati in campi di detenzione fuori dei circuiti civili –, sono già oggi in grado di dare un apporto decisivo alla nostra economia.

 Questo è vero, per esempio, se si guarda al loro ruolo nel sistema pensionistico. È dell’aprile scorso l’intervista su «La Stampa» in cui il presidente dell’Inps, Pasquale Tridico, ha detto chiaramente che, per quanto riguarda il rapporto tra lavoratori e pensionati, con l’attuale andamento demografico «dopo il 2040 arriviamo alla soglia dell’uno a uno, un numero che definirei davvero critico» e aveva indicato come unica soluzione l’apertura all’ingresso degli stranieri: «Le economie ricche», spiegava il presidente dell’Inps, «hanno tutte molti migranti».

 E, facendosi interprete delle pressanti richieste degli imprenditori, che chiedono l’allentamento delle restrizioni all’ingresso di lavoratori stranieri, aveva aggiunto: «Anche noi abbiamo l’esigenza di coprire lavori medio-bassi da Nord a Sud con gli stranieri.

 La soluzione non può che essere l’accesso di immigrazione regolare e fluida». Così, del resto, è stato altrove. A questo proposito Tridico si è appellato all’autorità del premio Nobel americano Paul Krugman: «Krugman segnala come negli Stati Uniti gli immigrati siano stati la leva più dinamica nel contributo alla crescita dell’economia».

 Ma perché questo inserimento degli immigrati nel mondo del lavoro sia possibile non basta, ovviamente, lasciarli arrivare, evitando che affoghino nel Mediterraneo: bisogna anche insegnare loro la nostra lingua, valorizzare le abilità e le competenze di cui spesso sono portatori, renderli partecipi di una vita sociale in cui le relazioni tra di loro e quelle con gli italiani siano sviluppate e diventino normali.

 Qualcosa che finora non è stato mai organicamente perseguito dai governi precedenti ed esattamente il contrario di ciò che quello attuale sta cercando di realizzare.

 Ritrovare un’anima per condividerla

Tutto ciò però riguarda ancora solo l’aspetto economico. Il problema di fondo che si prospetta è più generale, e ha come suo punto fondamentale la questione culturale. È soprattutto sotto questo profilo che la politica inconcludente della sinistra e quella risolutamente ostile della destra sono suicide. In particolare, la linea ferocemente difensiva di quest’ultima appare ispirata alla preoccupazione di evitare una «sostituzione etnica» – come l’ha chiamata il ministro Lollobrigida in un suo discorso, –, che sarebbe anche una “sostituzione” culturale.

 Ed è vero che la percentuale di stranieri, in Italia, pur essendo nettamente più bassa che in altri paesi europei, come la Francia e la Germania, è destinata a crescere abbastanza rapidamente, anche solo per effetto del differente tasso di natalità tra essi e gli italiani.

 In particolare, preoccupa il fatto che la maggior parte di loro è di religione islamica (anche se non mancano, anzi sono numerosi, i cristiani!) e sono dunque portatori non solo di una fede, ma anche di una cultura molto diversa dalla nostra.

 Ma proprio per evitare uno scontro di civiltà da cui alla fine usciremmo perdenti, la sola politica adeguata non è quella dei muri e dei campi di concentramento, bensì quella basata su una ragionevole accoglienza (nessuno ne vuole una indiscriminata) e soprattutto su una capillare opera di integrazione culturale, che consenta ai nuovi arrivati di diventare non solo lavoratori, ma cittadini italiani.

 E per questo un’attenzione speciale dovrebbe essere dedicata proprio ai minori, più suscettibili di essere educati in questo senso. Dove lo scopo non dev’essere di cancellare la loro identità con una assimilazione forzata, ma di valorizzarla in tutti gli aspetti che possono favorire un dialogo costruttivo e una cooperazione – non solo una convivenza! – civile in funzione di un unico bene comune.

 Solo che, per sperare di realizzare questo, l’Italia stessa – come del resto tutta l’Europa – deve uscire da un vuoto spirituale e valoriale che la sta desertificando e di cui purtroppo sono evidente espressione sia la classe politica della sinistra che quella della destra.

 Il nostro paese – e non solo quello – deve ritrovare un’anima. Come potrà, altrimenti, chiedere a chi arriva dall’esterno di condividerla?

 Si tratta di ricostituire un tessuto di valori comuni, una prospettiva di senso condivisa, che consentano di uscire dalla logica dell’individualismo selvaggio e del consumismo oggi dominanti.

 Continuare a puntare sulla difesa disperata di questo vuoto, alzando barriere e costruendo campi di concentramento, non fa che evidenziarlo e rendere sempre più reale il pericolo che si vuole esorcizzare.

 *Scrittore ed editorialista. Pastorale della Cultura, Diocesi Palermo

www.tuttavia.eu 


mercoledì 8 giugno 2016

NO ALLE STRAGI!

PROSEGUONO LE STRAGI

 NEL CANALE DI SICILIA!


Ancora una volta le nostre vite sono scosse dalle notizie e dalle immagini che arrivano dal Canale di Sicilia: tre stragi in tre giorni (una cadenza mai verificata prima) ha messo fine alla vita di tanti uomini, donne e bambini che scappavano da realtà di guerre e persecuzioni. Sono 2444 le persone morte e scomparse nel mare Mediterraneo dal 1 gennaio 2016. La morte di tantissime persone non dipende solo dagli aguzzini sanguinari (trafficanti, scafisti), ma soprattutto è la conseguenza di una politica europea ipocrita e immorale.
 
Purtroppo l’UE, piuttosto che inviare una vera missione internazionale di soccorso, lascia che i singoli paesi, come la Gran Bretagna, inviino navi da guerra per “bloccare” le partenze verso l'Europa. Una missione immorale e giuridicamente priva di base legale, ma premiata dal consenso elettorale. Anni di denunce, morti, violenze e vite mercificate in ogni loro aspetto hanno chiarito come il governo europeo della mobilità non sia affatto basato sulla tutela dei diritti fondamentali ma su ben precisi calcoli economici e politici.
 
Per questo diciamo:
• no al dilagare dell’indifferenza verso stragi ormai quotidiane, alle morti in Siria o al bombardamento degli ospedali in diverse parti del mondo;
• no alle soluzioni basate sulla repressione, attraverso misure che vanno dalla detenzione al respingimento, ma anche con i piani di creazione di una polizia di frontiera europea (Migration compact);
• no al millantato afflato umanitario verso gli immigrati del governo italiano, usato come merce di scambio per negoziare condizioni fiscali più favorevoli con la Commissione Europea e per ottenere finanziamenti ed agevolazioni;
• no all’innalzamento dei muri che costringono tantissimi a consegnarsi ai trafficanti di essere umani che vivono periodi felici agevolati da una politica cieca;
• no al sistema di profitto che gira intorno all’immigrazione e che ha raggiunto livelli di complessità e stratificazione molto alti, un meccanismo ben rodato in molto settori economici.

Chiediamo l’apertura dei canali umanitari con meccanismi d’entrata reali e sicuri per le persone che emigrano da paesi terzi, unico strumento per evitare questa ecatombe. Per questo è importante prendere posizione contro le politiche di chiusura dell’Europa. Nelle nostre mani c’è sempre la possibilità di proteggere la vita e di realizzare una società accogliente, segnata da relazioni giuste e rispettose.
 
Commissione Migrantes

Segretariato Missione - Missionari Comboniani

venerdì 26 marzo 2010

MANDIAMOLI A CASA !


Immigrati in Italia - Razzismo e pregiudizi.

Gli italiani hanno la percezione che gli
immigrati siano il 23% della popolazione residente, ovvero pensano che gli stranieri presenti siano
quasi quattro volte quelli che risiedono realmente in Italia (il rapporto più alto di tutto l’Occidente).
In realtà le cose stanno diversamente ......  LEGGI